Tentato colpo di stato a Mosca il 19 agosto 1991
Una dolce musica di accompagnamento
Chi si fosse trovato a sintonizzare la televisione sui tre canali nazionali, nelle prime ore del 19 agosto 1991 a Mosca, avrebbe potuto ascoltare un’unica composizione musicale (il Lago dei cigni di Čajkovskij) ripetuta in loop, circostanza che, in ogni epoca e latitudine, è in grado di evocare presagi sinistri.
Di buon mattino giunse l’annuncio ufficiale: ”In rapporto all’inabilità di Mikhail Serghievich Gorbaciov per motivi di salute di svolgere le sue funzioni come Presidente dell’URSS, ho assunto le funzioni di Presidente dell’URSS a partire dal 19 agosto sulla base dell’art. 127 della Costituzione dell’URSS. Gennadij I. Janaev, VicePresidente dell’URSS”; un comunicato successivo esplicitò che in alcune parti dell’URSS era stato imposto lo stato di emergenza e, allo scopo di dirigere il paese, era stato costituito un comitato, di cui facevano parte, tra gli altri, il Presidente del KGB Krjučkov, il Primo Ministro Pavlov, il Ministro dell’Interno Pugo, il Ministro della Difesa Jazov, il ”facente funzioni di Presidente dell’URSS, Janaev.
Il Presidente Gorbaciov, in Crimea per qualche giorno di riposo, risultava isolato e irraggiungibile, di fatto sequestrato nella dacia presidenziale con la moglie Raissa.
Tale evento si inseriva in una fase estremamente critica della storia sovietica: una crisi economica feroce, strutturale e di lungo periodo, che non poteva più essere tenuta nascosta proprio a causa dei processi di glaznost e perestrojka – trasparenza e ristrutturazione – introdotti dal Presidente Gorbaciov, aveva indebolito il potere centrale sia sul fronte internazionale sia su quello interno, favorendo il rinvigorirsi di istanze nazionaliste nelle repubbliche sovietiche, che, una dopo l’altra, si proclamavano indipendenti.
Era necessaria una firma
Il giorno dopo l’inizio del putsch, in quell’agosto 1991, al termine di lunghe e laboriose trattative e con l’avallo del 70% della popolazione consultata mediante referendum, era previsto che Gorbaciov firmasse il “Nuovo Trattato dell’Unione”, che avrebbe dovuto trasformare l’URSS in una federazione di repubbliche sovrane, ed era stato preceduto, alla fine di giugno, dallo scioglimento del COMECON (Consiglio per il mutuo aiuto economico) e del Patto di Varsavia (il patto politico che si affiancava al COMECON e teneva legata l’URSS ai cosiddetti “paesi satelliti”, in contrapposizione alla NATO).
Quella firma, se mai fosse avvenuta il 20 agosto, avrebbe forse potuto siglare un’intesa, oltre che tra i vari stati ex sovietici, anche tra due distinte visioni storico-politiche, incarnate da un lato da Mikhail Gorbaciov, Presidente dell’URSS e Segretario del PCUS, che ancora sperava di conservare lo status quo attraverso le riforme progressiste, e dall’altro lato da Boris Eltsin, Presidente della Russia, inviso alla nomenclatura del PCUS in quanto deciso sostenitore della forma federativa, della fine del centralismo sovietico e della sovrapposizione fra partito e Stato. Nei mesi precedenti, il dualismo di potere fra governo locale russo e centrale sovietico aveva generato un vuoto istituzionale in cui fecero breccia le trame golpiste contrarie al rinnovamento.
Nelle parole di uno dei testimoni degli eventi del 19 agosto, Gennadij Burbulis, all’epoca braccio destro di Eltsin, “fu subito chiaro che si trattava di un tentativo disperato di impedire la firma del trattato, prevista per il giorno dopo. Ma questa era l’unica cosa chiara. Gli americani che seguivano gli eventi sulla CNN sapevano quel che succedeva in Russia più di quel che ne sapevano i russi; i conduttori dei notiziari a Mosca si limitavano a leggere la dichiarazione rilasciata dagli autori del colpo di stato”.
Questi ultimi, tuttavia, apparvero da subito deboli nella comunicazione dei propri intenti e privi di carisma, e il previsto supporto popolare al putsch non vi fu: per due giorni Mosca fu capitale di uno spettacolo surreale, con carri armati per le strade che non sparavano, né intervenivano, mostrando una tacita solidarietà con i resistenti. Le piazze e le vie delle città più importanti si riempirono di persone che protestavano, bloccavano le forze armate, inscenavano manifestazioni spontanee.ù
La risposta
Eltsin prese in mano la situazione dalla Bely Dom (Casa Bianca), l’edificio del parlamento russo, denunciando con forza il colpo di stato: l’immagine del Presidente russo che sale su un carro armato con il megafono e arringa i manifestanti, ritrasmessa dai media di tutto il mondo, divenne un simbolo di grande efficacia e rafforzò enormemente la posizione di Eltsin.
Un assalto alla Casa Bianca moscovita, programmato dalle forze speciali del KGB, fu annullato quando le truppe si rifiutarono unanimemente di eseguire l’ordine; un’unità di carri armati disertò e si pose in difesa del parlamento con le armi puntate verso l’esterno. Ci furono confronti armati nelle strade vicine, e tre dimostranti furono uccisi, ma comunque la violenza fu sorprendentemente limitata. Il 21 agosto la grande maggioranza delle truppe spedite a Mosca si schierò con la resistenza e tolse l’assedio al Parlamento.
Gorbaciov venne liberato, il 22 agosto tornò nella capitale, ma il centro del potere era adesso la Casa Bianca con Eltsin, non più il Cremlino; naufragata ogni possibilità di un nuovo trattato dell’Unione, il 24 egli si dimise dalla carica di Segretario del PCUS: aveva “perso i comandi” della stessa URSS, che, agli occhi del mondo intero, rappresentava, mentre stava crescendo la popolarità di Eltsin, peraltro con il plauso di tutto l’Occidente.
Pochi giorni dopo fu sciolto il PCUS. Il 25 dicembre Gorbaciov rassegnò le dimissioni anche da presidente dell’URSS, la bandiera rossa sul Cremlino venne sostituita da quella della Federazione Russa e il 26 dicembre l’Unione Sovietica smise formalmente di esistere.
C’è un altro punto di vista
Se questa è la ricostruzione dei fatti più accreditata, non sono mancati storici e analisti insospettiti dalle incongruità di un colpo di stato conclusosi in tre giorni senza bagni di sangue, che finì per accelerare il processo di dissoluzione dell’URSS che si proponeva d’impedire, decretando la fine politica di Gorbaciov e accreditando Eltsin come difensore della democrazia.
Una chiave di lettura alternativa, suffragata da evidenze documentali e testimonianze dei protagonisti di quegli anni (comprese le memorie dello stesso Eltsin), bolla il putsch del 1991 come falso, ritenendolo una macchinazione inserita in un più vasto piano segreto dall’evocativo nome in codice di “Project Hammer”, volto ad accelerare il crollo politico ed economico dell’Urss e a saccheggiare le sue ricchezze finanziarie ed energetiche; l’operazione sarebbe stata architettata dall’amministrazione USA facente capo a George Bush senior, di concerto con la CIA, l’alta finanza statunitense e alcuni dirigenti del KGB, coinvolgendo lo stesso Eltsin.
Secondo tale ricostruzione, nei mesi precedenti il golpe sarebbero stati trafugati all’estero 3mila tonnellate d’oro (equivalenti a 35 miliardi di dollari dell’epoca) e 435 milioni di rubli del PCUS (pari a 240 miliardi di dollari): finanziariamente dissanguata, e destabilizzata dagli eventi di agosto, l’URSS non sarebbe stata in grado di difendersi dal successivo attacco speculativo contro il rublo cui venne sottoposta tra il 1991 e il 1992, che portò al collasso definitivo l’economia sovietica e consentì il saccheggio delle sue risorse, in particolare con le privatizzazioni del settore energetico (petrolio e gas) facente capo al colosso statale Gazprom; l’acquisizione fu operata da un gruppo di oligarchi russi protetti da Eltsin e legati, attraverso una complessa rete di banche e società appositamente create, agli ambienti finanziari che avevano preso parte al Project Hammer.
Se la verità storica di quegli eventi attende ancora una ricostruzione univoca, un preciso monito circa le conseguenze di essi viene dall’amara chiosa di Gennadij Burbulis, intervistato nel 2011: “La struttura di un edificio può collassare e l’anima di un’ideologia può essere messa da parte, ma il suo spirito sopravvive. Nella Russia odierna questo persiste nella rinata convinzione che Stalin fosse un grande leader, nella nostalgia per la stabilità e la potenza del periodo sovietico che è stata inventata a posteriori, nella xenofobia e nell’intolleranza, nella mancanza di rispetto per i diritti civili, nella crescente corruzione, nella mentalità da potenza imperialistica di alcuni nostri leader e di alcuni nostri cittadini. È questa la pericolosa eredità di quei tre giorni di agosto di 20 anni fa”.
Silvia Boverini
Fonti:
“Agosto 1991: l’ultimo atto dell’URSS”, www.inventati.org;
“Il colpo di stato che fece crollare l’Unione Sovietica”, 23/06/2011, www.ilpost.it;
www.wikipedia.org;
L. Balzarotti e B. Miccolupi, “19 agosto 1991, golpe a Mosca. Venticinque anni fa il colpo finale all’Unione Sovietica”, 19/08/2016, www.corriere.it;
M. Vignolo Gargini, “19 agosto 1991, golpe in Unione Sovietica”, 19/08/2011, www.marteau7927.wordpress.com;
Enrico Piovesana, “L’altra verità sul golpe di Mosca”, www.it.peacereporter.net;
G. Chiesa, “Da Mosca. Cronaca di un colpo di stato annunciato”, Laterza, 1995
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