Hitler non fece né un colpo Stato, né una rivoluzione
Quel 30 gennaio del 1933 non ci fu un colpo di Stato né una rivoluzione
Adolf Hitler non ottenne il potere con un colpo di Stato. Egli divenne cancelliere del Reich il 30 gennaio del 1933, ricevendo l’incarico dal presidente Paul Von Hindenburg, secondo le procedure previste dalla costituzione di quella repubblica democratica che si apprestava ad assassinare. Che da sempre aveva annunciato di voler assassinare. In ciò seguì di fatto l’esempio, che lo aveva molto impressionato, di Benito Mussolini (ne abbiamo parlato in questo post, sulla rubrica Corsi e Ricorsi) Il dittatore italiano 11 anni prima aveva raggiunto il potere, ottenendo dal Re, Vittorio Emanuele III, a seguito della marcia su Roma, l’incarico di formare un governo, nel rispetto delle procedure costituzionali. Hitler aveva tentato quasi dieci anni prima una fallimentare imitazione della marcia di Roma (il “Putsch di Monaco” dell’8 novembre 1923), senza assicurarsi il controllo di quelle condizioni che avevano portato Mussolini ad essere Presidente del Consiglio dei Ministri. L’ex caporale austriaco, perciò, aveva deciso, di seguire meglio l’esempio mussoliniano, adattandolo allo specifico della situazione tedesca. Come il duce anch’egli voleva realizzare la sua “rivoluzione” soltanto dopo aver preso il potere con il voto dei tedeschi o con il consenso dei governanti.
Come poté quell’ex caporale austriaco, fino a poco prima privo anche della cittadinanza tedesca, diventare il Führer?
La crisi del ’29: una manna dal cielo per il Partito Nazionalsocialista
Nel febbraio del ‘1920 Adolf Hitler era diventato il leader di un partito nazionalista di estrema destra, anti-capitalista e anticomunista, ferocemente antisemita, anti-liberale e antidemocratico, nemico giurato non soltanto della socialdemocrazia, ma soprattutto della democrazia parlamentare: il Partito dei Lavoratori Tedeschi. Un anno prima il misero e incolto reduce della prima guerra mondiale, con aspirazioni artistiche irrealizzabili per carenza di reale talento, era entrato in contatto con questo partito ,avendo avuto l’incarico di spiarlo per conto della polizia e dell’esercito. Divenutone il capo, cambiò subito il nome facendolo diventare il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (National Sozialistische Deutsche Arbeiterpartei, NSDAP). Un mese dopo il partito adottò il saluto romano, seguendo l’esempio dei fascisti italiani, e come simbolo la svastica, ritenendolo il simbolo solare “ariano” e indoeuropeo da contrapporre graficamente alla luna, della quale gli ebrei, secondo alcuni, sarebbero stati “adoratori”. Inoltre, in pochissimo tempo Hitler arrivò ad assumere un potere di controllo assoluto sul partito applicando il principio per cui esso, come il popolo, doveva essere retto e guidato da un solo Führer.
Una catastrofe economico-sociale di utilità prodigiosa
Alla fine del ’29 la crisi economica si propagò come un incendio indomabile nel mondo intero. Hitler vide subito che poteva essere una meravigliosa e irripetibile occasione per far schizzare alle stelle la fiducia dei tedeschi nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. La Grande depressione seguita al crollo di Wall Street permise ad Hitler di sfruttare con spietata lucidità le frustrazioni popolari. La gente faceva la fila per interi isolati per acquistare il pane, le banche chiudevano, i disoccupati erano milioni, perché l’industria era al collasso. C’erano ovunque fame, angoscia, paura, rabbia e dolore. E disperazione. Hitler, nei comizi e in ogni altra sede possibile, prometteva di riportare il benessere economico, ma non si arrischiava a spiegare realmente come. Diceva che egli si sarebbe rifiutato di pagare le riparazioni di guerra che la Germania doveva secondo il Trattato di Versailles (anche se il governo era già riuscito ad ottenerne la moratoria), che avrebbe eliminato la corruzione e piegato i magnati della finanza (specie se ebrei) e avrebbe provveduto affinché ad ogni tedesco non mancassero lavoro e pane. Gridava che avrebbe restituito orgoglio al popolo tedesco, facendo tornare la Germania allo splendore che gli spettava, ma anche in tal caso si trattava di una comunicazione priva di argomenti razionali, giocata soltanto sul piano emotivo. E batteva ripetutamente su un semplice tasto: quelli che governano hanno ridotto il popolo alla fame, perciò abbiate fede in me.
La manipolazione delle paure e delle energie distruttive delle masse
«La sensazione di impotenza portò la maggioranza dei tedeschi a rifugiarsi proprio nell’estremismo di Hitler: in molti si convinsero infatti di poter trovare in lui protezione e sicurezza», spiegò Hans Magnus Enzensberger.
Così, già nelle elezioni del 14 settembre 1930 i nazisti si assicurarono il 18,3% dei voti, portando il NSDAP da quel nono posto conseguito con le elezioni del ’28 – che gli avevano procurato 12 seggi – al secondo posto nel Reichstag (il parlamento). Due anni prima aveva avuto la fiducia 810.000 tedeschi. Nel settembre del ’30 la ebbe da 6 milioni e 409 mila elettori. I suoi deputati divennero 107. «A differenza dei politici di Weimar, Hitler fu abile nel convogliare le paure e l’energia distruttiva delle masse».
Anche il Partito Comunista aveva avuto un buon risultato salendo da 54 deputati a 77, mentre, tolto il Centro Cattolico, gli altri partiti moderati delle classi medie avevano perso un bel po’ di voti. I socialdemocratici detenevano ancora il primo posto (24,5 %), subendo però un’erosione (- 10%), a dimostrazione del fatto che si ampliava quella crisi di consenso nei loro riguardi, che aveva già portato alle dimissioni del loro leader, Hermann Müller, dall’incarico di cancelliere (cioè di capo del governo) e alla sua sostituzione, in aprile, con il capo del Centro cattolico Heinrich Brüning.
L’appoggio di militari, finanziari, industriali e grandi proprietari terrieri
In primo luogo Hitler si preoccupò di assicurare gli alti ufficiali che il NSDAP lungi dall’essere un pericolo per l’esercito nel costituiva la salvezza. Le corde giuste da toccare con i militari, come con i magnati dell’industria e della finanza erano quelle del patriottismo, dell’anticomunismo, dell’anti-sindacalismo e dell’antiparlamentarismo. Non gli occorrevano, perciò, grandi sforzi di inventiva, essendo proprio quelli anche insieme agli ebrei l’oggetto del suo odio più profondo. Così come lo era il Partito Socialdemocratico. Se, però, persuadere i militari non comportava il rischio di contraddirsi, la faccenda era ben diversa con i vertici dell’industria e della finanza. Infatti, il Partito Nazionalsocialista doveva adescare le masse con la parola “socialismo”, spacciandosi per nemico mortale dei “baroni dell’oro” e contemporaneamente convincere i magnati a fornirgli appoggio politico e, soprattutto, fiumi di denaro per il partito. Ci riuscì, incontrando segretamente le personalità più eminenti del mondo degli affari. In tal modo si assicurò l’appoggio e i denari di Emil Kirdof, barone del carbone e controllore del “tesoro della Ruhr”, di Fritz Thyssen capo del trust dell’acciaio, di Georg Von Schnitzler ai piani alti della IG-Farben, il gigantesco consorzio chimico tedesco, del banchiere di Colonia Kurt Von Schroder, della Deutsche Bank e di altri istituti bancari, nonché della maggiore compagnia di assicurazioni tedesca, l’Allianz.
Dritti verso la catastrofe
L’11 ottobre 1931 tutte le forze conservatrici e un po’ anche quelle moderate, erano decise a porre fine alla repubblica e resuscitare l’Impero, estinto a seguito della sconfitta della prima guerra mondiale.
La tentazione di resuscitare la monarchia per fermare il nazismo
Anche Brüning, la cui impopolarità era tale da essere soprannominato il “cancelliere della fame” era intenzionato a cambiare la costituzione per restaurare la monarchia. Il piano che propose al presidente della Repubblica Hindenburg era semplice: il mandato del presidente, che sarebbe scaduto nel ’32, doveva essere prorogato (ed egli contava sull’appoggio di tutti i partiti eccetto quello comunista), poi egli avrebbe proposto al parlamento di proclamare la monarchia proponendo l’ultraottantenne presidente come reggente a vita, per poi assicurare il trono a uno dei figli del Kronprinz, alla morte di Hindenburg. In tal modo Brüning pensava di levare ai nazisti l’appoggio dei conservatori, dei nazionalisti e dei moderati. Ma il vecchio Hindenburg respinse decisamente il piano. Intanto i conservatori e i nazisti formarono un Fronte unitario – in cui, oltre ad Alfred Hugenberg, capo dei nazionalisti e al grande finanziere Hjalmar Schacht, vi era anche il generale Hans Seeckt- per provocare le dimissioni di Brüning al govenro dall’aprile 1930 e nuove elezioni politiche.
Hitler contro Hindenburg alle presidenziali del 1932
Nel marzo-aprile 1932 si svolsero le presidenziali. La costituzione infatti prevedeva che fosse il popolo ad eleggere il presidente della Repubblica, il quale aveva il potere di nominare il primo ministro (cioè il cancelliere del Reich) e in casi di emergenze di sospendere in parte il potere legislativo del parlamento legiferando con decreti presidenziali. I candidati principali erano: Hindenburg, appoggiato da una parte dei nazionalisti e dei monarchici, ma soprattutto dai socialdemocratici, dal Centro cattolico e dai sindacati, diventando, così, paradossalmente, il candidato del “blocco popolare” (paradossalmente perché nel 1925 era stato eletto proprio in quanto rappresentante delle froze più reazionarie; Adolf Hitler che poteva contare quasi solo sul suo partito e su una parte dei nazionalisti; il comunista Thälmann.
Quello 0,4 % che mancò ad Hindenburg
Il 13 marzo le elezioni si chiusero con un risultato che non assicurava al vincitore la maggioranza assoluta: Hindenburg ottenne il 49,6% dei voti, mentre Hitler si fermò al 30,1 e Thälmann al 13,2%. Occorreva un secondo turno, all’esito del quale avrebbe ottenuto la carica di presidente chi raccoglieva la maggioranza relativa dei voti. Hitler era rimasto parecchio indietro rispetto al vecchio presidente, ma aveva aumentato il suo gradimento di altri 5 milioni di voti.
La rielezione di Hindenburg
Forte di questa consapevolezza il capo nazista non si scoraggiò. Al Lustgarten di Berlino, alla folla che lo ascoltava stregata dalla sua oratoria furibonda, arrivò a promettere: «Nel Terzo Reich ogni ragazza tedesca troverà marito».
Il 10 aprile Hindenburg fu rieletto con il 53% dei voti contro il 36,8% di Hitler e solo il 10,2% del candidato comunista. Hitler aveva guadagnato altri 2 milioni di voti. Sembrava che oltre la metà del popolo tedesco avesse ancora fiducia nella Repubblica democratica e respingesse il comunismo e il nazismo.
«Chi è responsabile della nostra miseria?». «Il sistema!». «E chi c’è dietro il sistema?» «Gli ebrei!»
Hitler non mollò un secondo la sua presa sulle masse che voleva portare a sé. Sapeva che presto si sarebbe giunti a nuove elezioni, visto la situazione politica del Parlamento e del Paese.
Un esempio paradigmatico del modo con il quale manipolava le masse è il modo con cui interloquì con le 120 mila persone che lo ascoltavano il 27 giugno nel Grunewald stadium di Berlino.
Una voce chiedeva: “Chi è responsabile della nostra miseria?. Un coro rispondeva: “Il sistema!”. “E chi c’è dietro il sistema?”, chiedeva ancora la voce. “Gli ebrei”, gridava il coro. “Che cos’è per noi Adolf Hitler?”. “Una fede!”. “E cos’altro?”. “La nostra unica speranza”. Poi la voce gridava: “Germania!”. E lo stadio quasi crollava con un potentissimo: “Risvègliati!”.
Von Papen il penultimo cancelliere
Brüning fu convocato da Hindenburg il 29 maggio per chiedergli di rassegnare le dimissioni. Dietro questo passaggio vi erano le pressioni di un militare, Kurt Von Schleicher, amico di Oskar Hindenburg, il figlio del presidente. Schleicher che, con l’appoggio dell’esercito, aveva già convinto il presidente ad affidare il governo al democratico cattolico Brüning e non ad un socialdemocratico, ora proponeva che il governo fosse guidato dal barone Franz von Papen. Un latifondista reazionario e monarchico, il cui nome Schleicher aveva concordato con Hitler, il quale aveva assicurato che avrebbe appoggiato il nuovo governo alle seguenti condizioni: se fosse stato composto da ministri scelti direttamente da Hindenburg, se fosse stato revocato il decreto di soppressione dell’esercito privato di Hitler (le SA e le SS) che aveva proposto Brüning, e se fosse stato sciolto il Reichstag. Hindenburg non poté far altro che accettare le condizioni del leader nazista. Schleicher in cambio dei suoi intrighi ottenne la carica di Ministro della Difesa. E Papen, come promesso a Hitler il 4 giugno sciolse il Reichstag e indisse nuove elezioni. Undici giorni dopo revocò la messa al bando per le SA. Ne seguì un’ondata di violenze e si assassinii quali la Germania non aveva mai visto prima
Elezioni del 31 luglio del ’32 il partito nazista diventa il primo partito
L’esito delle elezioni del 31 luglio segnò il trionfo nazista: il NSDAP raggiunse il 37,4%, corrispondenti a 230 seggi, diventando il primo partito più forte del Reichstag. I socialdemocratici scesero a 133 seggi, i comunisti guadagnarono 12 seggi, diventando il terzo partito con 89 deputati, mentre il Centro cattolico passò da 68 a 73 seggi.
Papen si persuase che Hitler non potesse essere lasciato fuori dal nuovo governo, visto che i nazisti erano il partito più forte in parlamento. Schleicher incontrò, quindi, Hitler, che settò le sue condizioni: per sé il ruolo di cancelliere e l’assegnazione ai suoi camerati nazisti anche dei ministeri della Giustizia, dell’Economia, dell’Aviazione e di un nuovo ministero, quello della Propaganda (per Joseph Goebbels), accordava a Schleicher quello della Difesa, ma Papen rifiutò qeuste condizioni, essendo disposto a concedere a Hitler, al massimo, la carica di Vicecancelliere. Hitler si indignò e Papen irritatissimo affermò che avrebbe lasciato la decisione ultima a Hindenburg.
Hindenburg respinge le richieste di Hitler e si va a nuove elezioni
Hindenburg rifiutò nettamente la proposta di Hitler e il comunicato ufficiale del suo incontro, immediatamente pubblicato, sottolineava con sdegno che Hitler aveva richiesto il “controllo completo dello Stato”. Ma ormai la Repubblica si stava squagliando. Erano rimasti in pochi nel Paese e nelle istituzioni, tolti i socialdemocratici, a credere ancora nel sistema di governo democratico e parlamentare. L’esercito e il generale Schleicher aspiravano ad una “dittatura militare”, pur non volendo Hitler al potere, anzi ritenendo che quello fosse il solo modo per far fuori in un colpo solo nazisti, comunisti, socialdemocratici, sindacati, e quella “costosa perdita di tempo” che era il parlamento. Messo in minoranza dal Reichstag anche dai nazisti, Papen tentò allora di nuovo la carta elettorale e sciolse il parlamento.
Hitler perde consensi
Le elezioni del 6 novembre 1932, le ultime della repubblica, videro regredire i nazisti di oltre 6 punti, In 3 mesi scesero al 31,1%, e i loro seggi passarono da 230 a 196, a vantaggio dei comunisti che salirono da 89 a 100, mentre anche i socialdemocratici scendevano ancora, da 133 a 121. Papen tentò ancora una volta di accordarsi con Hitler, ma l’intransigenza del capo nazista non ebbe cedimenti. Schleicher sollecitò Hindenburg a chiedere le dimissioni di Papen e a consultare Hitler. Il 17 novembre Papen, che era stato piazzato in quel ruolo dagli intrighi di Schleicher, su richiesta di Hindenbrug rassegnò le dimissioni. Il presidente propose ad Hitler la scelta tra il cancellierato, se fosse riuscito ad assicurarsi una maggioranza in parlamento, e il vicecancellierato sotto Papen. Hitler però sapeva di non poter avere abbastanza voti in parlamento per avere una maggioranza e non era disposto ad essere il vice di nessuno. Sicché rispose negativamente ad entrambe le offerte.
Il turno di Schleicher
Hindenburg tentò quindi la carta di Kurt Von Schleicher: si trattava di un governo reazionario, anche se non nazista, che, vista la situazione criticissima del Paese, tentò un’apertura ai sindacati socialisti, risultando così non solo sospetto, ma addirittura inviso agli industriali e ai grandi proprietari terrieri, i quali chiesero espressamente ad Hindenburg di consegnare il potere ad Hitler. Questi infatti aveva assicurato al suo partito una vittoria nelle elezioni locali svolte nello staterello del Lippe, raggiungendo il 39%. Non era granché sul piano oggettivo, ma Goebbeles seppe fare abbastanza chiasso da impressionare anche Oskar Hindenburg che, dopo un incontro con Hitler, si rassegnò al fatto che «bisognava prendere i nazisti nel governo». Intanto Schleicher, capo del governo dal 2 dicembre 1932, verificava che non riusciva ad ottenere l’appoggio di nessuno, riuscendo invece a scontentare tutti. Il 20 gennaio 1933 si recò da Hindenburg e si dimise.
Hitler cancelliere
Il 30 1933 gennaio Hindenburg, anche se pochi mesi prima era stato rieletto con i voti popolari proprio in contrapposizione a Hitler, nominò cancelliere del Reich quell’omino con i baffetti alla Chaplin, di cui non aveva alcuna stima e di vedeva chiaramente le aspirazioni dittatoriali e liberticide. La Repubblica democratica di Weimar era morta. E con lei da quel momento iniziarono a morire tante cose e tante persone. Il Nazismo saliva al potere in maniera formalmente legale. E spianargli la strada erano state tante cose.
Un costante sottovalutazione non tanto dell’abilità del suo capo quanto dell’inesorabile ferocia che pervadeva e irradiava da quell’ideologia. Lo stesso Hindenbrug credette che il neocancelliere potesse essere controllato, grazie al fatto che al suo partito erano assegnati soltanto tre ministeri.
La superficialità delle masse, che si erano lasciate incantare da chi aveva incanalato la loro rabbia verso nemici tanti facili quanto assurdi il “sistema” e gli ebrei, e la loro facilità nel trasformare la fame e il bisogno di giustizia in odio e violenza sfrenati.
Le divisioni tra le forze democratiche, che non fecero fronte comune contro il nazismo, lasciando così che il 37% degli elettori potesse prevalere sul 63%, che era antihitleriano, sì, ma frazionato in rivalità e competizioni a ben vedere autodistruttive. La scelta folle dei comunisti, che fino all’ultimo fecero di tutto per delegittimare i socialdemocratici, i sindacati socialisti e le forze democratiche rappresentative delle classi medie, perché, secondo “il verbo di Mosca”, se anche tale linea politica avesse portato la Germania ad avere un regime nazista, ciò avrebbe favorito il crollo del capitalismo e l’affermazione della dittatura del proletariato. L’incapacità dei socialdemocratici di reagire alla crisi in corso, finendo col diventare un partito infiacchito, in mano a leader vecchi, fedeli fino in fondo alla Repubblica di Weimar, ma politicamente mediocri. La destra, che non seppe mai essere davvero liberale e ancor meno sviluppò una prospettiva sinceramente democratica, anzi sconfinò troppo spesso in un nazionalismo spinto, mescolato ad un classismo retrogrado al punto che non realizzò e quindi non tentò di far capire al suo elettorato quanto la Repubblica di Weimar fosse stata generosa nei suoi riguardi. Il Centro, che, addirittura, finì con l’appoggiare proprio il suo killer, Adolf Hitler.
In qualche misura errori non tanto dissimili commisero dopo quel 1933 anche molti leader di altri Paesi. E l’umanità tutta pagò a carissimo prezzo la sottovalutazione della disumanità nazista.
Alberto Quattrocolo
Fonti
Enzo Collotti, Hitler e il nazismo, Giunti, Firenze, 1994.
Hans Magnus Enzensberger, Hammerstein, o dell’ostinazione. Una storia tedesca, Einaudi, Torino, 2008
Joachim C. Fest, Hitler. Una biografia, Garzanti Libri, Milano, 2005
W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1962
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