La vita spericolata di Sterling Hayden
Sterling Hayden fu e fece tante cose. In ordine cronologico: mozzo, pescatore, capitano di marina, imprenditore navale fallito, modello, stuntman, attore cinematografico di secondo piano, marito di una superstar internazionale, agente dell’O.S.S. (Office of Strategic Service, la futura C.I.A.), combattente sul fronte italiano e, accanto ai partigiani comunisti, su quello jugoslavo, contro le truppe hitleriane; membro del Partito Comunista Americano e star hollywoodiana in ascesa; oppositore della Commissione d’indagine per le Attività Anti-americane, poi collaboratore con essa e delatore; alcolista e attore svogliato di film di serie B; di nuovo divo, perfino di respiro internazionale, sotto la direzione di maestri come Nicholas Ray, Stanley Kubrick, Robert Altman e Bernardo Bertolucci; esule in fuga dal fisco, romanziere.
Sterling Hayden si spense il 23 maggio del 1986, a settant’anni, per un tumore alla prostata.
La sua vita vale la pena di essere ricordata.
«… be’, non puoi che mandare al diavolo questo fottuto sistema»
Sterling Hayden venne battezzato con il nome di Sterling Relyea Walter. Alla morte del padre George Walter, a 9 anni, venne adottato da James Hayden. La nuova famiglia fece diversi traslochi (New Hampshire, Massachusetts, Pennsylvania, Washington D.C.), prima di stabilirsi nel Maine, dove Sterling Hayden terminò gli studi. A 17 anni si imbarcò come mozzo. Amava il mare, e la lettura dei romanzi di Robert Louis Stevenson e di Joseph Conrad lo aveva portato a sognare una vita da marinaio. Iniziò come mozzo su un peschereccio, facendo avanti e indietro tra le coste della California – quindi, sul Pacifico – e quelle del Connecticut, sull’Atlantico. Poi trovò lavoro come pescatore sull’isola canadese di Terranova. Fu svolgendo questo lavoro, che iniziò a sviluppare un’avversione verso il sistema capitalista.
«Quando peschi un maledetto pesce sputando sangue e te lo pagano due centesimi per poi rivenderlo a cento a tua madre, be’… non puoi che mandare al diavolo questo fottuto sistema», spiegò in seguito.
Da pescatore a capitano e da imprenditore a modello
Passò, quindi, a lavorare su delle grandi navi da pesca. In quel periodo fece undici volte viaggi per Cuba, con l’incarico di pompiere. Dopo il diciannovesimo compleanno fu nominato secondo ufficiale. Quando ne compì venti divenne capitano su navi da crociera. Aveva già fatto due volte il giro del mondo. Ma voleva mettersi in proprio. Così, con i risparmi messi da parte acquistò una nave da traghetto per aprire una linea di navigazione. Purtroppo la nave fece naufragio. Naufragò così anche il suo progetto imprenditoriale. Sterling Hayden si ritrovò spiantato. Fece, allora, ricorso all’ultima risorsa economica che gli era rimasta. Il proprio aspetto fisico. Era alto quasi due metri , aveva un corpo asciutto e muscoloso, e la sua era una faccia che non poteva passare inosservata. Iniziò a lavorare come modello. Così, una delle maggiori compagnie cinematografiche americane, la Paramount, lo notò e lo assunse. Dapprima, per un brevissimo periodo, come controfigura, poi come attore di secondo piano in un paio di film. Sul set del secondo di questi, il non eccelso Passaggio a Bahama (1942, di Edward H. Griffith), conobbe Madeleine Carroll. Era un’attrice inglese di talento e di indiscutibile fascino. Avendo interpretato due ottime pellicole del “periodo inglese” di Alfred Hitchcock – Il club del trentanove (1935) e Amore mistero (1936) -, era stata chiamata ad Hollywood, diventando nel 1938, senza essere una sex-symbol, l’attrice meglio pagata al mondo. Aveva affiancato divi come Gary Cooper (in due film), TyronePower, Ronald Colman e Henry Fonda. Ma si innamorò dello sconosciuto Sterling Hayden. I due si sposarono quasi subito.
L’amore, la guerra contro il nazismo e l’adesione Partito Comunista americano
Madeleine Carroll, in quel periodo, aveva messo da parte il suo impegno cinematografico. La sua unica sorella, Margaret, era morta in Gran Bretagna sotto le bombe dell’aviazione tedesca. La Carroll, quindi, si dedicava quasi a tempo pieno al lavoro in diversi ospedali della Croce Rossa. Sterling Hayden, già, antifascista, fece propria la causa anti-nazista della moglie. Entrati in guerra gli Stati Uniti, dopo l’attacco a Pearl Harbour del 7 dicembre 1941, Sterling Hayden entrò nel C.O.I. (Coordinator of Information), che presto si trasformò nell’O.S.S. (Office of Strategic Service), un organismo di intelligence esclusivamente dedito ad azioni di guerra (destinato a diventare l’attuale C.I.A.). Mentre la moglie operava come volontaria curando i soldati americani feriti sul fronte italiano, egli, entrato nei Marines sotto un altro nome (John Hamilton), combatteva le truppe naziste su quel fronte e poi, come agente segreto, sul fronte jugoslavo. Paracadutato in aiuto dei patrioti croati, compì azioni belliche tali da meritarsi la “Stella d’argento” e la “Arrowhead device” dalle forze armate americane ed un particolare riconoscimento dal Maresciallo Tito in persona.
Nel 1946, rientrato negli USA, l’ammirazione per i patrioti comunisti, la condivisione del pacifismo e della lotta alle diseguaglianze lo spinsero ad iscriversi al Partito Comunista degli Stati Uniti d’America. Vi restò poco. Ma quel gesto gli condizionò l’intera esistenza.
La giungla d’asfalto e la caccia alle streghe
L’adesione al Partito Comunista, infatti, e alcuni comportamenti pubblici di contrasto alla persecuzione anticomunista sviluppatasi negli USA alla fine della Seconda Guerra Mondiale, minarono seriamente la sua carriera cinematografica e gli costarono un tormento personale che non lo lasciò più. Nel ’47, lasciato dalla Carroll e sposatosi con Betty De Noon, era tornato sui set della Paramount e aveva partecipato ad alcuni film a budget medio o basso, come comprimario, proprio mentre iniziava ad operare sinistramente la Commissione per le attività antiamericane (HUAC). Dichiaratamente intenta a smascherare gli aderenti al Partito Comunista, considerati a priori dei sovversivi e delle spie, perseguitava, in realtà, chiunque avesse idee progressiste, mettendolo al bando. Sterling Hayden, allora attore di secondo piano, pur avendo già lasciato il partito, si unì ad un folto gruppo di star e registi, tra i quali Katharine Hepburn (ne abbiamo parlato qui), Danny Kaye, Richard Conte, Paul Henreid, Groucho Marx, William Wyler, John Huston, John Ford, Anatole Litvak, Humphrey Bogart e Lauren Bacall, che si opponevano fermamente alla persecuzione di artisti “colpevoli” di aver fatto parte del Partito Comunista o anche solo di aver appoggiato iniziative o organizzazioni di sinistra. Per quanto fossero amate quelle celebrità, premiati e visti da milioni di spettatori i loro film, la gran parte del popolo americano era del tutto contagiato dal clima della Guerra Fredda e ossessionato dalla paura del comunismo. Sicché l’appello ai principi costituzionali da parte di quel nutrito gruppo di nomi noti non ebbe l’effetto di far comprendere la natura illiberale e antidemocratica della Commissione e della politica che intendeva imporre al Paese. La Commissione anticomunista, tuttavia, per quanto riguardava Hollywood, se l’era presa fino a quel momento soltanto con registi e sceneggiatori, tralasciando gli attori. E come attore Sterling Hayden era sul punto di affermarsi. John Huston, uno dei registi più apprezzati tra quelli emersi negli ultimi dieci anni, gli aveva offerto il ruolo da protagonista nella trasposizione cinematografica di un romanzo noir, un best seller, del romanziere e sceneggiatore W. R. Burnett. Il film, Giungla d’asfalto (1950, di John Huston), ebbe un successo di pubblico e di critica impressionante e divenne immediatamente un classico intramontabile.
Sterling Hayden e la Commissione per le attività antiamericane.
Quell’anno, però, come abbiamo ricordato su questa rubrica, emerse la figura demagogica e spregiudicata del senatore repubblicano Joseph McCarthy (si veda il post A cavallo della paranoia), che scatenò un’ondata devastante di persecuzione verso chiunque avesse mostrato pubblicamente una certa sensibilità per i temi della pace, dei diritti civili o della giustizia sociale. Sterling Hayden, che fino a quel momento l’aveva scampata, finì nel mirino della nuova ondata di indagini svolte dalla Commissione nel mondo del cinema. Questa erano presi di mira proprio gli attori. Nel frattempo, il 5 aprile 1951 i coniugi Rosenberg, giudicati colpevoli di essere spie dell’Unione Sovietica, furono condannati a morte (abbiamo dedicato a questo fatto il post Quei Rosenberg fatti sedere sulla sedia elettrica per niente).
Da eroe a traditore
Cinque giorni dopo, il 10 aprile 1951 Sterling Hayden fu chiamato a deporre davanti alla Commissione per le attività antiamericane. Altri attori si erano esposti quanto lui contro la marea demagogica e anticostituzionale montante. Stelle sulla breccia da molti anni, come Spencer Tracy (l’abbiamo ricordato nel post L’umanità di Spencer Tracy, il fascismo e l’America First), erano, però, troppo universalmente amate perché fosse conveniente perseguitarle. E altre celebrità in ascesa, di idee liberali, come Richard Widmark (si veda il post Richard Widmark, il cattivo “buonista” di Hollywood), era meglio lasciarle stare se non si volevano mettere in difficoltà le case di produzione che su di esse stavano investendo. Ma per la Commissione Sterling Hayden era un soggetto assai meno problematico. Non era soltanto un progressista. Aveva un passato recente, per quanto breve come membro del Partito Comunista. Così lo braccò. L’audizione fu segreta, poiché, egli a differenza di altri, incluso John Garfield (come abbiamo ricordato nel post John Garfield “eroe proletario” distrutto dalla paranoia dominante), era disposto ad autodenunciarsi. Questo, infatti, non gli costava troppo, perché dal Partito, che non aveva preso le distanze dallo stalinismo, era uscito piuttosto in fretta. Del resto a lui interessava la realizzazione di una società più giusta e non di una società comunista. Però alla Commissione questo ravvedimento politico non bastava. Perciò, sempre, segretamente, Sterling Hayden diede alla Commissione quel che essa chiedeva come prova della veridicità del suo pentimento: denunciare altri comunisti o presunti tali. Venne avvicinato da uno psicoanalista per gestire lo stress, in realtà, era un collaboratore della Commissione preposto ad aumentare la pressione e a smorzare il senso di colpa dei testimoni reticenti. Sterling Hayden cedette e fece dei nomi. Anche se, secondo Betty De Noon, disse solo nomi già in possesso della Commissione, quella decisione fu per lui come il salto nella scialuppa di salvataggio, l’abbandono della nave in pericolo, compiuto dal protagonista del romanzo di Jospeh Conrad, Lord Jim. Da quell’abisso morale in cui si era lanciato, comprese che non sarebbe mai più riemerso.
Un mare di vergogna e di sensi di colpa
Nella sua autobiografia intitolata Wanderer (Vagabondo), scrisse.
«Non avete la più pallida idea del disprezzo che ho avuto per me stesso il giorno che feci quella cosa».
Nel ’57, quando la circostanza divenne di pubblico dominio, si sentirono traditi sia i suoi vecchi compagni comunisti sia i suoi colleghi contrari alla caccia alle streghe. Ma non era il loro biasimo a tormentarlo. Era il senso di vergogna. Si attaccò, quindi, alla bottiglia.
Non aveva, sostenne, una vera passione per la professione di attore, la considerava soltanto un mezzo per guadagnare i soldi per vivere viaggiando sul mare. Nel frattempo, però, dopo alcuni anni sprofondato in pellicole di scarso impegno produttivo, anche se alcune apprezzabili, il regista Nicholas Ray, un altro ribelle, un liberal inviso alla Commssione e agli anticomunisti sfegatati, gli offrì un ruolo immortale. Quello di partner della diva sul viale del tramonto, Joan Crawford, moglie del regista, nel western dichiaratamente antimaccartista Johnny Guitar (1954, di Nicholas Ray). A questo cult senza tempo, seguì un’altra performance efficacissima in un thriller a sfondo politico, tristemente profetico, su un complotto per assassinare il presidente degli Stati Uniti, accanto a Frank Sinatra: Gangsters in agguato (1956, di Lewis Allen). E in mezzo ad altre pellicole di interesse relativo, un ruolo roccioso nel secondo film di un genio emergente della Settima Arte, Stanley Kubrick. Sotto la sua direzione, Sterling Hayden impersonò il rapinatore disilluso di Rapina a mano armata (1955).
La riemersione della sua natura ribelle e la rivincita “politica”
Nel 1959, dopo un amarissimo divorzio, che gli pose severi limiti nella possibilità di vedere i propri figli, reagì alla depressione, prendendo con sé tutti e quattro i suoi bambini e partì per Tahiti, sfidando le decisioni del Tribunale. Quindi, nel 1960 si sposò con Catherine Devine McConnell, che rimase la sua compagna fino alla fine e che gli diede altri due figli. Restò lontano da Hollywood per altri quattro anni, tormentato dal fisco, visse a Parigi in un barcone, passando il tempo a scrivere quella che sarebbe diventata la sua autobiografia. Poi rispose alla richiesta di Kubrick di entrare nel cast di Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964, di S. Kubrick). Recitando accanto a Peter Sellers (impegnato in ben tre ruoli) e a George C. Scott, Sterling Hayden si prese una sublime rivincita politica. Impersonò un generale dell’aviazione, che imputava le proprie defaillances sessuali con la giovane amante ad un complotto comunista. In questa commedia apocalittica, egli seppe dare una credibilità quasi commovente ad un militare paranoico che scatena la terza guerra mondiale, nucleare (!), essendo convinto che la propria impotenza sessuale sia dovuta ad un folle sabotaggio ordito dai sovietici, i quali avrebbero contaminato l’acqua potabile negli Stati Uniti.
Uno splendido tramonto tinto di rosso
Partecipò negli anni Sessanta ad alcuni prodotti di qualità, continuando a navigare in giro per il mondo, tra una produzione e l’altra, ma ritornò in auge nei primi anni Settanta. Dapprima, grazie ad una parte di contorno ne Il padrino (1972), il capolavoro di Francis Ford Coppola, in cui interpretava McCluskey il poliziotto corrotto ucciso da Al Pacino, alias Michael Corleone. E subito dopo, interpretando un ruolo in cui c’era molto di suo, il romanziere ubriacone e suicida di Il lungo addio (1973, di Robert Altman), duettò superbamente col protagonista Elliot Gould. Inoltre ebbe un momento di popolarità partecipando ad un seguitissimo show televisivo della NBC, nel corso del quale raccontò molte delle sue disavventure. Poi, nel 1975, dovette rinunciare alla parte poi andata a Robert Shaw, ne Lo squalo (1975, di Steven Spielberg). Era, infatti, uscito dagli Stati Uniti per sfuggire al fisco americano. Ma nel suo soggiorno forzato in Europa Bernardo Bertolucci lo arruolò nel ricchissimo cast di Novecento (1976), che comprendeva Robert De Niro, Gerard Depardieu, Dominique Sanda, Romolo Valli, Donald Sutherland, Stefania Sandrelli, Alida Valli, Laura Betti, Stefania Casini e Burt Lancaster. In particolare, Bertolucci gli affidò la parte di Leo Dalcò, il patriarca della famiglia contadina. E Sterling Hayden fu di un’efficacia sconcertante nell’interpretare questo contadino (socialista) emiliano. Vi mise una forza e un’autenticità uniche. Sembrava davvero non aver mai fatto altro che il bracciante nella bassa emiliana. Ogni suo gesto e ogni suo sguardo esprimevano una dignità e un’autorevolezza naturali e antiche.
Quello stesso anno pubblicò il suo secondo libro, un romanzo storico intitolato Voyage: A Novel of 1896, che ebbe un buon successo.
Sterling Hayden visse, dunque, da protagonista le più macroscopiche contraddizioni del Novecento. L’amore per una donna e per la causa della libertà, insieme allo spirito d’avventura, lo resero un eroe della Seconda Guerra Mondiale. L’isteria e la paranoia collettive e il carattere grigio e subdolo della Guerra Fredda lo resero un traditore. Furono la scrittura e l’amore per il mare, oltre a quello per i figli, a salvarlo dalle forze autodistruttive generate dalla vergogna e dal senso di colpa.
Per sublime ironia, quanto aveva appreso all’O.S.S. gli fu utile anche negli anni di andata e ritorno da Hollywood: per tutta la sua carriera cinematografica, Sterling Hayden continuò segretamente la sua lotta al «fottuto sistema»: divenuto sindacalista, infatti, promosse e organizzò gli scioperi di attori e, soprattutto, maestranze a Hollywood, battendosi per il riconoscimento della dignità dei lavoratori.
Alberto Quattrocolo
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