L’umanità di Spencer Tracy, il fascismo e l’America First
Nasceva il 5 aprile del 1900, Spencer Tracy, uno dei più grandi attori di tutti i tempi, non a caso collocato dall’American Film Institute tra le 100 più grandi star della storia del cinema.
Oggi, sebbene siano trascorsi quasi 52 anni dalla sua morte (morì il 10 giugno del ’67), e 100 dal suo esordio sulle scene teatrali, Spencer Tracy non può ancora dirsi superato. Certo visse calato nella sua epoca, ma le battaglie politiche, sociali e culturali che scelse di combattere, dentro e fuori dal set, non sono tramontate, come non lo sono i problemi e i conflitti con cui si misurò. Era diventato una star, sì, ma, fino alla morte, seppe restare un essere umano.
Il carattere attuale e addirittura profetico di molti film con Spencer Tracy
Nel post del 3 aprile su questa rubrica abbiamo ricordato la sua ultima interpretazione, Indovina chi viene a cena (1967, di Stanley Kramer), ma molti altri sono i suoi film entrati a pieno titolo nella Storia del Cinema. Però, delle 74 pellicole interpretate in 37 anni di carriera cinematografica ce ne sono alcune che, riviste oggi, sembrano dirci cose terribilmente vere e oltremodo scomode per i nostri tempi. Si tratta di film “politici”, anche se realizzati nella speranza che ottenessero successo.
La denuncia della deriva fascista e del suprematismo bianco dell’America First
Prigioniera di un segreto (1942, di George Cukor), pur nei moduli del film di suspense e del dramma psicologico, non ha esitazioni nel denunciare gli obiettivi fascistoidi e gli strumenti di manipolazione di leader politici “carismatici” e populisti, svelando come l’esaltazione delle paure e dei sentimenti identitari corrisponda a disegni autoritari e regressivi di estrema destra [1]. Inoltre, Tracy e la Hepburn sono molto efficaci nel mostrare come anche persone colte e avvedute possano, smarrendo il senso critico, finire (momentaneamente) così irretiti dall’abile e mastodontica propaganda identitaria da non scorgere al primo colpo d’occhio le pur evidenti affinità tra un progetto fascista mascherato e una propaganda all’insegna di un “suprematismo bianco” implicito. In parte, il film si ispirava alla figura di Gerald L. K. Smith, fondatore del partito isolazionista e ultrareazionario America First.
Uno studio sull’ordinaria disumanità del nazismo
Due anni dopo, Tracy, saldamente piantato in cima alle vette del box-office, decise di appoggiare la produzione di La settima croce (1944, di Fred Zinnemann) [2]. Tracy era George Heisler, un intellettuale socialdemocratico, fuggito da un campo di concentramento nazista nella Germania del 1936 [3]. Drammaticissimo e serrato, il film non scendeva a compromessi nell’illustrare il diffuso consenso per il nazionalsocialismo sviluppatosi nella classe operaia, e in quella media, tedesca. Illuminante è il rapporto tra il personaggio di Tracy e quello impersonato da Hume Cronyn, l’operaio che, pur impaurito, per pura lealtà amicale, lo aiuta, senza capire, però, almeno inizialmente, perché mai non si dovrebbe apprezzare il regime hitleriano [4]. Presto anche Hume Cronyn si accorgerà degli abissi di disumanità cui può essere portata una nazione dalle campagne d’odio, dalla concessione di contentini al popolo, dal razzismo e dalla persecuzione dei capri espiatori e dei dissidenti.
La parità tra uomo e donna e la denuncia del maschilismo oltre che del consumismo
Dopo la guerra, in mezzo ad altre pellicole, tra cui un film non del tutto riuscito di Elia Kazan – Il mare d’erba (1947) – e alcune opere non memorabili, Spencer Tracy, Katharine Hepburn e George Cukor realizzarono insieme due commedie entrate a buon diritto tra le più amate e studiate di sempre [5]. Erano, infatti, anche esplorazioni problematiche sul rapporto tra i sessi, in particolare nell’ambito della vita coniugale. E smontavano con raffinata ironia stereotipi e pregiudizi sul ruolo ancillare della donna, mettendo in discussione il maschilismo imperante. Non meno riuscita fu la sottile parodia della società consumistica, denunciata ne Il padre della sposa (1951, di Vincent Minnelli) [6].
Due volte candidato onesto e competente e sconfitto da populisti e incompetenti
Molti americani, tra la metà degli anni Quaranta e la fine degli anni Cinquanta, pensavano che, se Spencer Tracy si fosse dato alla politica, pur essendo cattolico e di origine irlandese, avrebbe potuto facilmente sbaragliare ogni concorrente. Ma Tracy, che sostenne John Kennedy, fin dai tempi della sua candidatura al Senato, era del tutto privo di ambizioni politiche personali. Preferiva fare politica come privato cittadino, partecipando alle lotte per difendere le fondamenta di una società libera e democratica. E, in tale prospettiva, appoggiava e finanziava i movimenti per diritti civili, incluso e per primo quello di Martin Luther King (come facevano altre star più giovani quali, Burt Lancaster, Charlton Heston, James Garner, Harry Belafonte, Richard Widmark, Marlon Brando, Sidney Poitier e Paul Newman). Inoltre, invece di mettersi in politica, preferiva interpretare film in cui si riaffermavano i principi e i valori liberal-democratici.
L’imprenditore idealista strumentalizzato come uomo-immagine
Due piacevolissime commedie drammatiche, dirette da due giganti della regia, Frank Capra e John Ford, infatti, mettevano in rilievo le possibili erosioni del sistema democratico da parte di forze politiche spregiudicate. Quelle la cui ricerca del consenso si basa su di un uso, tanto cinico e spregiudicato quanto martellante, dei moderni mezzi di comunicazione e sull’assecondare la pancia degli elettori. Ne Lo stato dell’Unione (1948, di F. Capra), Tracy e la Hepburn interpretano, rispettivamente, un industriale di successo (molto noto e apprezzato per il suo idealismo e per le sue opinioni sulle ingiustizie sociali e su come risolverle), cui il Partito Repubblicano ha chiesto di candidarsi per la Presidenza, e la moglie, che lo aiuta a ribellarsi alle meschinità del comitato repubblicano [7].
Il sindaco, esperto e progressista, calunniato dalla campagna mediatica dell’avversario
Anche L’ultimo hurrah (di John Ford), ispirato alla vita del sindaco di Boston James M. Curley, vede Tracy impegnato in una competizione elettorale, come sindaco uscente, che amministra, da anni, con saggezza e competenza, una città del New England, cercando di realizzare, senza clamori, accorte politiche di Welfare State. Contro di lui è schierato un novizio della politica, supportato dalla stampa reazionaria e da un comitato che usa con sapienza i nuovi mass-media. Denigrato da una campagna di delegittimazione, tutta tesa a farlo apparire come maneggione corrotto (una denigrazione così efficace che in un primo tempo convince anche suo nipote, cronista sportivo del giornale di destra che lo attacca da sempre), verrà sonoramente sconfitto.
Al fianco delle vittime della caccia alle streghe
In quegli anni Spencer Tracy, come altri attori (soprattutto democratici di area liberal, ma anche qualche repubblicano moderato), scese in campo contro la perversione della caccia alle streghe anticomunista [8]. I cacciatori di streghe, intenti a demonizzare le idee liberali e progressiste, tacciando i loro sostenitori riformisti di filocomunismo, non riuscirono mai ad incastrarlo, ma ne furono fortemente tentati – come lo furono, vanamente, anche nel caso del suo fedele ammiratore e poi amico personale Richard Widmark (ne abbiamo parlato nel post Richard Widmark, il cattivo “buonista” di Hollywood) e di altri tre suoi amici registi Fred Zinnemann, Stanley Kramer e John Sturges. Tuttavia erano finite vittime dirette della persecuzione anticomunista, venendo condannati al carcere o essendo inseriti nella cosiddetta Black List, molti amici e conoscenti progressisti di Tracy e della Hepburn [9]. Di questi, alcuni erano persone che Tracy amava o di cui aveva stima, mentre con altri era meno amico o perfino in conflitto, ma ne rispettava le capacità artistiche e le opinioni politiche. Tra i primi figuravano senz’altro celebri sceneggiatori come Donald Ogden Stewart, Ring Lardner Jr. e Dalton Trumbo, nonché l’attore più sovversivo dell’epoca, il “ribelle-con-una-causa” John Garfield [10]. Tra i secondi, al primo posto, c’era Fritz Lang (cui abbiamo dedicato il post Goebbels, Fritz Lang e la propaganda cinematografica nazista), seguito a ruota da Micheal Curtiz [11].
Con John Sturges per il garantismo e contro il razzismo
In quel periodo Spencer Tracy collaborò con un altro regista non ancora affermato, come già aveva fatto con Fred Zinnemann per La settima croce. Si trattava di John Sturges, il quale era stato toccato, ma fortunatamente non bruciato dalla persecuzione nei confronti dei progressisti di Hollywood, contro la quale si oppose pubblicamente. Insieme, Tracy e John Sturges, realizzarono prima un dramma giudiziario, a basso costo (Omertà, 1951), in cui si sottolineavano le storture derivanti dal giustizialismo, poi il più significativo e celebre Giorno maledetto (1955) [12]. A questo film abbiamo dedicato un post, già un paio di anni fa, sulla rubrica Politica e conflitto. Qui si ricorda soltanto che il film propone le disavventure di un reduce della Seconda Guerra Mondiale, privo di un braccio, Macreedy (Spencer Tracy), recatosi in una cittadina sperduta nel deserto per cercare il padre di un suo commilitone, un nippo-americano morto in Italia sul campo di battaglia. Scoperto che il vecchio giapponese era stato bruciato vivo da un gruppetto di razzisti, Macreedy avrà a che fare con questi violenti razzisti, autoproclamatosi difensori della patria.
Il sodalizio con Stanley Kramer per la laicità e la difesa della dignità umana
Il rapporto più importante sul piano politico-cinematografico di Spencer Tracy con un regista fu quello sviluppatosi con Stanley Kramer. Oltre all’ultima pellicola interpretata dall’attore, essi realizzarono insieme altre tre opere. … e l’uomo creò Satana (1960). Sceneggiato sotto falso nome da un’altra vittima della caccia alle streghe, Nedrick Young, era basato su di una celebre commedia, ispirata al “Processo della scimmia di Scopes“, che nel 1925, a Dayton, nel Tennessee, vide gli avvocati William Jennings Bryan e Clarence Darrow (quest’ultimo difensore dell’insegnante John Scopes) fronteggiarsi in un caso riguardante la legge che vietava l’insegnamento di qualsiasi aspetto della teoria evoluzionistica. Il film era apertamente schierato dalla parte dei principi liberali, a partire dalla libertà di insegnamento e dalla laicità dello Stato [13]. L’opera successiva, il monumentale e riuscitissimo Vincitori e vinti (1961), affrontava lo scottante processo di Norimberga. Più che una requisitoria sulle responsabilità dei vertici politici, amministrativi e militari del Terzo Reich, si trattava di una disanima sulla facilità con la quale, in nome del patriottismo, anche chi non è affetto da fanatismo può trasformarsi in complice della disumanità più atroce [14]. Tracy fu diretto da Kramer, oltre che nella colossale satira dell’avidità umana Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo (1963), anche, come abbiamo ricordato, nel suo ultimo film Indovina chi viene a cena (1967).
Il miglior Spencer Tracy del mondo
All’indomani della nomination all’Oscar per Il padre della sposa, Spencer Tracy, che già ne aveva ottenuti due, in due anni consecutivi (in ciò raggiunto solo da Tom Hanks), per Capitani coraggiosi (1937, di Victor Fleming) e La città dei ragazzi (1938, di Norman Taurog), fu definito dalla stampa americana, “il miglior attore cinematografico del mondo”.
«Io ci metto Spencer Tracy. Nessun altro potrebbe metterci Spencer Tracy perché non è me».
Molti suoi colleghi concludevano tale definizione. Non la condivideva lui, però:
«Come si può dichiarare che io sono il migliore attore del mondo? È piuttosto sciocco. Come questa faccenda dell’Oscar. Io sono terribilmente contento di essere stato inserito fra i candidati, tutti attori meritevoli. È già un onore per me. Ma, se dovessi vincere, forse che questo mi renderebbe migliore degli altri? Naturalmente no. Una buona interpretazione dipende dalla parte e da ciò che l’attore ci mette di se stesso. E da lui solo. Io ci metto Spencer Tracy. Nessun altro potrebbe metterci Spencer Tracy perché non è me. Certo, io sono il migliore Spencer Tracy del mondo. Se vogliono darmi un premio per questo, allora me lo sono meritato davvero».
La naturalezza di Spencer Tracy
In effetti, Spencer Tracy aveva la qualità rara d’essere naturale. Aveva il dono di recitare senza averne l’aria. Sapeva sempre nascondersi dentro il personaggio. E anche se spesso parlava male dell’arte dell’attore, definendola un mestiere scelto perché gli assicurava la possibilità di guadagnare bene, senza richiedergli troppo sforzo, egli, in realtà, metteva una coscienziosità meticolosa, una concentrazione e uno studio accuratissimi in ogni sua interpretazione. Ed era vero che la sua professione l’aveva reso ricco, ma solo dopo anni di duro lavoro e di sofferenze personali.
«Non mi sono mai sentito realmente a mio agio».
Nato a Milwaukee, nello stato del Wisconsin, il 5 aprile del 1900, secondogenito di un venditore di camion (che morì nel 1928), da ragazzino fu espulso da non meno di quindici scuole per al sua condotta ribelle. Trovò la pace solo in un liceo di gesuiti, dove si appassionò alla teologia. Poi al college si avvicinò alla recitazione. Iniziò così una lunghissima gavetta. Nel corso della quale, nel ’23, conobbe su un taxi, Louise Tredwell, una giovane attrice, che si innamorò di lui all’istante. Si sposarono nel settembre di quell’anno e ed ebbero un figlio (John), il 26 giugno del ’24.
Un uomo tormentato
Qualche mese dopo si resero conto che il piccolo John era sordo. Spencer Tracy, convinto che la sordità fosse dovuta ad una sua tara genetica, sprofondò nel senso di colpa e si diede al bere. Poi si riprese. Restò sempre vicinissimo al piccolo John, lavorando forsennatamente per garantirgli le cure. Nel ’42 Spencer e Louise fondarono una clinica per sperimentare nuove tecniche di educazione per sordomuti e per sostenere e formare i loro genitori e insegnanti. Tracy, senza pubblicità, se ne occupò per il resto dei suoi giorni, attribuendo sempre il merito del progressi della clinica a Louise. Come ricordato nel post su Indovina chi viene a cena, nel ’42 conobbe e si innamorò di Katharine Hepburn. Il legame con Louise era così saldo che restarono amici, conservando la capacità di essere solidali nella genitorialità (nel frattempo avevano avuto una figlia). Ma la bottiglia continuò ad essere un problema per Tracy.
Jekyll e Hide?
Qualcuno sosteneva che avesse una gamma interpretativa limitata. Forse non ricordano la varietà dei ruoli interpretati da Spencer Tracy Qualcuno sosteneva che avesse una gamma interpretativa limitata. Forse non ricordano la varietà dei ruoli interpretati da Spencer Tracy [15]. Chester Herskine, il regista teatrale che portò Tracy alla celebrità con una commedia a Broadway, un giorno gli suggerii che, poiché il mestiere dell’attore impone un distacco tra il personaggio e l’interprete, forse egli rischiava dia vere una doppia personalità. Tracy, sorridendo, osservò:
«Jekyll e Hide? Ho interpretato quella parte. Potrebbe essere, Come può darsi che recitare non sia un lavoro da adulti. Non mi sono mai sentito realmente a mio agio». Poi confessò: «Ma non farei nient’altro per nessuna cosa al mondo».
Alberto Quattrocolo
[1] Fu il secondo dei 9 film interpretati insieme da Spencer Tracy e Katharine Hepburn e il primo dei 4 in cui i due attori furono diretti dall’amico George Cukor (uno dei pochi che, a quel tempo, non faceva mistero della propria omosessualità). Si trattava di una sceneggiatura di Donald Ogden Stewart (a partire dal romanzo di I.A.R. Wylie), un intellettuale, di idee democratiche e progressiste, come anche la Hepburn e Tracy, che, avendo ben compreso il pericolo rappresentato dal dilagare del fascismo in Europa, aveva aderito immediatamente alla Hollywood Anti-Nazi League. Si era così collocato nel novero di quegli intellettuali impegnati al seguito dei quali, con l’entrata in guerra degli USA contro le potenze nazifasciste dell’Asse, si era schierata quasi l’intera nazione. Durante il periodo della “caccia alle streghe” in chiave anticomunista, iniziato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’avvio della Guerra Fredda, tuttavia la Hollywood Anti-Nazi League fu, piuttosto assurdamente, sospettata di simpatie comuniste e di finalità sovversive. Così Donald Ogden Stewart, nel 1950, finì nella cosiddetta lista nera (quella dei sospettati di essere anti-americani) e dovette trasferirsi in Inghilterra, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel ’75. Donald Ogden Stewart era stato un apprezzatissimo sceneggiatore hollywoodiano fin dagli anni Trenta, allorché aveva realizzato anche alcune delle sceneggiature più interessanti e di maggiore successo critico e commerciale in cui aveva lavorato Kate Hepburn. Prima di finire nella lista nera aveva firmato altri tre copioni interpretati da Spencer Tracy. Prigioniera di un segreto era quello che meglio esprimeva le sue preoccupazioni di liberale. Tracy, infatti, interpreta un reporter americano che, alla fine degli anni Trenta, rientra negli USA, dopo esser stato cacciato dalla Germania per le sue inchieste scomode sulle malefatte naziste, ma si consola al pensiero che la sua patria è e resterà una vera e forte democrazia, grazie a uomini come Forrester. Costui, considerato un nuovo Abraham Lincoln ed esaltato da milioni di americani, incluse foltissime schiere di giovani, per il suo abilmente sbandierato americanismo, si scopre, aveva costruito a tavolino la propria immensa popolarità per preparare l’affermazione graduale di un regime fascista, intriso di “suprematismo bianco”, negli Stati Uniti.
[2] Il film, a costo relativamente basso, diretto da Fred Zinnemann, un austriaco poi naturalizzato americano, sfuggito per un soffio al nazifascismo dilagante in Europa, era tratto dal romanzo di una profuga tedesca, Anna Seghers, e sceneggiato da Helen Deutsch. Fred Zinnemann, il regista, con La settima croce era alla sua prima prova in un film di serie A. Avvierà così una lunga, luminosa e pluripremiata carriera (inclusi due Oscar per la regia), costellata di opere apprezzabilissime o addirittura leggendarie, quali Atto di violenza (1948), Uomini (1950), Mezzogiorno di fuoco (1952), Da qui all’eternità (1953), Un cappello pieno di pioggia (1957), Storia di una monaca (1959), I nomadi (1960). … E venne il giorno della vendetta (1964), Un uomo per tutte le stagioni (1966), Il giorno dello sciacallo (1973), Cinque giorni, un’estate (1982).
[3] Disperato, solo e braccato, il personaggio di Spencer Tracy ricorda molto quello che l’attore aveva interpretato 8 anni prima, in Furia (1936), il primo film americano diretto da Fritz Lang, sfuggito alle grinfie dei nazisti la sera del 30 marzo 1933 (lo abbiamo ricordato nel post Goebbels, Fritz Lang e la propaganda cinematografica nazista). Anche qui Spencer Tracy era un uomo braccato dalla folla, un povero diavolo scambiato per un efferato criminale, vittima di un tentativo di linciaggio.
[4] Chi mai, dice sostanzialmente Cronyn, aveva dato dignità al lavoratore tedesco prima di Hitler? Con lo svilupparsi della vicenda, anche vedendo cosa i nazisti riservano a chi come Tracy non si adegua ai voleri del regime, Cronyn scoprirà il vero volto, disumano, del Terzo Reich.
[5] Il primo fu La costola di Adamo (1949), con una bravissima Judy Holliday, accusata di tentato uxoricidio. Il secondo fu Lui e lei (1952), che, sia pure nei modi della commedia, esplorava le ricadute sull’autostima di una donna (K. Hepburn) della costante svalutazione e denigrazione nei suoi riguardi (ciò che oggi definiamo violenza psicologica) inflitte dal marito (interpretato da un più che convincente Aldo Ray).
[6] Il film ebbe un tale successo commerciale che immediatamente fu preparato il sequel, Papà diventa nonno (1951, di V. Minnelli). In entrambi i film la figlia di Tracy era interpretata da una giovanissima ma già affermata Elizabeth Taylor.
[7] Avendo realizzato che, in realtà, il suo ruolo non è che quello di una rotella nella gigantesca macchina propagandistica creata, Tracy rinuncerà in diretta televisiva alla candidatura, denunciando la corruzione cui si stava prestando.
[8] Considerando un’aberrazione la Commissione d’Inchiesta sulle Attività Anti-Americane (HUAC) e giudicando delle violentissime pagliacciate anti-democratiche le udienze che questa teneva per “espellere” i comunisti dai più diversi settori amministrativi e produttivi, inclusa l’industria cinematografica, non esitò a schierarsi. Insieme a Tracy e a Katharine Hepburn, tra coloro che attivamente ed esplicitamente avversarono, mobilitandosi di persona, la deriva fascista della caccia alle streghe vi erano attori come Laureen Bacall, Humphrey Bogart, Danny Kaye, Gregory Peck, Paul Henreid e Richard Conte. Tra i registi figuravano autori come William Wyler, George Cukor, George Stevens, John Huston e Joseph Mankiewicz.
[9] Come abbiamo visto nel post a lui dedicato (Paul Newman, un uomo oggi), accadde anche alla famiglia di Paul Newman di venire toccato dall’anticomunismo isterico di quegli anni.
[10] Dalton Trumbo, lo sceneggiatore più apprezzato e meglio pagato di Hollywood, aveva scritto le sceneggiature di due film bellici, apertamente propagandistici, girati durante la Seconda Guerra Mondiale e premiati da un grandissimo successo di pubblico, entrambi interpretati da Spencer Tracy. In particolare, Joe, il pilota (1943, di Victor Fleming), di cui Steven Spielberg fece un remake negli anni Ottanta, e Missione segreta (1944, di Mervyn Leroy), di cui abbiamo parlato nel post Quel bombardamento su Tokio di “incoraggiamento”. Ring Lardner Jr, giornalista notissimo e sceneggiatore di fama, aveva scritto il primo film girato insieme da Kate Hepburn e Spencer Tracy, La donna del giorno (1942, di George Stevens). Lardner, interrogato dalla Commissione fu tra quelli che rifiutarono di rispondere a qualsiasi domanda appellandosi al Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Venne perciò accusato di oltraggio al Congresso, condannato a un anno di prigione e al pagamento di una multa. Una volta scarcerato, essendo inserito nella lista nera degli Studios, venne licenziato dalla 20th Century Fox e andò a vivere in Gran Bretagna. Tramontato il maccartismo, nel ’71 gli fu attribuito l’Oscar per la sceneggiatura di M.A.S.H. (1970, di Robert Altman). Era una star amatissima John Garfield, ma il suo essere schierato apertamente a sinistra, lo aveva reso particolarmente inviso all’HUAC e al famigerato, all’epoca potentissimo, senatore Joseph McCarthy (a costui abbiamo dedicato il post: La fine della caccia alle streghe moderna: il maccartismo). I cacciatori di streghe e l’FBI molestarono John Garfield per anni. Nel ’52 fu chiamato dalla Commissione a testimoniare contro se stesso o contro altri progressisti di sua conoscenza. Morì di infarto, per la tensione, poco prima dell’udienza, a soli 39 anni. Aveva interpretato al fianco di Spencer Tracy una commedia picaresca, tratta da John Steinbeck, Gente allegra (1942, di Victor Fleming).
[11] Micheal Curtiz, nato in Ungheria, la cui intera famiglia d’origine fu annientata ad Aushwitz, era stato autore di una nutrita serie di successi in tutti i generi cinematografici, da quello strepitoso del prototipo di tutti i film di pirati, Capitan Blood (1935) al primo film sonoro su Robin Hood, La leggenda di Robin Hood (1938), fino al leggendario Casablanca (1942). Nel 1932 aveva diretto Tracy nel ruolo di un detenuto in Ventimila anni a Sing Sing.
[12] Spencer Tracy fu diretto da John Sturges anche in Il vecchio e il mare (1958), dal romanzo breve di Ernest Hemingway.
[13] Stanley Kramer mise Tracy nei panni di Clarence Darrow (nel film, però, si chiama Henry Drummond) e il suo vecchio amico Frederic March in quelli del suo fanatico e bigotto rivale, (ribattezzato nell’opera Matthew Harrison Brady). Frederic March, divo fin dagli anni Trenta, era stato anch’egli una vittima della Commissione d’Inchiesta sulle Attività Anti-Americane. Aveva evitato sia il carcere che la lista nera, dichiarandosi anticomunista e mostrandosi collaborativo con la Commissione.
[14] Particolarmente interessanti sono i passaggi in cui l’opera si sofferma sui meccanismi mentali di autogiustificazione che non solo gli imputati del film ma tutte le persone sono capaci di attivare per restare indifferenti o addirittura favorire o perpetrare le più spaventose negazioni dell’umanità.
[15] Nel ’30 esordì nel ruolo di un carcerato sullo schermo in una commedia diretta da John Ford (Up the river, 1930), seguirono moltissime parti, interpretate senza sosta, alla Fox, finché nel ’35, stanco dei ruoli un po’ stereotipati con cui si cimentava, passò alla Metro Goldwyn Mayer. Qui, venne affiancato più volte alla super-star della casa, Clark Gable. Per quanto fossero film di grandissima presa sul pubblico e ottimamente realizzati (da San Francisco, 1936, di W. S. Van Yke III, a La febbre del petrolio, 1940, di Jack Conway), Tracy era insoddisfatto. Ma, grazie all’intuito del produttore Irving Thalberg, riuscì a dimostrare di essere un buon richiamo per gli spettatori anche nelle pellicole in cui era il protagonista. Insomma, divenne una star e lo restò fino alla morte. Non soltanto, ma ebbe anche la possibilità di recitare sotto la direzione di quasi tutti i più grandi registi della storia del cinema hollywoodiano. Da John Ford a Henry King, da William A. Wellman a Frank Capra, da King Vidor a Raoul Walsh, da Micheal Curtiz a Fritz Lang, da Frank Borzage a Clarence Brown, da Sam Wood a Victor Fleming, da George Stevens a Mervyn Leroy, da George Cukor a Vincent Minnelli, da Elia Kazan ad Edward Dmytryk, da John Sturges a Stanley Kramer. Tra quelli che si affermarono già all’epoca del muto e lavorarono fino agli anni Cinquanta e Sessanta gli unici maestri con cui non ebbe la possibilità di lavorare, forse, sono soltanto Henry Hathaway, Howard Hawks, Alfred Hitchcock e William Wyler. Interminabile è, invece, la lista delle attrici e degli attori superlativi con cui collaborò.
Fonti
La visione dei film citati
AA.VV., Il cinema, Grande Storia Illustrata, Vol. II., Istituto geografico De Agostini, Novara, 1981
AA.VV., Storia del cinema mondiale, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2000.
Paola Cristalli, Commedia americana in cento film, Le Mani, Genova, 2007.
Claudio G. Fava, Guerra in cento film, Le Mani, Genova, 2010
Josè Maria Latorre, Avventura in cento film, Le Mani, Genova, 1999
Romano Tozzi, Spencer Tracy, Milano Libri Edizioni, Milano, 1976.
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