Tipologie di conflitto e senso di riconoscimento
Il concetto di conflitto, per quanto latente, è parte concreta di gran parte delle teorie sociologiche: impossibile riportare tutte le riflessioni circa queste intersezioni relazionali, ma è plausibile orientare il focus su alcuni aspetti propri del conflitto, e legati, particolarmente, all’etá moderna in senso più ampio.
Le riflessioni di Jürgen Habermas, ad esempio, si muovono in questa direzione, e possiamo rileggerle sottoponendole al filtro della globalizzazione: vi troveremo espresse tipologie di conflitti che definiamo di “prima generazione”, tra gruppi o strati, oppure classi sociali, che, malgrado tutto, mantengono un senso di legittimità, mentre un’altra tipologia di conflitto va ricercata all’interno della socializzazione, dell’integrazione sociale e della riproduzione culturale, oltre i problemi di redistribuzione delle risorse materiali, per coinvolgere la grammatica delle forme di vita. Si tratta di quelli che possiamo definire di “seconda generazione”, cioè i conflitti di quartiere, di vicinato, familiari, scolastici, inter-culturali, di ambiente, legati al lavoro, etc.
Se la tecnologia, frutto della ricerca avanzata “spoliticizza” l’individuo, mentre lo stato moderno impone le sue “esigenze sistemiche” sopra i mondi vitali degli uomini, occorre pensare a nuove metodologie interpersonali che affranchino il cittadino dalla passività e lo rendano attore di un “agire comunicativo”, in cui i singoli si sentano “partecipanti ad un discorso pratico”. La modernità prende, quindi, le mosse da una ragione universale che rende possibile la comprensione fra mondi vitali, ossia fra idee, discorsi e contenuti che ruotano attorno a individui o a gruppi di individui. Nella volontà di comunicare universalmente è custodito l’ideale etico della politica in cui confida Habermas anche quando, superati i conflitti sociali dovuti alla distribuzione della ricchezza, si aprono quelli relativi alla “grammatica delle forme di vita”, cioè i nuovi conflitti riguardanti le qualità della vita: l’ambiente, la salute, le culture e la partecipazione sociale“, quelli poc’anzi definiti come conflitti di “seconda generazione”.
Fondamentali risultano i bisogni di riconoscimento e legittimazione della società.
Axel Honneth fornisce ulteriori riflessioni sull’argomento: il conflitto sociale, attraverso la positività delle lotte da esso prodotte, può fornire un possibile contributo al progresso normativo.
Honneth considera compresenti le dinamiche di conflitto e progresso attraverso il concetto di riconoscimento.
È sul piano della lotta per il riconoscimento individuale e collettivo che da un contrasto, da un conflitto, possono svilupparsi le premesse per un progresso normativo e sociale.
Honneth considera che tanto il conflitto tra gruppi, quanto quello tra due soggetti presi individualmente, produca un potenziale di apprendimento pratico-morale, in quanto i soggetti sociali, all’interno di quei conflitti, risulterebbero consapevoli della propria dipendenza reciproca e del destino incrociato delle loro identità individuali.
Nelle situazioni di violazione dell’integrità delle persone, la negazione di questa è una mancanza o rottura di rapporti di reciproco riconoscimento.
Avremo, per Honneth, diverse forme di affronto, a seconda del tipo di offesa: quando interessa l’integrità fisica (maltrattamenti fisici, lo stupro, cioè l’interruzione a livello corporeo della continuità del sé); se si tratta di una forma di umiliazione che colpisce la comprensione normativa di sé di un individuo (lo spregio della privazione del possesso di un diritto o un’emarginazione sociale); se determina uno svilimento di modi e ideali di vita individuali, oppure collettivi (considerati inferiori, difettosi, così che si nega al portatore di farvi riferimento e di auto-realizzarsi, di comprendersi come essere apprezzato nelle sue qualità e capacità peculiari).
Honneth, oltre all’antropologia più negativa, con gli effetti dell’umiliazione e dello spregio, contrappone ai tre modelli di violazione, altrettanti modelli positivi di reciproco riconoscimento, cioè possibili autorealizzazioni di soggetti sociali nella loro singolarità: rispettivamente all’amore, al diritto, e alla solidarietà, corrispondono i sentimenti sociali della fiducia in sé stessi, dell’auto-rispetto e dell’autostima, sentimenti nascenti all’interno di altrettanti riconoscimenti intersoggettivi.
Al termine di questo breve viaggio, il tratto che accomuna queste brevi riflessioni è rappresentato dalla comunicazione, in ognuna delle sue possibili forme: essa costituisce un discrimine fondamentale tra conflitto e facilitazione dell’integrazione sociale. Proprio su questo terreno, ricco di asperità e contrasti, e sulla cura della comunicazione stessa può agire, concretamente, la mediazione.
Paolo Ghiga
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