La mediazione come attraversamento del conflitto
L’ attraversamento del conflitto costituisce davvero il solo modo per realizzarne il superamento?
Pare che fosse questo il pensiero di Robert Frost, allorché sostenne:
Il conflitto: l’unico modo per superarlo è attraversarlo.
Sì, però, mentre si è dentro il conflitto si sta male
Se vi è delle verità in quelle sue parole, però, è una verità anche scomoda. Lo è in quanto il conflitto non è un’esperienza comoda e confortevole. Certo, si dice che il conflitto serva a segnalare qualcosa che non funziona nella relazione. Oppure, si sottolinea che ha in sé un importante potenziale trasformativo. Aiuta a crescere, a definirsi, a individuarsi, a separarsi, a conoscersi, a mettersi alla prova, a fare pulizia… Tutto condivisibile, e anche vero, ma… a posteriori. Durante quell’esperienza, mentre si è dentro il conflitto, si sta male. E se qualcuno ci parla dell’ attraversamento del conflitto, dell’intero conflitto, in tutta la sua lunghezza, come condizione per crescere e migliorare, è possibile che non ci venga un moto d’invincibile entusiasmo. È possibile che l’ attraversamento del conflitto che stiamo vivendo ci sembri un’esperienza da incubo. Qualcosa che non augureremmo al nostro peggior nemico. O meglio, a lui magari sì. Ma non con noi.
Perché, sì, l’attraversamento del conflitto avviato oggi e concluso chissà quando, forse, un giorno ci sarà utile, come, del resto suole dirsi rispetto alla sofferenza. Ma …“un giorno”. Domani, nel futuro. Un futuro indefinito. Chissà quando, appunto. E chissà se.
Oggi, però, intanto, patiamo. E non ci sono se e non ci sono forse. È un fatto certo. Perché, è inutile nasconderselo: la relazione conflittuale, specie se la conflittualità ha raggiunto livelli di escalation particolarmente elevati, è quanto mai dolorosa, tormentata e angosciante. E, tante volte, vorremmo che ci fosse una medicina, una bacchetta magica, un rito, un intervento divino o un aiuto umano per poterne uscire fuori. Per venirne fuori presto e senza ulteriori danni.
Tante volte non cerchiamo un bottino, ma giustizia e riconoscimento
La vittoria, certo. Ma non basta. Perché, non è detto che ci sia sufficiente prevalere sull’altro. Tante volte ci occorre di più. Tante volte non cerchiammo un bottino, ma giustizia e riconoscimento. E, anche se sappiamo di non avere interamente ragione, siamo persuasi di averne di più di quanta non ne abbia il nostro nemico.
Abbiamo più ragione nel senso che siamo più ragionevoli e nel senso che siamo dalla parte giusta o, almeno, da quella meno ingiusta. E vorremmo che il mondo (cioè quell’insieme di persone che per noi contano qualcosa e rispetto alle quali ci preoccupiamo dell’immagine mentale che hanno di noi) lo capisse. Vorremmo, ad esempio, che comprendesse che non abbiamo aperto le ostilità per capriccio. Ma per reazione: perché siamo stati attaccati. E vorremmo far capire che l’abbiamo tentato più e più volte l’attraversamento del conflitto, ma che l’altro è indisponibile ad un vero e onesto confronto. Che è sfuggente. Oppure che è aggressivo. Che non sa stare a sentire. Che, invece, sa solo provocare. Vorremmo far capire a chi ci suggerisce che l’unico modo per superare il conflitto è dialogare – perché questo sarebbe il vero e solo attraversamento del conflitto -, che di tentativi di dialogare ne abbiamo fatti tanti da non contarli più. Ma sono stati inutili e frustranti: l’altro non ci sta. Non è capace. Non ha argomenti. Perciò la butta in caciara o si sottrae in altri modi.
Ma… allora… Robert Frost e la sua frase lapidaria?
L’Ascolto e la Mediazione come accompagnamento e sostegno nell’attraversamento del conflitto
Restano abbastanza vere, ovviamente, quelle parole. Amare, scomode e probabilmente vere. Però, un po’ meno scomode, un po’ meno amare, possono essere, se si considera la possibilità della mediazione. La quale, almeno, nella prospettiva, nel metodo e nella pratica professionale di Me.Dia.Re., non è riducibile ad un tentativo di ripristinare il dialogo (abbiamo approfondito tale aspetto nel post La mediazione e l’Alterità, all’interno di questa rubrica, Riflessioni), Ma uno stare accanto a chi sta vivendo un conflitto doloroso (s veda il post Nella mediazione si ascoltano le persone non (solo) le parti del conflitto), anche se non ha alcuna intenzione di mediarlo. Anche se lo irrita, lo spaventa o lo esaspera la prospettiva dell’attraversamento del conflitto. È uno stare accanto di qualche utilità, perché, in fondo, non è detto che l’attraversamento del conflitto vada fatto da soli. E perché non è detto che l’attraversamento del conflitto consista soltanto nel dialogare con il nemico.
L’attraversamento del conflitto può iniziare con l’essere ascoltati da qualcuno che non ha preconcetti verso di noi, non ha aspettative rispetto alla nostra condotta futura (si veda il post Il fine della mediazione non è prestabilito dal mediatore). Qualcuno che non ci giudica.
L’attraversamento del conflitto può proseguire anche così, con l’ascolto. L’ascolto e basta. E, quando ciò succede, questo attraversamento del conflitto si compie senza soffrire troppo, senza essere sopraffatti dall’angoscia. E, compiendosi in tal modo, porta con sé il superamento del conflitto attraversato.
Alberto Quattrocolo
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