La strage di Marzabotto ebbe inizio il 29 settembre 1944
Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di una operazione di polizia contro una banda di fuorilegge, ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel comune di Marzabotto […] Siamo dunque di fronte a una nuova manovra dei soliti incoscienti destinata a cadere nel ridicolo perché chiunque avesse voluto interpellare un qualsiasi onesto abitante di Marzabotto o, quanto meno, qualche persona reduce da quei luoghi, avrebbe appreso l’autentica versione dei fatti.
Il Resto del Carlino, 11 ottobre 1944
Con queste parole, pochi giorni dopo i fatti, su richiesta del gerarca locale il quotidiano bolognese tentò di minimizzare quello che passò alla storia come uno dei più gravi crimini di guerra compiuti contro la popolazione civile perpetrati dalle SS in Europa occidentale durante la seconda guerra mondiale, ovvero l’eccidio di Montesole (o di Marzabotto, dal nome del più grande tra i comuni coinvolti).
Non era certo mancata l’occasione per apprendere “l’autentica versione dei fatti”: mentre il massacro era ancora in corso, il segretario comunale di Marzabotto inviò un rapporto al Prefetto della Provincia, Fantozzi, parlando di “spettacolo terrificante”, e qualche giorno dopo si recò a Bologna, a colloquio con lo stesso Prefetto e il suo vice, che non gli credettero e lo minacciarono d’arresto.
Ma le voci iniziarono a circolare, tra la popolazione e dalle frequenze di Radio Londra, perciò i vertici militari e diplomatici tedeschi presenti a Bologna annunciarono la costituzione di una commissione d’inchiesta; pochi giorni dopo, l’ambasciatore tedesco Sachs, non prima di aver suggerito severi provvedimenti contro quei funzionari italiani colpevoli di eccessivo allarmismo, riferì che nuclei di truppe paracadutate dell’esercito nazista erano venuti a contatto di fuoco con bande partigiane nella zona di Marzabotto, e “involontariamente” era stata causata la morte di qualche donna e bambino, asserragliati nei nidi dei “banditi”. Di tale spiegazione la Prefettura e i gerarchi fascisti si dichiararono pienamente soddisfatti, anche se si narra che lo stesso Mussolini, reso edotto dei reali termini della vicenda, se ne fosse lamentato – senza esito – presso Hitler.
Sei giorni di violenze, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944; l’intera area alle pendici del Monte Sole, nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, messa a ferro e fuoco, con la distruzione di 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese e cinque oratori; un conteggio delle vittime protrattosi per decenni, assestatosi infine a 770 morti accertati, di cui 216 bambini, 316 donne, 142 anziani, 138 partigiani, 5 sacerdoti. Infine, la morte nascosta: prima di andarsene i nazisti disseminarono il territorio di mine, che continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone.
Lo scenario dell’eccidio si trova sulla dorsale dell’Appennino bolognese, tra le valli dei fiumi Setta e Reno, principali assi di collegamento tra nord e centro Italia, con le linee ferroviarie Bologna-Firenze e Bologna-Pistoia; nell’autunno 1944 qui correva la linea Gotica, sulla quale si fronteggiavano forze tedesche e alleate. In piccoli villaggi, borghi e case sparse, risiedevano famiglie contadine e numerosi sfollati che, dai fondovalle e da Bologna, avevano cercato rifugio su queste pendici ritenendole più al riparo dai bombardamenti e dai rastrellamenti tedeschi e fascisti.
Il massacro di Montesole fu la tappa finale della c.d. “marcia della morte” delle truppe tedesche lungo la Gotenstellung, iniziata il 12 agosto in Versilia e proseguita dalla Lunigiana all’appennino bolognese, in un susseguirsi di stragi motivate esclusivamente dalla tattica del “fare terra bruciata” attorno ai combattenti partigiani; se l’ideatore della strategia fu il maresciallo Kesserling, l’esecutore fu il maggiore delle SS Walter Reder, “il Monco”, al comando del 16° Panzergrenadier “Reichsfuhrer”, col supporto di elementi delle Brigate nere di Carrara.
A fine settembre il “Monco” si spinse in Emilia ai piedi del monte Sole, dove si trovava la brigata partigiana “Stella Rossa”, guidata da un giovane del luogo, Mario Musolesi detto Lupo, ucciso nelle prime ore dell’azione militare. I partigiani si dispersero convergendo per lo più verso Monte Sole e Monte Caprara, senza essere inseguiti dai tedeschi, il cui obiettivo non era combattere ma annientare: uccidere gli abitanti, distruggere le case, razziare il bestiame.
La strage riguardò tutti i centri principali disseminati sulla collina e diverse decine di luoghi sparsi. Come sottolineano Baldissarra e Pezzino, “il piano prevedeva un attacco concentrico [che ebbe] il profilo di un massacro pianificato nel quadro delle operazioni militari della Gotica, […] senza riguardo alcuno a donne e bambini”, assimilati tutti a banditi, secondo la tipologia bellica della guerra ai civili, per la quale il massacro diventa strumento militare.
La prova di un effettivo rapporto con i partigiani non fu un elemento discriminante per le uccisioni: sebbene sia stata accertata la presenza di una spia che guidò i tedeschi nelle singole case e segnalò i collaboratori dei partigiani, causandone l’immediata esecuzione, moltissimi casi dimostrarono che tale identificazione non era necessaria per essere trucidati.
Il carattere rituale dell’omicidio di massa si tradusse nell’uccisione di gruppi di bambini sterminati con un colpo alla testa davanti agli occhi delle madri, costrette ad assistere prima di essere a loro volta uccise; gli stupri, le torture, il feto strappato dal ventre della madre, i corpi dilaniati e bruciati in cumuli, l’anziano troppo lento gettato vivo in un pagliaio in fiamme, l’anziana mitragliata sulla sedia a rotelle, gli omicidi dentro le chiese, i nuclei familiari sterminati (uno dei superstiti perse quattordici congiunti), il cadavere oltraggiato di un neonato di 14 giorni, i corpi insepolti che hanno continuato a emergere dalle macerie per mesi, e tutto quanto testimoniato da sopravvissuti e soccorritori non fu evidentemente abbastanza per il maggiore Reder, che anni dopo ebbe a dichiarare:
Quello che temo è che la storia mi possa rimproverare di non aver saputo utilizzare pienamente, per eccesso di spirito umanitario, possibili tattiche che sarebbero state vantaggiose per l’esercito tedesco.
Al termine della guerra, Walter Reder fu processato e nel 1951 condannato all’ergastolo; nel 1985, ottenne la liberazione anticipata per decisione del governo italiano, su intercessione dei governi austriaco e tedesco.
Il 13 gennaio 2007 il Tribunale Militare di La Spezia ha condannato all’ergastolo dieci imputati (tutti in contumacia) per l’eccidio di Monte Sole, ritenuti colpevoli di violenza pluriaggravata e continuata con omicidio, con sentenza confermata nel 2008 dalla Corte Militare d’Appello di Roma. L’istruzione dei procedimenti ha avuto luogo grazie alla scoperta, avvenuta nel 1994, di 695 fascicoli di inchiesta presso la sede della Corte Militare d’Appello di Roma, segnati con il timbro della “archiviazione provvisoria” datata 1960 e conservati in un armadio rivolto verso il muro, il cosiddetto “armadio della vergogna”.
Per quanto riguarda i collaborazionisti italiani, già nel 1946 la Corte d’Assise di Brescia condannò all’ergastolo i due repubblichini Lorenzo Mingardi (reggente del Fascio, detto “il ducetto di Marzabotto”) e Giovanni Quadri per collaborazione, omicidio, incendio e devastazione. Tutti e due furono successivamente liberati per amnistia. Così commenta lo storico Mimmo Franzinelli:
Voltare pagina. Questo fu il diktat imposto dall’allora governo repubblicano e dal clima politico presente in quel periodo in Italia. Uscita stremata dal secondo conflitto mondiale e incapace di guardarsi allo specchio, l’Italia ha preferito per la ragion di Stato mettere nel dimenticatoio della memoria tutte quelle vicende […] che videro coinvolti gli italiani, responsabili di atti disumani.
Nel 2009 i familiari delle vittime dell’eccidio, riuniti in associazione, hanno presentato quattro ricorsi chiedendo allo Stato italiano l’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo, sia per l’”archiviazione provvisoria” del fascicolo relativo a Montesole nel c.d. “armadio della vergogna”, sia per l’ulteriore inerzia seguita al suo ritrovamento, tra il 1994 e il 2002. Lo Stato è tenuto a rispondere di questo insabbiamento, sostengono gli autori del ricorso:
Quello che ci importa è far capire. Il dolore, la vita cancellata da una intera comunità, il senso di abbandono per una giustizia mai arrivata. Chiediamo che lo Stato si assuma la sua responsabilità, e spieghi davvero perché quelle indagini vennero insabbiate. Non vogliamo denaro, ma chiarezza e rispetto.
Silvia Boverini
Fonti:
www.wikipedia.org;
A. Petacco (a cura di), “Dossier: La strage di Marzabotto”, www.storiaxxisecolo.it/;
www.montesole.org;
M. Imarisio, “Class action su Marzabotto: «L’ Italia paghi 480 milioni»”, www.archivio.corriere.it;
www.eccidiomarzabotto.com;
www.storiaememoriadibologna.it;
www.resistenzamappe.it;
L. Baldissarra, P. Pezzino, “Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole”, Il Mulino;
A. Beccaria, “Monte Sole e altri crimini nazifascisti: le responsabilità italiane nel ‘dimenticatoio della memoria’”, www.ilfattoquotidiano.it;
A. Mandreoli, “Il fascismo della repubblica sociale a processo – Sentenze e amnistia (Bologna 1945-1950)“, ed. Il pozzo di Giacobbe, 2017
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