M.A. Trombara: Gli strumenti di Giustizia Riparativa all’interno della comunità – Tavola rotonda “Ricostruire legami”
Nella Tavola Rotonda “Ricostruire legami”, in primo luogo, Maria Alice Trombara ha ricordato come si è trasformato il ruolo della comunità rispetto al reato verificatosi al proprio interno.
«Il ruolo che la comunità aveva nel passato in relazione alle situazioni di devianza dei suoi membri era assai ampio: poiché le società antiche sapevano bene come la vendetta e la faida potessero disgregare il tessuto sociale attraverso guerre e ritorsioni tra i clan in conflitto, per le dispute derivanti da quelli che oggi chiameremmo reati, la gestione erano svolta da assemblee di cittadini autorevoli, i quali cercavano in primo luogo di ricomporre la frattura sociale.
Quest’amministrazione della giustizia rimase possibile fino all’affermarsi delle prime monarchie militari, allorché il potere legislativo si concentrò in mano ad un unico sovrano. La comunità in tal modo perse il controllo della “questione penale”».
Spiega, quindi, Maria Alice Trombara che da quel momento si ebbe l’affermazione di due modelli di Giustizia,
«che hanno caratterizzato il controllo sociale attraverso la pena, cioè i modelli Retributivo e Rieducativo/ Riabilitativo, nei quali non solo la concezione di parte offesa (la vittima) ha un ruolo estremamente marginale, ma anche la società – che a sua volta è vittima in quanto turbata dall’allarme sociale che ne deriva – non trova parte alcuna in nessuna politica di prevenzione o risoluzione del fatto.
Nel modello Retributivo la società come d’altronde la vittima avevano come unico compito quello di potere assistere alla condanna per essere testimoni della sua effettiva irrogazione da parte delle istituzioni; nel modello Riabilitativo, dove il trattamento sanitario e rieducativo avveniva all’interno di strutture chiuse – fossero case di correzione, ospizi o manicomi – ci si poteva solo affidare all’attesa che i trattamenti sanitari e la rieducazione sociale potessero portare davvero ad un reinserimento del soggetto nel tessuto di appartenenza».
Come si perviene, allora, alla (ri)comparsa di alcuni strumenti e approcci di Giustizia Riparativa?
«Solamente dalla seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, facendo memoria di quanto ancora accade nelle cosiddette società a lenta evoluzione – come le tribù della Nuova Zelanda o gli indigeni Wayuus tra la Columbia e il Venezuela -, si inizia a prendere in considerazione l’allarme sociale che la devianza produce e a considerare l’ambiente di appartenenza degli autori come un soggetto leso nelle sue aspettative, in particolare quelle nutrite nei confronti dei propri membri. Secondo tale prospettiva solamente quando i rei, avendo preso coscienza dei danni causati, si attivano per porre in essere delle riparazioni, vengono riaccolti come cittadini “nuovi” della società».
Quali sono dunque gli strumenti di Giustizia (Riparativa) di Comunità che trovano applicazione in Italia?
«Per quanto oggi siano ancora poche in Italia le sperimentazioni sulla Giustizia di Comunità, assistiamo comunque ad una loro lenta implementazione nei programmi di Giustizia Riparativa.
Tra i principali che abbiamo preso a modello dai paesi oltre Oceano ricordiamo i seguenti.
I Restorative Circols (dialogo riparativo) che trae origine dai circoli rituali all’interno dei quali le tribù usavano riunirsi per risolvere i loro conflitti e sono caratterizzati dalla possibilità di promuovere un dialogo guidato in cui ciascuno dei partecipanti può esprimere, attraverso la narrazione dei fatti, la propria percezione della portata e della valenza del conflitto, delle emozioni coinvolte, del danno subito nella sua globalità e proporre soluzioni sulla modalità di prevenire danni futuri. All’interno del Circols, oltre alla vittima e all’autore dell’evento, prendono parte anche i rappresentanti delle istituzioni.
I Family Group Conferencing (modalità operative) sono una forma di mediazione allargata, che trae origine da alcune pratiche diffuse nelle comunità aborigene della Nuova Zelanda e nella quale si tende a realizzare un dialogo esteso ai gruppi parentali e a tutti i soggetti coinvolti nella commissione di un reato, al fine di decidere collettivamente le modalità di gestione del conflitto nascente dall’evento. All’interno di questo gruppo la comunità è presente attraverso i rappresentanti delle forze dell’ordine, dei servizi sociali».
Qui si trova il video dell’intervento di Maria Alice Trombara.
Il secondo intervento, di Maurizio D’Alessandro, è visibile qui; quello precedente, il primo, di Martina Vallesi si trova qui. Invece, qui è pubblicato il video dell’ultimo intervento della Tavola Rotonda “Ricostruire Legami”, quello di Antonella Baiocchi, su micro e macro conflitti e sul loro impatto emotivo sui protagonisti e sulla comunità.
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