Con lo sbarco in Sicilia, dopo 21 anni di regime, subisce un’accelerazione la fine del Fascismo
Lo sbarco in Sicilia da parte delle forze anglo-americane iniziò il 9 luglio 1943. La liberazione dell’isola dalle truppe naziste e fasciste si concluse circa il 17 agosto 1943, cioè quando il Governo Mussolini, dopo ventun’anni di regime fascista era caduto (abbiamo ricordato su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, in questo post, l’avvio del primo governo presieduto da Mussolini il 31 ottobre del 1922, 8 giorni dopo la marcia su Roma).
Il duce fu sfiduciato, infatti, dal Gran Consiglio del Fascismo (abbiamo ricordato su questo post la sua istituzione) , nella seduta che si chiuse alle 2,40 del mattino del 25 luglio 1943 (l’abbiamo ricordata qui) [1]. E il Re Vittorio Emanuele III, nel pomeriggio di quello stesso giorno, in primo luogo, lo sostituì con il Maresciallo Badoglio, quale presidente del Consiglio, facendolo immediatamente dopo arrestare, con la motivazione di aver portato il popolo italiano nel Secondo Conflitto Mondiale, alleandosi con la Germania di Hitler (si vedano i post Solo alcune migliaia di morti e 20 giugno 1940 l’attacco infame e fallimentare dell’Italia alla Francia), e di essere responsabile della disastrosa spedizione italiana (l’abbiamo ricordata in questo post) nella campagna di Russia.
Con lo sbarco in Sicilia, quindi, gli anglo-americani, invadendo la prima porzione dell’Europa, occupata dalle armate tedesche e italiane, contribuirono sia alla caduta di Mussolini, appunto dopo 21 anni di governo fascista, sia alla successiva firma dell’armistizio di Cassibile, nei pressi di Siracusa, il 3 settembre (annunciato cinque giorni dopo, l’8 settembre), con cui cessarono le ostilità tra l’Italia e gli Alleati (USA, Impero Britannico, Francia, URSS, Cina).
In realtà, gli Alleati avevano già occupato, alcune settimane prima, l’11 giugno, dopo averla pesantemente bombardata, una piccola porzione del suolo italiano: l’isola di Pantelleria (con l’operazione Corkscrew).
L’operazione Husky, cioè lo sbarco in Sicilia da parte della 7ª Armata statunitense (comandata dal generale Patton) e dell’8ª Armata britannica (comandata da Montgomery), che avvenne nelle prime ore del 10 luglio 1943, preceduta da un fitto bombardamento navale e dal lancio di paracadutisti inglesi e americani, era il primo passo di un più ampio disegno delle forze anglo-americane, orientate a sconfiggere le forze tedesche e italiane presenti in Italia e poi a concentrare tutti gli sforzi contro la Germania nazista.
Non fu esattamente questa, poi, l’evoluzione del percorso immaginato. Ma, di fatto, come sopra accennato, quello sbarco diede un contributo determinante al crollo della credibilità del regime. Quest’ultima, certamente, era già assai indebolita dalla disastrosa conduzione della guerra sui diversi fronti, dall’Africa alla Russia, passando per i Balcani, dai bombardamenti alleati che riducevano in macerie fabbriche case. Però, oltre alle sconfitte militari vi era anche un crescente malcontento delle masse, che, già manifestatosi nell’estate del ’42, con scioperi isolati scoppiati a Torino e a Milano, andava assumendo un risvolto politico che si palesò nella larga adesione agli scioperi del ’43 [2]. Anche le vecchie classi dirigenti e alcuni degli alti dignitari fascisti avevano perso fiducia se non nel regime in sé, nel suo duce. Soprattutto, intendevano far uscire l’Italia dalla guerra prima che fosse trascinata con la Germania in una catastrofe irrimediabile. Anche l’Africa era ormai perduta, e per quanto il il 5 maggio Mussolini avesse dichiarato ai romani dal balcone di palazzo Venezia che le truppe italiane sarebbero tornate in Africa per riprendere a fondare un impero («torneremo!), ben pochi erano disposti ancora a credergli. Né, gli credevano un granché quando proclamava che uno sbarco alleato sul territorio italiano era cosa impossibile.
Due settimane dopo la caduta di Pantelleria, il 24 giugno (un mese prima di essere destituito e arrestato), davanti al direttorio del Partito Nazionale Fascista (PNF), Benito Mussolini aveva modificato un po’ la sua retorica, pronunciando il discorso del “bagnasciuga”:
«Il popolo italiano è ormai convinto che è questione di vita o di morte. Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare, sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del “bagnasciuga”, la linea della sabbia, dove l’acqua finisce e comincia la terra. Se per avventura dovessero penetrare, bisogna che le forze di riserva, che ci sono, si precipitino sugli sbarcati, annientandoli sino all’ultimo uomo. Di modo che si possa dire che essi hanno occupato un lembo della nostra patria, ma l’hanno occupato rimanendo per sempre in una posizione orizzontale, non verticale».
Gli inglesi, gli statunitensi e i canadesi, che sbarcarono fra Pachino e Siracusa e tra Licata e Gela, però, non restarono in posizione orizzontale sul “bagnasciuga”, cioè sulla battigia. Lo sbarco in Sicilia, infatti, riuscì e fu la prima grande operazione alleata nel nostro Paese, anzi, in effetti, una delle più grandi operazioni anfibie della Seconda Guerra Mondiale. E costituì l’inizio della campagna d’Italia, vale a dire della sua liberazione.
La campagna d’Italia, però, che non fu così fulminea come in molti avevano creduto e sperato: non soltanto gli Alleati non riuscirono ad impedire la completa ritirata delle truppe italo-tedesche – che in buona parte ripararono in Calabria, dove l’8ª Armata giunse poi solo il 3 settembre -, ma non poterono impedire ai tedeschi di attestarsi su posizioni difensive e di tenersi pronti ad eseguire i piani concepiti in vista di un sempre più probabile voltafaccia del loro alleato italiano.
Il che avvenne l’8 settembre, quando il nuovo Presidente del Consiglio dei ministri, Pietro Badoglio, lesse il comunicato con cui informava il popolo italiano del sopra citato armistizio, firmato 5 giorni prima, annunciando, quindi, la cessazione delle ostilità tra il Regno d’Italia e gli Alleati.
Quello stesso giorno la 5ª Armata statunitense sbarcò a Salerno, ma, più o meno contemporaneamente, venne posta in esecuzione dai tedeschi l’Operazione Achse. Con tale operazione le forze armate tedesche provvidero a neutralizzare le forze armate italiane – rimaste disorientate, essendo lasciate prive di ordini, sopratutto rispetto a come comportarsi con gli ex alleati tedeschi, e del tutto scoordinate -, che erano schierate nei vari teatri bellici del Mediterraneo, e occuparono militarmente la parte della Penisola non ancora controllata dagli angloamericani. Catturarono, quindi, centinaia di migliaia di soldati italiani, in buona parte deportandoli in Germania come lavoratori coatti, presero il controllo diretto dell’Italia centro-settentrionale e dei territori del Sud della Francia, dei Balcani e dell’Egeo, fino a quel momento occupati dalle forze italiane.
Prima che tutta l’Italia venisse liberata dai nazifascisti, quindi, passarono ancora 21 orribili mesi dallo sbarco in Sicilia. E, se nell’arco di poche settimane dallo sbarco in Sicilia del 10 luglio la situazione politica italiana mutò in maniera significativa, chiudendosi una fase durata un ventennio, è vero che, purtroppo, il fascismo non tramontò definitivamente.
Già il 12 settembre, per ordine di Hitler, dei paracadutisti tedeschi liberarono Mussolini dalla sua “prigione” sul Gran Sasso, dove era stato trasferito dopo essere stato tenuto agli arresti prima a Ponza poi alla Maddalena. E il Führer lo accolse alla Tana del Lupo (Wolfsschanze), a Rastenburg, uno dei suoi quartieri generali, dove i due si accordarono per riportare il fascismo al potere nell’Italia occupata dai tedeschi. E, infatti, Mussolini, il 23 settembre 1943, costituì la Repubblica Sociale Italiana, quella RSI che divenne nota come Repubblica di Salò (si veda il post Il 18 settembre del ’43 Mussolini annuncia da Radio Monaco la costituzione della RSI). Così, l’incubo per coloro che vivevano nei territori sottoposti a tale dittatura continuò, anzi, peggiorò, fino alla fine di aprile del ’45.
I costi umani dell’occupazione della Sicilia tra i militari delle forze in campo furono i seguenti:
- quasi 117.000 soldati italiani catturati, 4.678 uccisi, 36.072 dispersi (una parte, verosimilmente i più, furono uccisi senza che venisse registrato il loro decesso, i restanti disertarono) e 32.500 feriti
- circa 30.000 perdite tra le truppe tedesche, di cui 4.325 morti, 4.583 dispersi, 13.500 feriti e 5.523 prigionieri
- 12.800 perdite per gli inglesi, di cui 2.721 morti
- 8.800 perdite per gli americani (i morti furono 2.237 morti), cui si aggiunsero 13.000 ricoverati per malattia, in prevalenza a causa della malaria.
Alberto Quattrocolo
[1] Il Gran Consiglio del Fascismo, fondato nel 1922, come massimo organo del Partito Nazionale Fascista assurse al rango di organo costituzionale del Regno con la legge 9 dicembre 1928, n. 2693, in cui era definito «organo supremo, che coordina e integra tutte le attività del regime sorto dalla rivoluzione dell’ottobre 1922» e le cui sedute si tenevano a porte chiuse generalmente a palazzo Venezia, dal giugno ’23 sede della Presidenza del Consiglio dei ministri.
[2] Dopo la capitolazione tedesca di Stalingrado (che abbiamo ricordato nel post Stalingrado: la ferocia, gli ordini, la morte, Hitler, Stalin… e «la dignità umana») gli operai della Fiat, il 15 marzo, si misero in sciopero e trascinarono con sé più di 300.000 lavoratori delle industrie torinesi e milanesi – sebbene lo sciopero fosse vietato fin dal 1925 e fosse inserito tra i reati nel codice penale approvato nel ’31.
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