Inizia il processo contro gli “scassinatori del Watergate”
C’è stata una volta durante un periodo di crisi nazionale in cui politici di entrambi gli schieramenti misero da parte le faziosità politiche per scoprire la verità. C’è stata una volta in cui Democratici e Repubblicani si unirono per portare a una fine pacifica una presidenza corrotta e criminale. C’è stata una volta in cui i membri del Congresso misero la difesa della nostra democrazia sopra agli interessi dei partiti, per la ricerca di un bene maggiore. C’è stata una volta.
(Robert Redford)
Nel gennaio del 1973, il giudice federale per il Distretto di Columbia John Sirica avviò il processo contro gli “scassinatori del Watergate”: i cinque uomini sorpresi nottetempo, il 17 giugno ’72, nel quartier generale del Comitato nazionale democratico a Washington e i loro referenti, Gordon Liddy (ex funzionario dell’FBI) e Howard Hunt (già agente della CIA e collaboratore della Casa Bianca); in particolare, l’11 gennaio Hunt si dichiarò colpevole di cospirazione, furto con scasso e intercettazioni telefoniche, escludendo tuttavia il coinvolgimento degli alti livelli dell’amministrazione USA. Il processo si concluse con la condanna di tutti gli imputati, segnando l’inizio della debacle del presidente Nixon.
A tutt’oggi non é ancora chiaro cosa abbia spinto i potenti uomini della Casa Bianca a un’operazione di spionaggio del genere. In quell’inizio d’estate del 1972, a meno di cinque mesi dalle elezioni che lo avrebbero visto trionfare sul candidato democratico George Mc Govern, il presidente Nixon veniva dato in vantaggio di circa 19 punti, un margine di assoluta sicurezza per avere la rielezione garantita. Quell’operazione inutilmente rischiosa, fallita per un banale contrattempo, sarebbe costata molto cara a Nixon fin da subito, se nei primi mesi dopo il “furto” al Watergate i tentativi di insabbiamento e depistaggio non fossero andati a buon fine. Quasi mezzo secolo dopo, nessuno sa bene neanche che cosa i “ladri” stessero veramente cercando. L’unica cosa certa è che stavano tentando di riparare una cimice – che avevano installato tre settimane prima – in un telefono, che stavano frugando in mezzo ai documenti e ne stavano fotografando alcuni.
L’addetto stampa di Nixon, Ron Ziegler, sminuì l’episodio come un “furto di terz’ordine” e molti americani inizialmente credettero che nessun Presidente con il vantaggio che Nixon aveva nei sondaggi sarebbe stato così ingenuo e privo di etica da rischiare la carriera politica in tale modo. Tuttavia, l’implicazione di membri delle principali agenzie governative, le modalità del “furto” e l’atteggiamento dei “ladri” insospettirono la stampa, dando vita a una delle più celebri inchieste giornalistiche della storia, condotta da Bob Woodward e Carl Bernstein, grazie alla collaborazione della misteriosa fonte “Gola Profonda” (Mark Felt, all’epoca numero due dell’FBI, che rivelò la propria identità solo una trentina d’anni dopo).
Il Watergate iniziò per una questione di soldi, ma fu soprattutto una storia di arroganza del potere e del desiderio di attaccarsi al potere ad ogni costo. Per l’opinione pubblica americana la grande sorpresa fu che molti, troppi, erano stati disposti a sacrificare i principi e i valori fondamentali per queste motivazioni.
Gli investigatori stabilirono rapidamente i legami tra gli “scassinatori del Watergate” e il comitato per la rielezione di Nixon. Dietro di loro, piano piano, emersero – con più o meno implicazioni e responsabilità – le colpe di quasi l’intero vertice che governava l’America all’inizio degli anni Settanta. Per l’FBI fu abbastanza facile – e sempre più sconvolgente – risalire dal basso fino a Nixon, nonostante il Presidente, in un discorso del 15 agosto 1973, rivolgendosi alla nazione avesse giurato: “Non sapevo nulla della effrazione al Watergate. Non ho mai preso parte né sono mai stato a conoscenza di attività di “cover up”; non ho mai autorizzato, né incoraggiato subordinati a compiere azioni illegali o a usare tattiche improprie durante la campagna elettorale. Questa è la pura e semplice verità”.
Dopo aver seguito il flusso di cospicue somme di denaro illecitamente stornate dalla campagna per la rielezione di Nixon, l’FBI stabilì che l’effrazione del Watergate non era che la punta dell’iceberg di una massiccia campagna di spionaggio e sabotaggio politico condotto per conto del comitato per la rielezione di Nixon, (CRP, per assonanza fonetica e semantica detto “Creep”).
Nel maggio ‘73 ebbero inizio i lavori della Commissione del Senato che indagava sul Watergate, ripresi in diretta televisiva; il 13 giugno John Dean, consigliere della Casa Bianca, confessò di avere discusso dell’insabbiamento del caso Watergate con il presidente Nixon almeno 35 volte; il 13 luglio Alexander Butterfield, ex segretario presidenziale, ammise a malincuore in un’audizione al Congresso che sin dal 1971 Nixon registrava tutte le conversazioni e le telefonate effettuate nello Studio Ovale: la rivelazione fu scioccante per l’opinione pubblica americana ed ebbe l’effetto di mutare radicalmente le indagini sul Watergate.
I nastri magnetici furono immediatamente citati dallo Special Prosecutor responsabile delle indagini, Archibald Cox, e dal Senato, perché potevano dimostrare chi, tra Nixon e Dean, dicesse la verità. Il 23 luglio iniziò un lungo braccio di ferro tra Nixon e il Senato in seguito al rifiuto di consegnare alla Commissione d’inchiesta i nastri registrati alla Casa Bianca.
Tra ottobre e novembre Nixon tentò il tutto per tutto licenziando in tronco Archibald Cox; si dimisero il nuovo Ministro della Giustizia Richardson e il suo vice Ruckelshaus. Mentre Nixon proclamava in televisione per l’ennesima volta la propria innocenza, la Casa Bianca non era in grado di spiegare un “vuoto” di 18 minuti e mezzo in uno dei nastri richiesti dal Senato, e tentava di aggirare la richiesta dei nastri originali con la consegna di 1200 pagine di trascrizioni delle registrazioni. Lo scontro istituzionale si concluse il 24 luglio ’74, quando la Corte Suprema, con un atto senza precedenti, ordinò al Presidente degli Stati Uniti di consegnare i nastri incriminati.
Tutti i membri dello staff elettorale furono condannati per aver ostacolato le indagini sullo scandalo Watergate; si dimisero il Vice-Presidente Spiro Agnew e i principali consiglieri politici del Presidente. Richard Nixon, trincerato nello Studio Ovale, era in pratica solo contro il Paese che chiedeva giustizia e soprattutto la verità.
La posizione di Nixon era sempre più compromessa e la Camera dei Rappresentanti decise di intraprendere un’inchiesta per una possibile messa in stato di accusa del Presidente. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, il 27 luglio 1974 la Commissione Giudicante per la Camera dei Rappresentanti votò a favore dell’impeachment di Nixon con l’accusa di aver ostacolato il corso delle indagini, cui si aggiunsero altre due imputazioni per abuso di potere e ostacolo al Congresso.
Il “leone indomito” si arrese l’otto agosto: Richard Nixon annunciò le sue dimissioni per non essere incriminato. Lo choc emotivo del Paese fu enorme. Al suo posto fu nominato Presidente degli Stati Uniti Gerald Ford.
Secondo alcuni analisti, “il Watergate è stato solo un pretesto” e lo scandalo che ne seguì fu gonfiato perché in quegli anni tanti potenti avrebbero voluto la testa di Nixon, ritenuto tra l’altro responsabile dell’abrogazione del sistema di Bretton Woods, cosa che pur garantì successivamente la liberalizzazione della finanza e un sempre maggior controllo degli investitori sull’economia, ma che all’epoca non fu gradita alle multinazionali e alle banche internazionali. Per l’immaginario collettivo, tuttavia, il caso Watergate fu la dimostrazione che, in caso di crisi, il sistema di pesi e contrappesi progettati dalla Costituzione americana poteva realizzare un efficace bilanciamento tra i poteri dello Stato.
Silvia Boverini
Fonti:
www.it.wikipedia.org; A. Ceccarelli, “40 anni fa: Watergate e la fine di Nixon”, www.lindro.it; A. Flores d’Arcais, “Come e perchè nacque Watergate: dietro la maschera di Gola Profonda”, http://gnosis.aisi.gov.it; www.fordlibrarymuseum.gov; www1.adnkronos.com
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