La mediazione come contenimento del timore di essere giudicati negativamente per il solo fatto di essere in conflitto
Quando siamo in conflitto, molto spesso, rappresentiamo noi stessi come coloro che non hanno scelto di confliggere, ma che vi sono stati costretti dalle circostanze o dalla condotta della controparte.
Se siamo in lite, ci diciamo e diciamo agli altri, è perché siamo stati forzati a reagire ad un’aggressione di qualche tipo o ad un’altra ingiustizia.
Anche la nostra controparte, però, nella gran parte dei casi, ritiene di essere stata trascinata nel conflitto. E si propone ai terzi come obbligata a reagire all’offesa di un nostro comportamento.
Scriveva Brian Muldoon che prima di arrivare in tribunale il conflitto “arde nella mente e nel cuore degli attori del conflitto”, cioè si sviluppa sul piano cognitivo ed emotivo, prima di manifestarsi con comportamenti visibili. E, aggiungeva, le parti rappresentano se stesse come oggetto di un’ingiustizia, cui reagiscono chiedendo giustizia.
Perché tanto spesso viviamo il nostro essere in conflitto come se si trattasse di una reazione alla condotta altrui e non come se fosse un’azione scaturita da noi, non come se fosse una nostra scelta?
Tra le molteplici ragioni, forse, un ruolo non marginale lo gioca anche la nostra paura di essere giudicati negativamente, da noi stessi e dagli altri, per il solo fatto che siamo in conflitto?
Non è un’ipotesi da escludere, visto che il conflitto crea nella collettività reazioni all’insegna della preoccupazione, dell’allarme e della riprovazione.
Una delle peculiarità della mediazione consiste nel suo basarsi sul presupposto che l’essere in conflitto non è di per sé un fatto censurabile: non lo è in termini etici, sociali, morali, né sotto profili relazionali, personali, psicologici, ecc. Il conflitto, infatti, è considerato un evento naturale. E quando questo atteggiamento a-valutativo non è solo adottato in termini teorici dal mediatore, ma è da questi declinato nella pratica dell’incontro con i protagonisti del conflitto, gli effetti sono immediatamente visibili. Perché i protagonisti del conflitto, relazionandosi con il mediatore non sono più condizionati dalla necessità di persuaderlo che la Giustizia è dalla loro parte e che l’Ingiustizia è tutta collocata nel campo del nemico.
Tratto dalla lezione di Alberto Quattrocolo svolta nel primo incontro della XIV edizione del Corso di Mediazione Familiare.
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