L’esperienza di Ascolto e Mediazione al tempo del Covid
Dopo oltre un anno di pandemia durante il quale abbiamo continuato, anzi abbiamo dovuto ampliare, l’erogazione dei nostri tradizionali Servizi gratuiti, che sono, di fatto diventati dei Servizi gratuiti di Ascolto e Mediazione al tempo del Covid (servizi svolti da remoto mediante videochiamate o conversazioni telefoniche, su appuntamento), ci sembra che valga la pena di dare conto di quanto abbiamo ascoltato dalle persone rivoltesi ai nostri servizi in questi 15 mesi abbondanti [1].
In estrema sintesi, gli interventi offerti si sono concretizzati: in una prima fase (quella corrispondente grosso modo al cosiddetto primo Lockdown), in forme di supporto erogate al fine della facilitazione della comunicazione interpersonale e della de-tensione dei rapporti principalmente per persone e famiglie che, a causa delle misure restrittive della circolazione finalizzate al contenimento dell’epidemia da Coronavirus, si sono trovate a vivere situazioni di criticità relazionali e difficoltà di comunicazione o di aperta conflittualità; in una seconda fase (il periodo estivo), in attività, sempre di ascolto e mediazione e di sostegno emotivo, indirizzate soprattutto a coloro che avevano subito gli effetti più dirompenti sul piano economico del Lockdown; nella terza fase (coincidente con la cosiddetta terza ondata), in attività di sostegno mediativo ed emotivo erogate in misura assai significativa a supporto di famiglie interessate da lutti dovuti al COVID, da esperienze di malattia con conseguente messa in quarantena presso il proprio domicilio e anche da ricoveri in terapia intensiva di uno o più membri del nucleo famigliare o di persone affettivamente significative facenti parte del gruppo famigliare più esteso.
I principali stati d’animo accolti nei Servizi gratuiti di Ascolto e Mediazione al tempo del Covid
In generale, i principali vissuti emersi nei fruitori dei nostri servizi gratuiti sono stati quelli dell’impotenza e dell’insicurezza, acuiti dalla sensazione di non potersi porre come soggetti attivi ma solo come vittime della situazione di disagio. Ciò quasi sempre si è accompagnato a vissuti di colpevolizzazione o inadeguatezza. In alcuni casi questa condizione emotiva ha portato all’innescarsi di meccanismi di auto-isolamento dalla famiglia, come modalità di evitamento rispetto alla situazione. Così, si è riscontrato come la mancanza di comunicazione e di attenzione tra i membri della famiglia abbia talora provocato all’intero sistema familiare uno stato di confusione e disorganizzazione, creando un ambiente pervaso dall’ansia e dall’insicurezza. Più in generale, si è riscontrato come le accresciute difficoltà dei membri della famiglia nel continuare a supportarsi a vicenda abbiano spesso dato luogo ad un incremento della conflittualità.
La traduzione dell’angoscia e dell’impotenza in rabbia verso l’altro
Uno degli aspetti positivi che i percorsi hanno rivelato possedere riguarda l’elaborazione della rabbia: al termine del percorso svolto le persone hanno superato la tendenza a scaricare sull’altro la rabbia, scaturita da frustrazioni, angosce e dolori. In particolare, si è consapevolizzato che la rabbia, proiettata all’esterno crea lontananza, sia nel senso che tiene lontani gli altri, sia nel senso che ci si allontana dall’altro. Alimentando quella solitudine, fonte di ulteriore incrementi di dolore e rabbia.
Più nel dettaglio si è osservato quanto segue:
- nella prima fase, le gran parte dei problemi relazionali ed emotivi gestiti erano legati soprattutto alla costrizione alla permanenza in casa, che aveva prodotto l’innesco di difficoltà di comunicazione, nei termini di un’esasperazione di dinamiche conflittuali preesistenti, oppure di una slatentizzazione di quelle fino a quel momento controllate. Più raramente sono state gestite tensioni tra famigliari, i quali, non trovandosi nella stessa abitazione, proprio per l’impossibilità di incontrarsi e frequentarsi, avevano sviluppato rilevanti difficoltà di dialogo;
- nella seconda fase, sono prevalsi i conflitti e i disagi riconducibili agli effetti lungo termine del cosidetto Lockdown. In particolare, si è trattato di dinamiche conflittuali e di sofferenze dovute al fatto che lo stress, le paure e le frustrazioni, anche e soprattutto legate alle ricadute economico-occupazionali dell’epidemia, hanno dato luogo a difficoltà di condivisione e di supporto reciproco, traducendosi in fattori emotivi favorenti, appunto, l’assunzione di atteggiamenti risentiti o di condotte conflittuali;
- nella terza fase, si è spesso appurato come moltissime situazioni conflittuali riproducessero nella sfera privata (famigliare) il conflitto manifestatosi sulla scena pubblica: coloro i quali sono stati denominati “negazionisti”, “no mask” e “minimizzatori” versus coloro cui è stata appioppata dai primi l’etichetta di “allarmisti”, “ipocondriaci”, “creduloni”, “complici della dittatura sanitaria”. Infatti, all’interno delle coppie e delle famiglie interessate da tale conflitto le tensioni si collegavano alle diverse modalità di reagire alle misure di prevenzione del contagio, come in parte riscontrato anche nei periodi precedenti, ma con un sovrappiù di ideologizzazione del conflitto. In ordine a tali situazioni, la criticità più ovvia per i mediatori è stata la conservazione di atteggiamenti di imparzialità (specie in rapporto alle più urlate prese di posizione negazioniste), rispetto alla quale si è rivelato provvidenziale, per presidiare quell’irrinunciabile aspetto dell’atteggiamento del mediatore, la forma supportiva costituita dalla supervisione. Va tuttavia segnalato che, in tutti i casi affrontati l’ideologizzazione del conflitto in questione era più apparente che sostanziale e, in ogni caso, costituiva una modalità reattiva rispetto all’angoscia e alla frustrazione, talché la stessa gestione di tali contrapposizioni, a prima vista caratterizzate da impressionante estremismo, è stata meno ardua di quanto inizialmente temuto.
Una contraddizione profonda sullo sfondo
In termini più generali, facendo ricorso a concetti psicoanalitici, può dirsi che, nello svolgere quest’attività gratuita di Ascolto e Mediazione al tempo del Covid, si è rivelata la costanza di una irrisolta tensione interiore tra i freudiani “istinto di vita” (Eros) e “istinto di morte” (Thanatos), cioè tra le pulsioni di vita, quelle costruttive e vivificanti, che inglobano le pulsioni sessuali e sono alla base dei comportamenti mirati alla conservazione e allo sviluppo della vita, e la pulsione di morte, che rappresenterebbe la tendenza umana verso l’aggressività, la stagnazione e la distruzione. Infatti, negli ambiti più importanti dell’esistenza le persone si sono trovate a vivere una condizione fortemente contraddittoria: per seguire l’istinto di vita (Eros), ossia per tutelare la propria e l’altrui salute, hanno dovuto osservare dei comportamenti, di per sé, sarebbero etichettabili come depressivi e simbolicamente associabili a Thanatos: tenere le distanze, mascherarsi il viso, mortificare la propria spontaneità affettiva, reprimere la propria operosità, porre un freno allo spirito di iniziativa in ambito commerciale, ecc. (su tale chiave di lettura ci siamo soffermati nel post La mediazione tra Eros e Thanatos durante la pandemia pubblicato il 21 aprile del 2020 su questa rubrica).
Lutti, quarantene e solitudini
La sofferenza personale e relazionale, spesso foriera di disagi profondi su vari membri delle famiglie, dovuta alla difficoltà di risolvere tale contraddizione, si è spesso associata all’angoscia legata ad una minaccia invisibile, in alcuni casi anche ai lutti sofferti a causa dell’epidemia o all’esperienza della malattia e/o della messa in quarantena: in non pochi degli ultimi casi gestiti da professionisti di Me.Dia.Re. i beneficiari avevano contratto il virus ammalandosi seriamente, pur senza necessitare di ricovero in ospedale. Anche rispetto a costoro, nel momento in cui si sono trovati costretti alla quarantena all’interno della propria stanza tra le mura domestiche, il servizio gratuito offerto è stato di fatto uno spazio in cui dare cittadinanza anche assai spesso a vissuti di solitudine, in cui poterli verbalizzare e rifletterci sopra, elaborandoli, nei limiti del possibile.
Ferite e sofferenze di lenta guarigione
Si potrebbe pensare che attualmente, grazie alla sempre più rilevante vaccinazione di massa e alla conseguente riduzione dei decessi e dei ricoveri, il tema della sofferenza legata alla pandemia possa essere messo discretamente da parte. Tuttavia, questa, pur comprensibile, tentazione di lasciarsi questo doloroso e angoscioso passato alle spalle, cozza con una realtà granitica: ci vuole tempo per riprendersi da simili batoste. Senza trascurare la diffusa persistente sensazione che il flagello sia tutt’altro che risolto ma solo sospeso.
I nostri Servizi gratuiti, infatti, continuano ad erogare prevalentemente un’attività di Ascolto e Mediazione al tempo del Covid poiché il dolore, in tutte le sue forme, continua a circolare, così come continua, per ora, circolare il virus. Le perdite sofferte, sia quelle di persone care (famigliari, partner, amici) che quelle di natura economica e lavorativa, non sono solchi che possa richiudersi velocemente. Anzi, in molti casi il dolore emerge in tutta la sua potenza proprio nel momento in cui la minaccia esterna si fa meno opprimente e la necessità di reagirvi si attenua. Sono quelli i momenti nei quali le nostre difese psicologiche si abbassano e i sentimenti più ingombranti fin lì tenuti a bada affiorano con acuta intensità lacerante.
Non è casuale, quindi, che quei Servizi di Ascolto e Mediazione al tempo del Covid siano fruiti anche come luogo in cui, per così dire, leccarsi le ferite. Cioè, per ascoltarsi, per entrare in contatto con le sofferenze fin lì un po’ represse, con il supporto esterno di mediatori e psicologi.
Alberto Quattrocolo
[1] In primo luogo, però, è doveroso ricordare grazie al sostegno di quali enti tali Servizi hanno potuto essere offerti gratuitamente: la Fondazione CRT, la fondazione Compagnia di San Paolo, la Città di Torino, la Circoscrizione 7 e la Circoscrizione 8 della Città di Torino.
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