Guarda i muscoli del capitano
Guarda i muscoli del capitano,
tutti di plastica e di metano.
Guardalo nella notte che viene,
quanto sangue ha nelle vene.
Il capitano non tiene mai paura,
dritto sul cassero,
fuma la pipa, in questa alba fresca e scura
che rassomiglia un po’ alla vita
Iniziava così I muscoli del capitano, di Francesco de Gregori, una delle canzoni (nell’album Titanic, 1982) esplicitamente dedicate alla tragedia del transatlantico. In particolare, questa, è sul capitano Edward John Smith. Che De Gregori, presentando la canzone, descrisse come troppo fiducioso nelle qualità della nave. Insomma un uomo talmente preso dalla (narcisistica?) volontà di battere il record della traversata dell’Atlantico da ignorare irresponsabilmente i messaggi di allerta che gli segnalavano gli iceberg. Come ne I muscoli del capitano, timidamente e inutilmente, con ingenua incredulità, tenta di fare il mozzo:
Ma capitano non te lo volevo dire,
ma c’è in mezzo al mare una donna bianca,
così enorme, alla luce delle stelle,
che di guardarla uno non si stanca
Però, il capitano Smith della canzone si sente forte e sicuro sulla sua nave. La crede forte come i suoi muscoli e inaffondabile. Un capolavoro inarrivabile di perfezione ingegneristica.
Questa nave fa duemila nodi,
in mezzo ai ghiacci tropicali,
ed ha un motore di un milione di cavalli
che al posto degli zoccoli hanno le ali.La nave è fulmine,
torpedine, miccia,
scintillante bellezza,
fosforo e fantasia,
molecole d’acciaio,
pistone, rabbia,
guerra lampo e poesia.
13 gennaio 2012: i muscoli del capitano e l’Isola del Giglio
Il Titanic, di proprietà della compagnia White Star Line alle 23:40 del 14 aprile 1912, durante il suo viaggio inaugurale da Southampton a New York, si scontrò con un gigantesco iceberg. L’urto provocò un gigantesco squarcio nella fiancata destra. Il transatlantico affondò in due ore e quaranta minuti. Delle 2.227 persone a bordo, 1.517 non si sarebbero salvate.
Cento anni dopo un’altra enorme nave passeggeri naufragò per l’eccessivo “ottimismo” del suo capitano. Si trattava della nave passeggeri di maggior tonnellaggio naufragata nella storia, la Costa Concordia. Alle 21:45 del 13 gennaio 2012 urtò contro un gruppo di scogli, Le Scole, nei pressi dell’Isola del Giglio. Persero la vita 32 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, inclusa la piccola Dayana Arlotti di 6 anni e il suo papà 37enne, Williams.
La Corte di Cassazione il 12 maggio 2017 ha confermato le condanne pronunciate contro il comandante Francesco Schettino dai giudici penali del Tribunale e della Corte d’appello: 16 anni di reclusione per naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono di nave in pericolo.
Da subito tutti, a partire dagli inquirenti, si chiesero perché la nave non avesse inviato una richiesta di soccorso (mayday) e perché stesse navigando così vicino all’isola e cercarono di appurarne le ragioni. Il comandante Schettino spiegò che la vicinanza della nave alla costa era dovuta alla sua intenzione di indirizzare un “inchino” di saluto all’isola, secondo una pratica non insolita per la Costa Crociere.
De Falco e Schettino due persone il cui comportamento è diventato emblematico
“Cosa resta, cinque anni dopo, degli inchini, della biscaggina, del Salga a bordo, cazzo, del più incredibile dei naufragi? Cosa resta della “più italiana” delle tragedie: un comandante che fa un casino e poi scappa e di un ufficiale che lo rincorre per ricordargli i suoi compiti, la sua divisa?“, scriveva Diego Pretini il 13 gennaio di due anni fa.
Pretini e molti altri commentatori interpretarono quella spaventosa, terribile, tragedia in termini emblematici. La “più italiana” delle tragedie. E il comportamento di Gregorio De Falco, capo sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, diventò rappresentativo dell’efficienza, della competenza coniugata al senso di responsabilità, oltre che del dovere, contrapposto a quello di Schettino, letto come esempio nefasto della cialtronaggine irresponsabile.
La condotta di quest’ultimo, in questa prospettiva, ricorda un poco proprio la chiusura de I muscoli del capitano.
In questa notte elettrica e veloce,
in questa croce di Novecento,
il futuro è una palla di cannone accesa
e noi la stiamo quasi raggiungendo.E il capitano disse al mozzo di bordo
“Giovanotto, io non vedo niente.
C’è solo un po’ di nebbia
che annuncia il sole.
Andiamo avanti tranquillamente”.
E poi il capitano, se vuole, si leva l’ancora dai pantaloni e la getta nelle onde
Il naufragio della nave Sirio
E da Genova
In Sirio partivano
Per l’America varcare
Varcare i confin
Ed a bordo
Cantar si sentivano
Tutti allegri
Del suo destin
Urtò il Sirio
Un orribile scoglio
Di tanta gente
La misera fin
Padri e madri
Bracciava i suoi figli
Che si sparivano
Tra le onde del mar
E fra loro
Un vescovo c’era
Dando a tutti
La sua benedizion
Fonti
Enrico Deregibus, Quello che non so, lo so cantare, Giunti, Firenze, 2003
www.corobalzani.it
www.ilfattoquotidiano.it
www.it.wikipedia.org
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!