Il 15 agosto 2017 Trump cambia idea su Charlottesville. Ancora.
Questa storia inizia con una statua. A Charlottesville, Virginia, si erge un monumento in bronzo che ritrae un uomo a cavallo: si tratta del Generale Robert Edward Lee, una leggenda della Guerra di secessione americana, che guidò l’esercito confederato a vittorie impensabili.
Nel marzo 2016, inizia la disputa politico-sociale sull’opportunità di rimuovere la statua stessa: da un lato, chi sostiene che la presenza del Generale (confederato, quindi sudista, quindi schiavista, quindi razzista, per farla molto molto breve) sia poco rispettosa di una parte della comunità, dunque da eliminare; dall’altro, chi lo ritiene un importante pezzo di storia americana, dunque da conservare. La dialettica prosegue sino alla prima manifestazione anti-rimozione, organizzata da alcuni suprematismi bianchi nel maggio 2017, e alla silenziosa veglia di risposta del giorno successivo. Il mese seguente, il Ku Klux Klan (KKK) realizza un ulteriore raduno di protesta per la decisione del comune di Charlottesville, cui partecipano 50 membri, affrontati, però, da centinaia di contro manifestanti: si giunge allo scontro e a una ventina di arresti.
Arriviamo quindi ai fatti che porteranno alle controverse dichiarazioni del Presidente americano. Il 12 agosto scendono in piazza migliaia di persone in difesa del primo emendamento, che tutela la libertà di espressione, riunendo gruppi di estrema destra, suprematisti bianchi, neonazisti e KKK. Altri scontri con un contemporaneo corteo antirazzista costringono le forze dell’ordine a intervenire, disperdendo parte della folla. Nella relativa quiete che ne segue, irrompe un’auto lanciata contro un folto gruppo di persone ancora in strada, ferendone trenta e causando la morte di una donna.
Il giorno stesso, Trump ha condannato la violenza dell’atto via Twitter, non facendo tuttavia alcun riferimento al colore politico dei manifestanti, attirandosi così numerose critiche da chi gli chiedeva una posizione più netta.
We ALL must be united & condemn all that hate stands for. There is no place for this kind of violence in America. Lets come together as one!
Diverse ore più tardi, la Casa Bianca ha precisato che le parole del presidente erano rivolte anche a suprematisti bianchi, neonazisti, KKK e a tutti i gruppi estremisti. Ciò non ha evitato i riferimenti all’elettorato di Trump, che, notoriamente, conta molti sostenitori tra le fila del movimento per il potere bianco.
Il 14 agosto, un po’ a sorpresa e forse spinto dalle dure condanne arrivate anche dal proprio partito, il magnate newyorkese si è espresso apertamente anche nei confronti dei suddetti gruppi:
Il razzismo e l’odio non hanno spazio negli Stati Uniti […] il razzismo è il male. Coloro che hanno causato violenza nel nome del razzismo sono criminali e delinquenti, inclusi il K.K.K., i neonazisti, i suprematisti bianchi e gli altri gruppi dell’odio che sono ripugnanti per tutto quello in cui crediamo in quanto americani. Come ho già detto sabato, non c’è spazio in America per l’odio e l’intolleranza e come ho detto molte volte, non importa il colore della pelle, perché noi viviamo sotto la stessa legge, la stessa bandiera e siamo stati tutti creati dallo stesso dio onnipotente. Siamo uguali di fronte a Dio, alla legge e alla Costituzione.
Poi, il 15, la retromarcia:
A Charlottesville la colpa è di entrambi le parti. […] I gruppi di sinistra sono molto molto violenti. […] Questa settimana vogliono rimuovere le statue di Lee. Poi, Stonewall Jackson. Poi toccherà a George Washington? George Washington era un proprietario di schiavi. Dobbiamo abbattere le statue di George Washington?
Non gli si può certo contestare di essere una persona che non si mette in discussione. O forse no?
Alessio Gaggero
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