Il tentativo di triangolazione durante la mediazione
“Il triangolo no, non lo avevo considerato (…)
la geometria non è un reato”
Così faceva il ritornello di una famosissima canzone di Renato Zero, “Il Triangolo”; canzone del 1978 (scritta insieme a Mario Vicari, il quale ne curò anche la parte musicale), dai contenuti volutamente provocatori e trasgressivi – parla infatti di un triangolo amoroso – ma resi ironici attraverso l’utilizzo di similitudini e doppi sensi.
Spero si voglia perdonare l’accostamento ardito con un evento molto frequente che si verifica, durante i colloqui, nei percorsi di mediazione familiare e, più in generale, di mediazione dei conflitti, ossia il tentativo di triangolazione da parte dell’utente nei confronti del mediatore.
Credo sia raro non aver sperimentato sulla propria pelle, durante la carriera di mediatore, la sensazione di essere oggetto di una tentata triangolazione nel senso di un approccio manipolativo da parte della persona seduta dinnanzi a noi, intenzionata a portarci “dalla sua parte”.
Chi inizia un percorso mediativo, la maggior parte delle volte, si aspetta (o, almeno, in fondo al cuore, si augura) che chi lo sta ascoltando, avvalli la sua posizione, per lui verità unica e imprescindibile, a discapito dell’altro confliggente.
Tale comportamento non è deprecabile, ma è, nella gran parte dei casi, da considerarsi come conseguenza naturale della situazione conflittuale che si sta vivendo, dove la lotta per la supremazia regna sovrana, sia essa manifesta, sia essa implicita nei comportamenti tenuti dalle persone in conflitto.
Solitamente, ad esempio, nell’ambito della mediazione familiare, chi compie il primo passo verso un percorso mediativo, prevede che l’altro si rifiuterà di parteciparvi, e ciò può derivare dal pessimismo che accompagna situazioni conflittuali di coppia, oppure dal semplice fatto che chi si è fatto promotore dell’iniziativa si vuole arrogare il “diritto” di assicurarsi l’aiuto del professionista a suo totale vantaggio, avendo così la meglio sull’altra parte.
A tal proposito, un terapeuta familiare, parlò di “lotta per l’iniziativa” e anche di “lotta per la struttura” (Whitaker, 1977)
È quasi naturale, quindi, cercare degli alleati, a partire dai membri della famiglia, dagli amici, per finire con gli esperti, i professionisti, che vengono coinvolti nella situazione di “fine di relazione”, esponendo, così, questi ultimi, inevitabilmente, a tentativi di manipolazione, onde porli in una triangolazione all’interno del conflitto. Fin dall’inizio, dunque, si possono veder agire delle mosse mirate ad ottenere il controllo del percorso di mediazione, al fine di avere il controllo del nuovo “terreno” nel quale si disputa la “battaglia”.
Si possono evidenziare due mosse, abbastanza comuni nei tentativi di triangolazione
La prima, che possiamo definire “prendi l’iniziativa”, è quella durante la quale chi si fa promotore dell’iniziativa, per l’appunto, impara a conoscerla prima dell’altra parte, creando uno svantaggio a quest’ultima e arrogandosi la superiorità morale di aver voluto iniziare il percorso di mediazione per primo, quasi a voler confermare la propria superiorità di intenti nei confronti di chi non è ancora entrato in gioco.
La seconda, che possiamo intitolare “mi lasci spiegare il problema”, vede il tentativo di una delle parti di influenzare il mediatore, e di assumere il controllo della situazione, attraverso la proposta di portare documentazioni relative alla situazione in oggetto, atte ad avvallare in maniera inequivocabile (per quella parte) la propria posizione (peraltro, percepita come l’unica corretta).
E’ da sottolineare, però, che non è quasi mai unidirezionale il tentativo di manipolazione da parte dell’utente nei confronti del professionista, ma è un comportamento che, solitamente, viene agito da entrambe le parti.
Infatti, anche il confliggente che dovesse entrare in gioco in un secondo momento (si ricordi che, uno degli aspetti caratterizzanti la mediazione familiare è la volontarietà di partecipazione al percorso) proverà, in maniera similare al primo, a far sì che il mediatore “vada dalla sua parte” sostenendo le proprie verità come assolute ed imprescindibili.
Quello che viene spontaneo chiedersi è quale debba essere, quindi, la posizione che il mediatore deve avere e quale il comportamento da tenere, ogni qualvolta si trovi in situazioni nelle quali corre il rischio di essere oggetto di triangolazione da parte dei confliggenti.
Nella nostra metodologia di lavoro, sia in ambito di mediazione familiare che mediazione dei conflitti più a 360°, prevediamo che le parti confliggenti non vengano accolte insieme, nemmeno nel primo colloquio conoscitivo, ma che vengano ascoltate separatamente attraverso colloqui individuali.
Gli incontri di mediazione (che prevedono l’incontro e quindi confronto della coppia) avverranno in un secondo momento, quando le parti saranno “pronte” per poterli affrontare in maniera proficua sia per loro stessi, intesi come singoli individui, sia per il riconoscimento reciproco, sotteso alla mediazione trasformativa-relazionale, che noi adottiamo.
E’ nostra cura, fissare il primo colloquio conoscitivo con i due partners, nella stessa giornata o, laddove non sia possibile, a distanza di pochi giorni uno dall’altro, proprio per fare in modo che tutti e due possano avere le stesse informazioni relative alla mediazione, evitando così che si possa creare una situazione di svantaggio a discapito di uno dei due.
Nel primo colloquio e, a volte anche nei colloqui successivi, qualora qualcosa non fosse ancora chiaro, si stabiliscono le regole del percorso di mediazione e, nella descrizione della figura professionale del mediatore, si sottolinea come esso sia terzo, neutrale ed imparziale, non giudicante e quindi elemento super partes nel conflitto.
I mediatori, infatti, devono avere la capacità di mantenere una posizione centrale ed equilibrata tra le parti.
Ma quando possiamo definire fisiologico il tentativo di triangolazione e quando, invece, non lo è più?
Come sopra ricordato, il bisogno di sentire il mediatore dalla propria parte, quando si sta vivendo una situazione conflittuale è, nella maggior parte dei casi, un atteggiamento normale, atto a sentirsi meno soli, a cercare di essere capiti e supportati, durante quella che viene vissuta come una vera e propria battaglia.
E’ altrettanto naturale che, nonostante l’adempimento da parte del mediatore degli obblighi informativi a riguardo, nella prima parte del percorso di Ascolto e Mediazione del conflitto, si faccia finta di non capire quale sia il ruolo della figura professionale che abbiamo di fronte, tentando ancora di triangolarla a proprio vantaggio.
Se le parti in gioco, si sono messe in discussione in buona fede, ad un certo punto smetteranno, in maniera quasi naturale, di manipolare il mediatore, perché il clima di fiducia instaurato, la de-escalation del conflitto che si sarà raggiunta attraverso il riconoscimento di sé stessi, in primis, e dell’altro, poi, l’empowerment della capacità di autodeterminazione, faranno sì che il bisogno di aver il mediatore dalla “propria parte” non avrà più senso di esistere, poiché non sarà più funzionale allo scopo perseguito.
Vien da sé, quindi, capire che se il comportamento manipolatorio e il tentativo di triangolazione, dovessero invece perdurare nel tempo, anche dopo la prima fase della mediazione, si potrebbe desumere la cattiva fede di colui che mette in atto tale comportamento, rimettendo quindi alla valutazione del professionista l’eventualità di sospendere il percorso, qualora fosse visto come non più funzionale poiché sarebbero venute meno le condizioni per portare avanti il percorso intrapreso.
Per tornare alla citazione iniziale della canzone di Renato Zero, rimanendo in linea con gli accostamenti azzardati, concludo con il detto latino:
“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”
Daniela Meistro Prandi
Fonti: “La mediazione familiare”, L.Parkinson, 2013
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