La Baia dei Porci, quando la logica del conflitto porta alla catastrofe
Il 19 aprile del 1961 si consumò il fallimento dell’invasione della Baia dei Porci. Il primo e il più clamoroso errore del presidente John Fitzgerald Kennedy. Un errore che pesò terribilmente sulla vita di moltissime persone, cubane e statunitensi, inclusa, forse, la sua. Sì, perché l’operazione della Baia dei Porci riguardava l’invasione da parte di esuli cubani anticastristi della loro madre patria, con il sostegno della CIA, per rovesciare il governo di Fidel Castro.
La Baia dei Porci: un’operazione segreta, piuttosto nota, autorizzata da Eisenhower
John F. Kennedy aveva appena iniziato il suo mandato. Era stato eletto l’8 novembre del 1960, battendo, anche se con un margine non esaltante, il candidato repubblicano, Richard M. Nixon, ex vicepresidente di Dwight David Eisenhower (abbiamo ricordato quella vittoria elettorale su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, nel post L’8 novembre la fiaccola passò a John Kennedy, «un idealista senza illusioni»). Il 6 dicembre Kennedy aveva incontrato il presidente uscente e i due avevano parlato un po’ di tutto [1]. Nel colloquio con Eisenhower, che tutti chiamavano Ike, però, il tema di quella che poi sarebbe stata la Baia dei Porci non emerse [2]. Né, del resto, emerse in quello del 19 gennaio del 1961. Eisenhower informò il neoeletto presidente che la sua amministrazione aveva fornito il massimo aiuto possibile ai guerriglieri anticastristi, di cui ne stavano addestrando un gruppo in Guatemala [3]. Ma l’attenzione a Cuba fu fugace in quel colloquio e non vi fu alcun cenno al fatto che fosse in corso la preparazione di un piano per quella che poi divenne la tentata invasione della Baia dei Porci [4].
La posizione ondivaga di Kennedy su Fidel Castro
Nel 1958-’59 l’allora senatore Kennedy aveva simpatizzato con la rivoluzione castrista contro il regime filoamericano, ma autoritario, repressivo e corrotto, di Fulgencio Batista [5]. Nel corso del 1960, però, era arrivato a condividere in parte le preoccupazioni americane su Castro, disapprovando la scelta di costui di essersi alleato con i comunisti cubani e di sfruttare i sentimenti anti-americani del suo popolo per avvicinarsi all’Unione Sovietica e alla Repubblica Popolare Cinese [6]. All’inizio del gennaio ’61 non prese posizione sulla decisione di Ike di rompere le relazioni con Cuba, poiché non escludeva la possibilità di un riavvicinamento con Castro [7].
Le pressioni della CIA sul nuovo presidente
Già il giorno dopo il suo insediamento la CIA iniziò a sollecitare il neopresidente perché agisse contro Cuba. In particolare il direttore Allen Welsh Dulles (che copriva tale incarico dal 1953) sostenne vigorosamente che gli USA avevano solo due mesi di tempo per decidere cosa fare degli esuli cubani che si stavano addestrando in Guatemala [8]. Pochi giorni dopo Alles tornò ad insistere sul rischio che non rovesciando Castro, Cuba sarebbe diventata un membro permanente del blocco comunista. E propose che gli Stati Uniti appoggiassero segretamente un’invasione da parte dei fuoriusciti cubani. Kennedy acconsentì a proseguire le operazioni segrete della CIA, ma ordinò che il piano d’invasione venisse rivisto e impose che nessuna decisione fosse presa senza la sua autorizzazione.
Kennedy davanti ad un bivio: apparire debole contro Castro e il comunismo, oppure tradire i principi progressisti di cui era considerato alfiere?
Kennedy si sentiva con le spalle al muro. Le alternative che gli venivano prospettate erano solo due. La prima era quella di fermare ogni programma di rovesciamento del regime castrista, disarmando gli esuli cubani presenti in Guatemala, con il rischio che costoro e la destra, a partire dai repubblicani, lo accusassero di disconfermare i piani di Eisenhower per combattere la diffusione del comunismo nel mondo e soprattutto nel continente americano [9]. L’altra possibilità era di sostenere l’invasione degli anticastristi, provocando proteste, tumulti e sabotaggi in Asia, Africa, Europa, America Latina, Canada e in buona parte degli Stati Uniti contro la politica imperialista del suo governo. In particolare, con questa seconda opzione Kennedy avrebbe palesemente contraddetto la propria immagine di sostenitore di quei principi progressisti (libertà, giustizia e autodeterminazione dei popoli) che la sua amministrazione per prima avrebbe dovuto rispettare [10].
L’opzione dello sbarco per gradi, «senza dare nell’occhio» e l’individuazione della Baia dei Porci
Il presidente, nella riunione dell’8 febbraio del ’61, chiese agli strateghi della CIA se era possibile far sbarcare i cubani per gradi, «senza dare nell’occhio», iniziando ad operare sulle montagne, così che potessero risultare come «una forza costituitasi all’interno di Cuba e non come una forza d’invasione mandata dagli yankee». La CIA e i militari lo rassicurarono.
La scelta della Baia dei Porci
Dulles e il vicedirettore della CIA per la pianificazione, Richard Bissell, nel loro incontro dell’11 febbraio con il presidente ripeterono che gli anticastristi addestrati in Guatemala sarebbero riusciti ad abbattere il regime cubano, o a provocare almeno una guerra civile, senza rendere necessaria un’azione diretta degli Stati Uniti contro Cuba. Kennedy, tuttavia, chiese che la visibilità del coinvolgimento USA fosse minima. La CIA, allora, lo rassicurò dicendogli che uno sbarco nella Baia dei Porci, nella zona di Zapata, centinaia di chilometri ad est di Trinidad (dove era stato inizialmente previsto lo sbarco) avrebbe conferito all’operazione l’apparenza di un’infiltrazione di guerriglieri a sostegno di una rivolta interna già in atto [11]
«Che cosa ne pensa di questa dannata invasione?» (Schlesinger). «Ci penso il meno possibile» (Kennedy)
Ma JFK, pur approvando il piano, si riservò il diritto di annullarlo fino all’ultimo momento, anche solo 24 ore prima dello sbarco.
«Che cosa ne pensa di questa dannata invasione?», gli chiese il suo assistente speciale Arthur Schlesinger, il 28 marzo. «Ci penso il meno possibile», fu la laconica risposta di Kennedy, che rivelava tutta la sua inquietudine. In realtà, egli ci pensava eccome.
Quello stesso giorno ordinò alla CIA di informare i capi della brigata cubana che in nessun caso avrebbero avuto l’appoggio di truppe d’attacco americane e di chiedere loro se, ciò malgrado, erano intenzionate a procedere.
Il «fallimento perfetto» della Baia dei Porci
In realtà, la brigata cubana, la CIA e i militari americani erano certi che Kennedy non avrebbe mai osato abbandonare i cubani sbarcati nella Baia dei Porci al loro destino, se l’insurrezione del popolo cubano contro Castro non si fosse verificata e se le forze armate cubane avessero sopraffatto gli anticastristi. Però a Kennedy e ai suoi collaboratori i vertici della CIA dissero che a Cuba c’erano 2500 oppositori clandestini organizzati, che potevano contare su 20.000 simpatizzanti e che la brigata cubana, una volta sbarcata, avrebbe avuto dalla sua un quarto della popolazione [12].
Un segreto noto a chiunque leggesse i giornali americani
Le perplessità di JFK e degli altri alla Casa Bianca, quelli che nutrivano dei dubbi o un aperto dissenso sul piano, erano acuite dal fatto che gli articoli dei giornali americani sull’esistenza di forze anticastriste, addestrate dagli americani, rendevano difficile smentire il coinvolgimento del governo. Kennedy in privato disse:
«Castro non ha bisogno di mettere agenti da queste parti. Non deve far altro che leggere i nostri giornali» [13].
Il 14 aprile, dunque, ordinò a Richard Bissell di ridurre da 16 a 8 gli aerei che i piloti cubani avrebbero dovuto usare per condurre l’attacco previsto [14]
L’impossibile impresa della Baia dei Porci
Il 15 aprile quegli 8 aerei (B-26) decollarono dal Nicaragua per bombardare tre aeroporti cubani [15]. Era l’inizio di quella che lo storico Theodore Draper definì «Uno di quegli eventi rari nella Storia: un fallimento perfetto». Il 17 aprile, il giorno dello sbarco, John Kennedy decise di far tenere a terra i 16 aerei degli esuli finché la testa di sbarco non si fosse consolidata, così che il loro impiego successivo fosse compatibile con la versione secondo al quale i B-26 erano decollati dalla spiaggia. In poche ore, tuttavia, lo sbarco si rivelò un’impresa impossibile. Com’era ampiamente prevedibile, e previsto dagli scettici, 1500 invasori non potevano farcela contro le preponderanti forze castriste. Né il popolo cubano era insorto contro il governo di Fidel Castro [16].
«È uno schifoso sistema per fare esperienza»
John Kennedy aveva resistito alle pressioni della CIA e dei militari, non inviando missioni di soccorso, né offrendo copertura aerea agli invasori [17]. In seguito confidò che i capi di stato maggiore e la CIA «erano sicuri che avrei ceduto. Non potevano credere che un principiante come non si sarebbe lasciato prendere dal panico e non avrebbe cercato di salvare la faccia. Be’, si sbagliavano di grosso».
Però Kennedy era distrutto: il 19 aprile 1961, 1200 degli oltre 1400 membri delle brigate cubane si erano arresi, 100 avevano perso la vita. Il presidente non poteva darsi pace. Cercò di trarre un significato utile da tutta la vicenda:
«È uno schifoso sistema per fare esperienza. Ma da tutta questa storia una cosa l’ho imparata, cioè che dobbiamo occuparci della CIA».
Il ministro della Giustizia Robert F. Kennedy affidò a Lyman Kirkpatrick, ispettore generale della CIA, la conduzione di un’indagine sull’insuccesso della Baia dei Porci. Anche se Dulles e Bissell sostenevano che era stato provocato dalla decisione di Kennedy di annullare l’attacco aereo, Kirkpatrick dimostrò che il presupposto dell’operazione, cioè l’insurrezione dei cubani per effetto dell’invasione sbarco, era totalmente infondato e noto come tale [18]. JFK chiese ad Allen Dulles di dimettersi [19].
«Come ho potuto essere così stupido?»
Il presidente era sconvolto, amareggiato e angosciato. Ed era arrabbiato con Dulles e con gli strateghi della CIA non meno di quanto lo era con i militari. Ma, soprattutto, lo era con se stesso [20]. Alla riunione del gabinetto del 20 aprile, era distratto, parlava da solo e ogni tanto si chiedeva ad alta voce:
«Come ho potuto essere così stupido?».
Riconosceva che anche il più fermamente contrario dei suoi collaboratori, William Fulbright, senatore alla Commissione del Senato per le Relazioni Estere degli Stati Uniti, avrebbe probabilmente finito con l’appoggiare l’operazione se fosse stato sottoposto, come era accaduto a lui,
«allo stesso bombardamento di informazioni fuorvianti circa lo scontento a Cuba, il morale dei cubani liberi, la stagione delle piogge, le teste di sbarco imprendibili, la facile fuga sui monti Escambray e quant’altro».
Però, lo sconcertava il fatto di non aver posto alla CIA e ai militari domande più puntuali e concrete e di aver permesso alla loro «sapienza» di convincerlo ad andare avanti. Decise che mia più si sarebbe «fidato ad occhi chiusi degli esperti» [21].
Questa esperienza gli fu preziosa nella gestione della crisi missilistica con Cuba e l’URSS, ma, nel caso del conflitto tra Vietnam del Nord e Vietnam del Sud, come in quello del colpo di Stato all’interno di quest’ultimo, tornò a commettere un errore assai simile (ne abbiamo parlato nel post «Una perdita di futuro» che dura dal 22 novembre 1963). Oggi, si può dire che la dinamica del conflitto, che permeava la Guerra Fredda, aveva così condizionato anche John F. Kennedy da non fargli comprendere che, in realtà, l’errore da lui commesso non era stato tanto quello di considerare l’invasione della Baia dei Porci come una sorta deus ex machina, capace di innescare la caduta del regime di Castro. Il vero errore era stato quello di aver ignorato i suggerimenti di quanti, attorno a lui, gli avevano ricordato l’illiceità e l’immoralità, oltre che la pericolosità, sottese alla pretesa degli Stati Uniti di volere determinare chi poteva o no governare in altri Paesi. Gli avevano fatto notare, infatti, che, così agendo, il governo degli Stati Uniti avrebbe avuto un comportamento analogo a quello che rinfacciava al Cremlino.
«Io sono il responsabile del governo»
Pubblicamente, però, John Kennedy non incolpò altri che se stesso. Fece uscire un comunicato della Casa Bianca in cui si affermava che egli si assumeva la totale responsabilità e si opponeva a chiunque cercasse di attribuirla ad altri. Citando un vecchio adagio secondo il quale le vittorie hanno cento padri, mentre le vittorie sono orfane, disse alla stampa:
«Io sono il responsabile del governo».
Questa assunzione di responsabilità, il fatto che si fosse preoccupato immediatamente di contattare Nixon ed Eisenhower, assumendosi anche con loro la colpa di quanto successo, invece, di rinfacciare loro di avergli lasciato in eredità un’operazione disastrosa, così da evitare che costoro strumentalizzassero il fallimento della Baia dei Porci per attaccarlo, fece sì che un sondaggio Gallup di fine aprile, dimostrò che l’83% degli americani approvava il presidente, il 61% elogiava la sua gestione della situazione cubana e il 65% non avrebbe approvato l’invio di forze armate statunitensi per rovesciare Castro. Il commento amareggiato di John Kennedy fu:
«Proprio come Eisenhower. Peggio faccio, più popolare divento».
Alberto Quattrocolo
[1] In tema di politica estera, gli argomenti erano la NATO, le situazioni del Laos, del Congo e dell’Algeria, i negoziati sul disarmo e sui test nucleari con l’URSS e, infine, l’America Latina e le preoccupazioni per il regime castrista a Cuba.
[2] La pianificazione di un’invasione di Cuba non fu accennata neppure nel corso del colloquio tra Kennedy e il vicepresidente uscente Nixon.
[3] «Nel lungo termine gli Stati uniti non possono permettere al governo di Castro di continuare ad esistere», gli disse Ike.
[4] Del resto il progetto di un’invasione di Cuba da parte di esuli cubani era un segreto piuttosto noto. Il piano, chiamato “Programma per un’azione segreta contro il regime di Castro“, era stato elaborato dal Gruppo 5412, sostenuto dal vicepresidente Richard Nixon, e approvato dal presidente Dwight Eisenhower, il 17 marzo 1960, durante una riunione con Nixon e altri membri del governo, il direttore della CIA, Allen Welsh Dulles, Richard Bissell, anch’egli della CIA e alti vertici delle forze armate. Però, il 30 ottobre, a Città del Guatemala, il giornale La Hora aveva pubblicato una notizia circa l’esistenza di una base segreta nella quale si svolgevano preparativi per l’invasione di Cuba. E il 19 novembre 1960, il professore Ronald Hilton, direttore dell’Istituto di studi ispano-americani dell’Università di Stanford, appena rientrato dal Guatemala, aveva pubblicato sul settimanale The Nation un articolo in cui si riportava la notizia di esuli cubani, addestrati dalla CIA, intenzionati rovesciare Castro. Il 10 gennaio ne parlò anche il New York Times.
[5] JFK apprezzava di Fidel Castro le sue posizioni e i suoi programmi da socialista utopista e ne ammirava l’immagine di romantico idealista.
[6] Così durante la campagna elettorale John Kennedy si espresse a favore di un’invasione dell’isola da parte di fuoriusciti cubani, venendo aspramente criticato da destra, cioè da Nixon che lo definì irresponsabile, e da sinistra, ossia dai liberal. In realtà, Kennedy non era del tutto contrariato da quanto faceva Castro in campo economico, anche se si trattava di iniziative che pregiudicavano gli interessi di svariate compagnie americane. Nel giugno 1960 Fidel Castro, un anno mezzo e dopo essere subentrato al filo-americano Fulgencio Batista, aveva nazionalizzato le raffinerie della Esso, della Shell e della Texaco. Il 17 settembre erano state espropriate tutte le banche statunitensi; mentre in ottobre Castro aveva chiuso i casinò e le catene di alberghi Riviera e Capri, in mano a mafiosi come Meyer Lansky, Lucky Luciano e Frank Costello. Inoltre il suo governo aveva distribuito ai contadini cubani, raggruppati in società cooperative, 270.000 ettari di latifondi, 35000 ettari della United Fruit Company, di cui Allen Dulles, proprio il direttore della CIA, come socio di maggioranza, era presidente e rappresentante legale.
[7] A metà gennaio, poi, una settimana prima dell’insediamento, John Kennedy aveva ricevuto un rapporto di Sidney Lens, un leader sindacale di Chicago appena tornato da Cuba, nel quale si confermavano le soppressioni delle libertà del regime castrista, ma si descrivevano anche le ragioni dell’appoggio popolare di cui Castro godeva, e di cui la stampa occidentale non parlava, si illustrava l’inefficacia dell’embargo imposto dagli USA e si segnalava la presenza di spie cubane infiltrate tra gli anticastristi esuli negli Stati Uniti, i cui piani, quindi, erano a conoscenza del governo cubano.
[8] In Guatemala la CIA, sotto la presidenza di Eisenhower, aveva rovesciato un governo popolare pe sostituirlo con uno, autoritario, filoamericano
[9] Il che equivaleva ad una gravissima crisi politica ed evocava le fatali esitazioni delle democrazie occidentali di fronte alla prepotenza spadroneggiante di Hitler, debolezze che avevano portato il mondo nelle atrocità della Seconda Guerra Mondiale.
[10] Kennedy, in realtà, era attratto dall’idea di rovesciare un governo che non rispettava le libertà democratiche promesse al momento della rivoluzione e che egli credeva intento a destabilizzare altri paesi latinoamericani, a dispetto della loro autonomia, per portarli nell’orbita comunista.
[11] Aggiunsero che erano probabili delle accuse successive al governo americano da parte dei comunisti, ma che questa difficoltà politica probabile era preferibile alla sicura accusa di vigliaccheria alla sua amministrazione da parte degli anticastristi, se egli avesse cancellato l’operazione. Arthur Schlesinger, uno storico, esperto di politica estera, specialmente per l’America Latina, che Kennedy aveva voluto nella cerchia dei suoi assistenti speciali, cercò di dissuaderlo dal farsi condizionare da simili argomenti. Era comprensibile, disse Schlesinger a John Kennedy, che Dulles fosse preoccupato all’idea di un folto gruppo di esuli cubani addestrati in Guatemala, che, se smobilitati, sarebbero andati in giro per gli USA a sparlare del governo, raccontando tutto. Ma, aggiunse Schlesinger tale «problema reale» non poteva «determinare la politica USA». . La CIA, però, mise in ombra i dubbi di Schlesinger, modificando il piano, secondo le indicazioni di JFK. Il nuovo piano suscitò una tiepida approvazione di McGeorge Bundy, assistente al presidente per gli affari di sicurezza nazionale, che lo aveva inizialmente avversato. Kennedy, però, era ancora preoccupato e respinse l’idea di uno sbarco all’alba, giudicandolo troppo visibile, pretendendo che le navi che trasportavano i guerriglieri all’alba fossero già lontane dall’area. La CIA modificò il piano secondo le sue indicazioni.
[12] Il 12 aprile un rapporto della CIA faceva salire a 7000 i rivoltosi controllabili mediante agenti con cui erano in corso comunicazioni attive.
[13] Il 12 aprile, però, durante una conferenza stampa, mentre diversi articoli davano per imminente l’invasione, Kennedy rispose ad una domanda sulla disponibilità del governo ad aiutare una sollevazione anti-Castro o un’invasione di Cuba, dicendo: «Non ci sarà in nessuna circostanza un intervento a Cuba da parte delle forze armate degli Stati Uniti. Questo governo farà tutto il possibile per assicurarsi che nessun americano sia coinvolto in qualsiasi tipo di azione all’interno di Cuba»
[14] . Intendeva così minimizzare le dimensioni dell’invasione.
[15] Ma centrarono solo 5 degli oltre 30 aerei da combattimento di Castro, lasciando così gli invasori, che erano in viaggio via mare (anch’essi dalle coste nicaraguensi), esposti agli attacchi dell’aviazione cubana prima e dopo lo sbarco.
[16] Il 18 aprile l’aviazione castrista affondò la principale nave di appoggio alla brigata, che trasportava munizioni per 10 giorni e le principali apparecchiature di comunicazione.
[17] In quei giorni i suoi già rilevanti problemi di salute, inclusi i dolori alla schiena e quelli arrecati dai disturbi intestinali, erano acuiti da una costante e acuta dissenteria e da un’infezione alle vie urinarie (abbiamo parlato dei problemi di salute di cui soffriva John Kennedy nel post L’8 novembre la fiaccola passò a John Kennedy, «un idealista senza illusioni»).
[18] Il rapporto dell’ispettore Kirkpatrick spiegava che la CIA si era lasciata talmente assorbire dalla prospettiva dello sbarco alla Baia dei Porci da non riuscire a valutare con realismo le possibilità di successo
[19] «In un sistema di governo parlamentare sarei io a dovermi dimettere», disse John Kennedy ad Allen Dulles, «ma nel nostro sistema costituzionale è lei che se ne deve andare».
[20] Lo era per aver dato retta alla CIA e ai militari anziché a quanti, interni e vicini alla Casa Bianca, avevano segnalato la temerarietà o la natura imperialista dello sbarco alla Baia dei Porci, o entrambe le cose
[21] Kennedy confidò a Schlesinger di aver creduto che «i militari e quelli dello spionaggio fossero dotati di capacità segrete negate ai comuni mortali». E disse a Ben Bradlee: «Il primo consiglio che darò al mio successore è di guardarsi dai generali e di non pensare che, solo perché sono militari, le loro opinioni sulle questioni militari valgano qualcosa».
Fonti
Robert Dallek, John Fitzgerald Kennedy, una vita incompiuta, Arnoldo Mondadori S.p.A., Milano, 2004
John k. Galbraith, Una vita nel nostro tempo, Mondadori, Milano, 1982
Glauco Maggi, La Baia dei Porci fu una guerra tra la CIA (di Allen Dulles) e JFK, La Stampa. 17 agosto 2011.
Arthur Schlesinger Jr., I mille giorni di John F. Kennedy alla Casa Bianca, Rizzoli, Milano, 1966
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