Giornata internazionale della donna
In occasione dell’8 marzo 2017, l’ONU ha espresso l’auspicio – ed esortato i suoi membri a realizzarlo – che entro il 2030 possa essere raggiunta un’effettiva parità tra i generi nel mondo intero; nel 2018, la UN-Women ha affermato che “non ci può essere uno sviluppo sostenibile senza parità di genere”. Nell’attesa, la Giornata internazionale della donna ogni anno ricorda sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto.
La ricorrenza ha una storia lunga oltre un secolo, carica di un potente significato sociale e politico di opposizione al potere che, negli ultimi decenni, ha rischiato di disperdersi nelle forme di “una stucchevole liturgia a cadenza annuale in cui le donne vengono omaggiate con fiori e cioccolatini. O in cui si concedono serate di libera uscita.”. Si fanno gli auguri alle donne e si comprano regali, aziende e locali si mobilitano, vengono organizzate serate a tema, si entra gratis nei musei, compaiono menù speciali al ristorante, nei negozi ci sono sconti, omaggi e promozioni dedicate, online si imbastiscono gallery di donne famose, a mo’ di santini. Per molte donne è un giorno diverso dagli altri, possono fare cose che normalmente non fanno: una specie di inversione carnevalesca, in cui quello che succede può succedere solo perché è carnevale e, proprio in quanto eccezione, conferma la regola della narrazione tradizionale che sistematicamente cerca di ridurre le donne a bambole, ancelle, angeli del focolare.
Di “Giornata internazionale della donna” si iniziò a parlare al VII Congresso della II Internazionale Socialista del 1907, a cui partecipavano i più importanti marxisti dell’epoca, tra cui Lenin e Rosa Luxemburg; il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a “lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne, senza allearsi con le femministe borghesi”. In risposta, la socialista americana Corinne Brown scrisse che il Congresso non avrebbe avuto “alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione”, e fu proprio negli Stati Uniti che, nel 1909, nacque il Woman’s Day, celebrato l’ultima domenica di febbraio, sull’onda di una mobilitazione collettiva che condusse, qualche mese dopo, al celebre sciopero di ventimila camiciaie a New York.
Fu però poi la Russia a fare da propulsore alla celebrazione: l’8 marzo 1917 le donne di San Pietroburgo dichiararono sciopero e organizzarono una grande manifestazione per chiedere la fine della guerra e ottenere il ritorno dei loro uomini in patria. Quella giornata ebbe un effetto esplosivo, dando vita a una serie di ulteriori manifestazioni: viene infatti considerata l’inizio della Rivoluzione russa di febbraio che portò alla caduta dello zar. Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, nel 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all’8 marzo la Giornata internazionale dell’operaia.
Nel corso del “Decennio delle Nazioni Unite per le donne” (1976-‘85), con la risoluzione 32/142 del 1977 l’Assemblea generale dell’ONU propose a ogni paese, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale”, riconoscendo il ruolo della donna negli sforzi di pace e l’urgenza di porre fine a ogni discriminazione e aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale. L’8 marzo, che già veniva festeggiato in diversi paesi, fu scelto come data ufficiale da molte nazioni, occasione per ricordare tutti quei momenti in cui le donne avevano capito come organizzarsi per inserirsi nelle dinamiche politiche, modificandole.
Se queste furono le origini della ricorrenza odierna, la connotazione fortemente politica della Giornata della donna nelle sue prime manifestazioni, le vicende della seconda guerra mondiale e infine il successivo isolamento politico della Russia e del movimento comunista nel mondo occidentale contribuirono alla perdita della memoria storica delle radici della manifestazione.
Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare versioni alternative, citando la violenta repressione poliziesca di una manifestazione sindacale di operaie tessili a New York nel 1857, oppure scioperi e incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York. La narrazione più nota è quella secondo cui l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori (123 donne e 23 uomini).
Questa ricostruzione ha avuto molta fortuna ed è tuttora spesso riportata dai mass media, nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta ne abbiano dimostrato l’erroneità. Secondo alcuni, la persistenza di questa versione è dovuta al fatto che, negli anni della Guerra Fredda, avrebbe permesso all’Occidente di scollegare l’8 marzo dalle sue origini russe e comuniste; inoltre, il carattere tragico della vicenda meglio si accorderebbe con la tendenza diffusa a vedere le donne più come vittime che come protagoniste:
Quella giornata è nata per celebrare il potere e l’iniziativa femminile, non per commemorare delle morti. Eppure la narrazione delle vittime sacrificali nell’immaginario collettivo ha prevalso.
In Italia i primi tentativi di introdurre un giorno dedicato alla donna risalgono al 1922, ma è solo dal ‘46 che effettivamente si celebra regolarmente la ricorrenza. A chiederne l’introduzione fu l’UDI (Unione Donne in Italia), formata da militanti del PCI, del PSI, del Partito d’Azione e della Sinistra Cristiana. Tutta italiana è la tradizione che lega la “festa della donna” (come inizialmente fu battezzata) alla mimosa, un fiore economico, che fiorisce alla fine dell’inverno, facile da trovare nei campi; Teresa Mattei, un’ex partigiana che nell’Italia repubblicana continuò a lottare per i diritti di tutte le donne, rammentò in un’intervista che
La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente. […] Quando nel giorno della festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano.
Anche in Italia quella data ha rappresentato un giorno di lotte e rivendicazioni. Lo fu negli anni ’50 della Guerra Fredda e del ministro Scelba, quando distribuire la mimosa era ritenuto un gesto che “turbava l’ordine pubblico” e i banchetti delle militanti venivano denunciati per “occupazione del suolo pubblico”. Fu così almeno fino agli anni ’70 dell’esplosione del movimento femminista: l’8 marzo ‘72 a Roma, in piazza Campo de’ Fiori, si tenne una manifestazione in cui Jane Fonda espresse il suo sostegno alle militanti che chiedevano la legalizzazione dell’aborto e la liberazione omosessuale; le forze dell’ordine caricarono e presero a manganellate le femministe, disperdendole e ferendone diverse. Quella giornata era ancora un evento dirompente, qualcosa che si metteva di traverso rispetto allo status quo.
A livello internazionale l’8 marzo sta recuperando l’originaria valenza sociale e politica, dal 19 ottobre 2006, giorno in cui partecipanti del movimento Ni Una Menos e di altre organizzazioni argentine hanno convocato lo sciopero di un’ora, in risposta all’ennesimo efferato femminicidio; l’iniziativa ha colpito l’immaginario pubblico, diffondendosi progressivamente, e l’8 marzo 2017, faceva la sua comparsa in più di cinquanta Paesi del mondo il Primo Sciopero Internazionale delle donne. La rete Non Una Di Meno ha rilanciato anche in Italia per quella data lo “sciopero globale femminista” come risposta a tutte le forme di violenza che colpiscono sistematicamente le vite delle donne in famiglia, nei posti di lavoro, per strada, negli ospedali, nelle scuole, dentro e fuori i confini.
Scriveva un secolo fa Virginia Woolf:
Se le donne smettessero di occuparsi di famiglia, lavoro domestico, cura di bambini, anziani, malati e uomini in perfetta salute, se non volessero più essere un corpo a disposizione di altri, il mondo sarebbe ancora palude e giungla.
Nel 2018 lo sciopero ha coinvolto circa settanta città italiane e più di settanta paesi nel mondo, in risposta a una violenza strutturale che nega libertà alle donne, denunciando le diverse forme di oppressione e i loro intrecci, le discriminazioni e la violenza di genere, omofobica e transfobica, lo sfruttamento del lavoro, il razzismo, la violenza del capitalismo, insostenibile per l’ecosistema:
“Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo”.
Silvia Boverini
Fonti:
www.it.wikipedia.org; “Che storia ha la Giornata internazionale della donna”, www.ilpost.it; J. Bazzi, “Perché l’8 marzo non è la festa della donna”, www.thevision.com; L. Melandri, “Un insolito 8 marzo globale e femminista”, www.ilmanifesto.it; www.noidonne.org; https://nonunadimeno.wordpress.com; https://abbattoimuri.wordpress.com/
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