Intervista a Manuela Cencetti sul docufilm La versione di Jean
Il documentario La versione di Jean, presentato in concorso alla trentottesima edizione del Torino Film Festival è al centro del nostro 35° video della rubrica Conflitti in corso. Abbiamo, infatti, intervistato Manuela Cencetti che, con Jean Diaconescu e Stella Iannitto, è autrice del soggetto e della sceneggiatura e ha curato la regia del film. Un film che è anche un documentario di un conflitto, un conflitto tra una parte della società e delle sue istituzioni, la parte materialmente vincitrice, e un’altra parte di essa, quella sconfitta, che è costituita da persone considerate “indesiderabili” e de-umanizzate.
«La versione di Jean ci permette di sentire le voci e ci mostra gli sguardi di chi, da decenni, non è mai stato preso in considerazione, ma solamente minacciato, gestito e controllato come un oggetto. Persone assimilate costantemente ad un “problema”, che creano soltanto grane per i politici di turno e per l’opinione pubblica, da segregare in campi “legali” creati dalle stesse istituzioni o in insediamenti illegali, che devono restare ai margini, invisibili, perché se queste persone decidessero mai di mostrarsi o ancora peggio di resistere a queste pratiche di esclusione e segregazione spaziale e abitativa, di raccontare la propria versione delle cose, la repressione nei loro confronti sarebbe immediata, così come la loro cacciata».
La versione di Jean ci conduce, infatti, nella storia degli esseri umani che hanno vissuto in un enorme campo nella periferia nord di Torino. Questo spazio venne popolato da persone rom e povere, originarie della Romania, giunte a Torino a partire dalla fine degli anni ’90, le quali, benché prima vivessero in case o appartamenti, si erano ritrovate a vivere stabilmente, per decenni, in tale baraccopoli, essendo la costruzione di una baracca la sola forma di abitare possibile per chi è escluso dal mercato immobiliare. Tra il 2013 e il 2015 il cosiddetto “campo rom” di Lungo Stura Lazio, chiamato il “Platz” dai suoi abitanti, divenuto una delle baraccopoli più grandi dell’Europa occidentale, diventò l’oggetto dell’era degli sgomberi “dolci”: ad una piccola parte degli abitanti, considerati “meritevoli”, fu data la possibilità di vivere per qualche tempo (al massimo un anno e mezzo) in un appartamento, pagando solo una parte dell’affitto (una volta finiti i fondi, per la maggior parte dei “meritevoli” divennero insostenibili le spese e gli affitti ai prezzi del marcato privato, sicché furono sfrattati, o lasciarono la casa, e cercarono rifugio in un altro campo); la maggior parte degli abitanti della baraccopoli, esclusi da subito dal progetto, furono costretti a rifugiarsi in altri campi e baraccopoli di Torino, in particolare negli insediamenti di corso Tazzoli e via Germagnano. Quest’ultima è stata oggetto di uno sgombero “non dolce” nell’agosto 2020, nel silenzio e nell’invisibilità più totali. Nel frattempo il campo “bonificato” Lungo Stura Lazio è divenuto una specie di inglorioso e squallido campo di battaglia. Dopo oltre quattro anni quell’area non è che un vasto spazio pieno di macerie, recintato con chilometri di jersey.
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