La giustizia riparativa. Una percorso innovativo, per restituire centralità alla vittima
Come è noto, l’esperienza giudiziaria corrente offre scarse forme di autentica soddisfazione per la persona offesa e questo anche in caso di accesso a riti alternativi, quali il patteggiamento, o in caso di sospensione condizionale della pena: in queste ipotesi, la vittima del reato ha per lo più la sensazione amara che tutto sia accaduto “senza lasciare traccia”.
Nelle dinamiche processuali della giustizia ordinaria la vittima, di fatto, risulta estromessa dal processo decisionale in ragione della natura pubblica (statuale) del sistema penale, che “razionalizza” la sua umana vicenda di sofferenza, di paure, di rabbia e dolore, restituendole una compensazione simbolica (la punizione del reo) e una monetaria (il risarcimento del danno). Tuttavia tali provvedimenti non riescono a rendere ragione dei vissuti patiti o a lenire la ferita esistenziale aperta dal reato subito, così come nessuna ricostruzione processuale può permettere una rielaborazione in grado di restituire un senso all’accaduto.
D’altra parte, lo stesso autore del reato in molti casi pare subire passivamente la vicenda giudiziale e la sanzione. Quest’ultima, spesso, è da lui vissuta come una “ritorsione” di un apparato statuale alieno e distante, o come un “incidente di percorso” all’interno del proprio percorso di vita. Non sono molte infatti le situazioni in cui la pena innesca nel condannato una riflessione sul reato compiuto e riesce ad attivare una reale presa di coscienza e un’autentica assunzione di responsabilità circa le conseguenze del proprio gesto.
La Giustizia Riparativa, invece, distinguendosi nettamente dai modelli della Giustizia Retributiva e Riabilitativa, che normalmente prevalgono nei vari ordinamenti – compreso quello italiano – consiste di percorsi che consentono alla vittima di recuperare una posizione di centralità nel procedimento penale e al reo di accettare la responsabilità delle proprie azioni, così sanando la lesione al tessuto sociale che la commissione del reato di fatto ha determinato. Quindi, soprattutto nella forma degli interventi di mediazione penale, l’intervento si concentra sulla relazione interrotta (o mai costituita) tra la persona-vittima e la persona-reo, e si muove in un’ottica di gestione del conflitto, mettendo entrambe le parti nella condizione di ingaggiarsi in un confronto. In tal modo alla verità processuale si affianca un’altra “verità”, ricostruita dalle parti, in grado di rendere conto fino in fondo dei vissuti, delle emozioni, della sofferenza, delle motivazioni e dei bisogni dei soggetti coinvolti.
I processi di Giustizia Riparativa mirano quindi alla responsabilizzazione del reo, da un lato, e a offrire, dall’altro lato, alla vittima la possibilità di riappropriarsi dell’evento, di ritrovare un ruolo attivo e di restituire significato all’accaduto attraverso l’attivazione di un percorso comune che permetta una migliore comprensione reciproca dei fatti e dei loro correlati emozionali ed esistenziali.
Più in particolare, rispetto alle vittime l’obiettivo è fornire loro l’opportunità di uscire dall’isolamento, affrancandosi dal senso di abbandono e solitudine che spesso consegue alla vittimizzazione, attraverso la condivisione del carico emotivo in una condizione di ascolto in un contesto protetto. Inoltre, la possibilità di elaborare ed esporre le proprie istanze, che solo di rado, contrariamente all’opinione corrente, riguardano propositi di vendetta, afferendo invece ad un’esigenza di ricostruzione di senso e di riparazione e superamento del danno sofferto.
D’altra parte, la Giustizia Riparativa fornisce anche al reo una doppia opportunità: da un lato, quella di esprimere i propri sentimenti, di mostrare alla vittima di essere una persona e non un’astratta entità minacciosa, e di porre rimedio alla propria azione delittuosa. Dall’altro, di entrare in relazione con la vittima, in quanto persona in carne ed ossa, non più come estranea o addirittura come figura astrattamente considerata e vissuta, e di riconoscersi responsabile verso un “Altro-da-sé”. In tal modo, per il reo la norma giuridica infranta, da generale e astratta, giunge ad assumere valore concreto di protezione di un bene preciso e individuabile (quello della vittima), con significative conseguenze anche all’interno del percorso di reinserimento sociale.
Silvia Boverini e Alberto Quattrcolo
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1 E’ da notare tuttavia che anche nel nostro ordinamento si è fatto strada il paradigma della Giustizia Riparativa, ad esempio nelle disposizioni legislative che introducono, ai fini della riabilitazione delle persone colpevoli di qualche crimine, la possibilità di intraprendere un percorso di mediazione penale tra condannato e vittima, si pensi alla possibilità di intraprendere un percorso di mediazione reo-vittima promosse dal pubblico ministero in sede di indagini preliminari (ex art. 9 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448) o alle forme di mediazione reo-vittima impartite dall’Autorità giudiziaria minorile nel progetto di messa alla prova (ex art. 28 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448). Il nostro ordinamento prevede per altro in alcuni casi forme di riparazione riconducibili a una nozione ampia di giustizia riparativa, ad esempio negli istituti del lavoro sostitutivo (legge 689/81), del lavoro di pubblica utilità per alcune violazioni del codice della strada (ex art 54 d.lgs. 274/2000), del lavoro di pubblica utilità previsto per i tossicodipendenti (ex art. 73 comma 5-bis d.p.r. 309/90), dei progetti di pubblica utilità per i soggetti ammessi al lavoro esterno (ex art. 21, comma 4-ter, l. 354/75).
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