Frank Serpico e quegli altri soli contro tutti
Sette anni fa, Frank Serpico disse a Paolo Mastrolilli de La Stampa:
«Mi accolgono meglio all’estero che nella mia città. Una volta ero a Roma, e una signora mi venne incontro. Pronunciò solo due parole: “È vero!”. […]. La gente pensa ancora che io sia solo un film».
Frank Serpico non è Al Pacino
In effetti, è quasi impossibile non associare il nome di Serpico al film di Sidney Lumet (Serpico, 1973) e soprattutto alla straordinaria interpretazione che ne diede Al Pacino, candidato all’Oscar e vincitore del Golden Globe e del David di Donatelle per quel ruolo [1].
In anni più recenti Frank Serpico sulla prestazione di Al Pacino ha detto:
«interpretò Serpico molto meglio di quanto abbia fatto io nella realtà» [2].
Frank Serpico, però, è un essere umano vero. Una persona reale. È nato il 14 aprile del 1936, a New York. Suo padre, Vincenzo, calzolaio, era originario di Marigliano, in provincia di Napoli, come sua madre Maria Giovanna. Ma lei era nata in America. Poi era rientrata in Italia, quindi era ripartita per gli Stati Uniti quando era già incinta del suo primo figlio. Venne battezzato come Francesco Vincent, in una chiesa del Bronx, dove vivevano i suoi genitori e dove egli crebbe, ma presto il suo nome divenne per tutti Frank. Per tutti, ma non per i suoi colleghi poliziotti di New York. Per costoro diventò un “rat”, un topo di fogna, un traditore.
Fin da bambino Frank Serpico voleva diventare poliziotto
Quand’era bambino Frank Serpico sognava ad occhi aperti che da grande avrebbe fatto il poliziotto. Arruolatosi diciottenne nell’esercito, fu destinato per due anni in Corea, una volta congedato, finì il college, lavorando part-time come detective privato. Poi nel ’59, finalmente, concretizzò il suo sogno. A ventitré anni, entrato nel dipartimento di polizia di New York, esordì con la sua divisa blu nelle strade del Bronx, all’81° Distretto, quello che veniva soprannominato “Fort Apache”. Qui, subito si scontrò con la differenza tra la sua idealizzazione e la realtà. Questa era assai più prosaica di come l’aveva immaginata da bambino. Immediatamente, infatti, iniziò a rendersi conto di quanto i suoi colleghi fossero propensi all’uso arbitrario della forza, a maltrattare i fermati, specie se appartenenti a minoranze, e quanto fossero diffuse tra di loro la negligenza e la propensione a lasciarsi corrompere. Resistette per due anni, poi, accolse di buon grado il trasferimento al Bureau of Criminal Identification, dove si occupava soprattutto dell’identificazione delle impronte digitali. Un lavoro monotono e alienante che durò circa 4 anni.
«È una cosa buffa, ma io mi sento un criminale perché non prendo i soldi»
Nel ’65, infatti, venne trasferito al 70° Distretto. Doveva lavorare in borghese. Anche qui, però, i colleghi erano particolarmente propensi all’estorsione di bustarelle, non disdegnando la violenza. E la stessa aria tirava al 90° Distretto. Fino ad allora Serpico si era limitato a rifiutare le bustarelle e a svolgere con impegno e con uno spiccato spirito di iniziativa il suo lavoro, alienandosi le simpatie di colleghi più interessati ad arrangiarsi e ad arrotondare illecitamente lo stipendio che al servizio.
Ma la corruzione organizzata e sistematica riscontrata all’interno del distretto lo portarono a rivolgersi al comandante di polizia Cornelius J. Behan, con cui aveva studiato anni prima all’università. Costui riuscì a farlo trasferire al 7° Distretto, assicurandogli che era cristallino.
L’informazione, però, era alquanto errata. I suoi colleghi del 7°, invece, avevano ricevuto un’informazione corretta su di lui: Frank Serpico non accettava mazzette. E ciò lo rendeva sospetto.
Nel film di Sidney Lumet, il Frank Serpico interpretato da Al Pacino spiega alla sua ragazza:
«È una cosa buffa, ma io mi sento un criminale perché non prendo i soldi».
La rivolta di Frank Serpico
Serpico e gli altri poliziotti avrebbero dovuto combattere il traffico di droga e i giri delle scommesse clandestine. I suoi colleghi, però, facevano accordi con i criminali e li lasciavano operare, in cambio di mazzette e di forniture gratuite di stupefacenti. Serpico decise di fare giustizia. Trovato un appoggio nel collega David Durk, tenne duro nonostante il fallimento di diversi tentativi di denunciare il malaffare diffuso tra i poliziotti ai suoi superiori, a partire dal commissario John F. Walsh fino al sindaco di New York, John Lindsay. Poi, rientrando da un viaggio in Europa, sperimentò sulla propria pelle un palese tentativo di intimidazione. La polizia doganale di New York lo sottopose senza motivo ad un pesante interrogatorio. Invece, di lasciarsi intimidire, Serpico, dato l’esito infruttuoso dei tentativi più istituzionali di denunciare la corruzione, decise di rivolgersi al New York Times. Ottenne così che le informazioni che aveva raccolto sulla corruzione nel dipartimento di polizia divenissero di pubblico dominio, suscitando lo scalpore da egli auspicato e la reazione politica che si attendeva: John Lindsay si trovò costretto a incaricare il giudice Whittmann Knapp di presiedere un’apposita commissione d’inchiesta.
«Ogni volta che schiudo una porta, vedo la canna della pistola che mi sparò in faccia».
Nel 2010 raccontò:
«Ho ancora incubi. Ogni volta che schiudo una porta, vedo la canna della pistola che mi sparò in faccia».
La notte del 3 febbraio del ’71, infatti, entrò in un edificio di Brooklyn per fermare lo scambio di 10 chili di eroina. Lo spacciatore gli sparò in faccia.
I colleghi, però, non si mossero e, invece di invocare nei walkie-talkie e nelle autoradio il “Codice 10-13”, (agente a terra colpito), restarono fermi. Fu un vecchio, un immigrato clandestino messicano, che da un appartamento vicino chiamò i soccorsi. Finalmente un’autopattuglia lo piazzò sul sedile posteriore e lo portò al Greenpoint Hospital. Il proiettile era penetrato nella guancia sinistra. Uno dei frammenti si era fermato a mezzo centimetro dalla carotide. Serpico rimase sordo all’orecchio sinistro e con dei frammenti di proiettile in testa, che sono ancora lì da quasi cinquant’anni.
La testimonianza di Serpico davanti alla Commissione Knapp
Qualche mese dopo Serpico testimoniò di fronte alla Commissione Knapp. Concluse con questa dichiarazione
«Grazie alla mia testimonianza di oggi, spero che gli agenti di polizia in futuro non debbano più sperimentare le stesse frustrazioni e ansie che sono toccate a me durante gli ultimi 5 anni, a opera dei miei superiori e come conseguenza dei tentativi da me compiuti di denunciare la corruzione. Mi è stato fatto chiaramente capire che io avevo affidato ai miei superiori un compito indesiderato. E, a tutt’oggi, il problema resta lo stesso: manca un’atmosfera in cui un funzionario di polizia onesto possa agire senza paura di incorrere nel ridicolo o nelle rappresaglie dei suoi colleghi. In altre parole, si è venuta a creare un’atmosfera tale per cui l’agente onesto teme il disonesto, anziché avvenire l’opposto, come dovrebbe» [3].
Quelli per cui Frank Serpico è un traditore, un “Serpirat”
Frank Serpico lasciò la divisa, con una medaglia d’onore, la placca d’oro di detective e una pensione di invalidità. Collaborò con Peter Maas alla scrittura del libro su di lui, e i diritti d’autore gli assicurarono una più che dignitosa sicurezza economica.
Il best seller di Peter Maas nel ’73 divenne il film di Lumet, ma per diversi anni Frank Serpico non se la sentì di guardarlo [4].
Nel novembre del 2012, l’ex detective,76enne, ritiratosi a vivere nella campagna a nord di New York, dopo aver soggiornato in Svizzera, apprese che David Durk, il suo alleato nella lotta per denuncia della corruzione al Dipartimento, era morto. Frank Serpico non lesse soltanto gli elogi funebri sui giornali, ma anche i commenti sui siti internet frequentati da poliziotti. Frequentati, quindi, anche da quelli che ancora oggi lo odiano. Uno diceva:
«Segui il tuo mentore, ratto schifoso». Un altro inventava un neologismo «Serpirat!».
Serpico spiegò:
«Il problema è che molti cercano ancora di distruggere l’onore di quanto ho fatto. Personalmente mi interessa poco, ma non posso lasciare che i giovani crescano pensando che chi fa il proprio dovere, chi denuncia la corruzione, è un traditore malfattore».
Quelli come Frank Serpico: soli contro tutti
La vicenda di Serpico, che fu intervistato anche da Enzo Biagi, come accennato, interessò moltissimo il regista Sidney Lumet. Questi, era, sì un regista, ma anche un intellettuale, interessato all’esplorazione di temi quali la giustizia, la responsabilità individuale, il razzismo e il conformismo. Inoltre, come tantissimi liberal era ancora dilaniato dalla vergognosa piaga del maccartismo (ne abbiamo parlato più volte nelle rubrica Corsi e Ricorsi, e in maniera più estesa nel post A cavallo della paranoia).
L’atmosfera maccartista, la campagna di Nixon su “Legge e Ordine e il caso di Daniel Ellsberg
Un clima maccartista si era riproposto, in quei primi anni Settanta, sotto la presidenza del repubblicano Richard M. Nixon, con la sua lista segreta di persone invise al presidente (l’abbiamo ricordata nel post Paul Newman, un uomo oggi) [5]. E durante il maccartismo chi si ergeva contro quella paranoica caccia alle streghe si trovava davvero solo contro tutti.
L’esperienza di Serpico ricordava anche quella di Daniel Ellsberg, il funzionario del Ministero della Difesa, che tra il ’69 e il ’71 fotocopiò 7000 pagine coperte dal segreto di Stato, sulle strategie del governo americano in Vietnam (i cosiddetti Pentagon Papers), e le consegnò al New York Times. Anch’egli aveva deciso che andava messa in piazza la verità, per scomoda, imbarazzante e politicamente esplosiva che fosse. Lo decise e lo fece, anche se ciò implicava sentirsi definire una minaccia per la sicurezza del Paese e rischiare di essere accusato di spionaggio e tradimento e, per queste gravissime ipotesi di reato, condannato.
Il parallelo con la vicenda dei Pentagon Papers di Ellsberg pone in rilievo anche la dimensione del complesso intreccio di connivenza, omertà, complicità e interessi politici contro cui sbatteva la determinata onestà di Frank Serpico. Non va trascurato, inoltre che erano, quelli, gli anni in cui Richard Nixon aveva svolto e vinto la campagna elettorale proponendosi come il paladino della «della legge e dell’ordine». E ciò imponeva che non vi fossero deviazioni dalla linea dura verso la criminalità urbana e dal sostegno incondizionato alle forze di polizia.
Ambrosoli e Ilaria Cucchi: anche loro soli contro tutti
Ma la lotta di Serpico contro la corruzione e la reazione punitiva che si scatenò contro di lui, potrebbero far pensare anche a fatti del nostro Paese. Ad esempio, alla battaglia di Giorgio Ambrosoli per la verità e la legalità (lo abbiamo ricordato qui) Anche nei confronti di Ambrosoli, prima di ucciderlo, furono realizzati diversi tentativi di fermarlo, perché rappresentava un pericolo non soltanto per Sindona. La sua attività costituiva un fattore di destabilizzazione per il sistema finanziario e politico marcio che stava scoperchiando. Come ebbe a dire Serpico riguardo alla propria esperienza:
«Ho rotto una macchina da soldi perfettamente oliata. E non parliamo di qualche dollaro. Un capitano ha dichiarato: “Se non fosse per quel figlio di puttana di Serpico oggi sarei milionario”. Mi accusano di aver buttato un sasso negli ingranaggi, di aver rovinato l’immagine del mio Paese per aver esposto il giro di mazzette. Ma quelli che parlano così sono parte del problema. Sono gli stessi che mangiano grazie alla corruzione».
Venendo ai giorni nostri, un’altra associazione mentale è quella con il caso di Stefano Cucchi.
L’ex-poliziotto di New York commentò i tentativi di demolizione della sua reputazione con queste parole:
«Intaccare la credibilità di chi non si fa comprare è una pratica diffusa per screditare i nemici»
In queste parole viene riassunto ciò che ha implicato la lotta decennale svolta dalla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, contro alte muraglie di silenzi e di depistaggi e contro costanti e pesantissimi tentativi di delegittimazione [6]. Il tema dell’isolamento dell’agente onesto, che arriva a temere quello disonesto, esplicitato da Frank Serpico davanti alla commissione Knapp, riecheggia nella testimonianza resa dal carabiniere Francesco Tedesco sui maltrattamenti subiti da Stefano Cucchi. L’8 aprile del 2019, Tedesco ha spiegato in tribunale quanto accaduto la notte del 15 ottobre 2009 e i successivi tentativi di depistaggio e di costringerlo al silenzio.
«Dire che ebbi paura è poco: ero letteralmente terrorizzato», ha detto Tedesco in aula. «Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato».
Alberto Quattrocolo
[1] Serpico (1973, di Sidney Lumet) si collocava in una cornice cinematografica precisa. Infatti, fin dagli anni Quaranta, Hollywood, accanto ad opere celebrative dell’attività delle forze dell’ordine contro il crimine, aveva prodotto una nutrita serie di pellicole che esploravano il fenomeno della corruzione e degli abusi delle forze dell’ordine. In alcune il protagonista era un poliziotto onesto e corretto in lotta contro la criminalità organizzata, e le sue coperture politiche, e contro la corruzione di alcuni o molti colleghi. Tra le più note si possono ricordare: La gang (1951, di John Cromwell), Furore sulla citta (1952, di William Dieterle) e Il grande caldo (1953, di Fritz Lang). Quest’ultimo esplorava il tema preferito dal regista, la vendetta, ponendo come protagonista un poliziotto, in lotta contro un boss e contro i colleghi collusi con esso. Altri film avevano come protagonisti dei poliziotti anti-eroi, o addirittura criminali. Ad esempio, Sui marciapiedi (1950, di Otto Preminger) e Neve rossa (1952, di Nicholas Ray) avevano portato sullo schermo dei poliziotti brutali o perfino sadici, il cui contatto con il crimine e la violenza li contagiava fino a renderli disumani. Sciacalli nell’ombra (1951, di Joseph Losey), frutto della collaborazione tra due vittime del maccartismo (il regista, Losey, e lo sceneggiatore Dalton Trumbo), tratteggiava una figura di poliziotto assassino, intento a perseguitare una donna. Mentre Criminale di turno (1954, di Richard Quine), Il colpevole è tra noi (1954, di Howard Koch e Edmond O’Brien), Senza scampo (1954, di Roy Rowland) e Trappola mortale (1965, di Burt Kennedy) portavano sullo schermo figure di poliziotti che non si facevano troppo scrupoli nel commettere crimini, pur di realizzare i loro sogni di affermazione borghese e di assicurarsi il possesso dei relativi status symbol. Il film di Lumet su Frank Serpico, però, rientrava anche nella rinascita del cinema poliziesco, che, inauguratasi con La calda dell’ispettore Tibbs (1967, di Norman Jewison), di cui abbiamo parlato qui, stava sviluppandosi lungo gli Anni Settanta, con un tale successo commerciale da spingere anche le emittenti televisive ad investire in questo genere (ne sortirono serie di enorme presa sul pubblico come quelle di Starsky e Hutch, di Kojak, di Hill Street –giorno e notte, ecc.). Tale revival del genere poliziesco nelle sale cinematografiche aveva visto emergere tre diversi filoni. Da un lato, film intenti a promuovere un messaggio garantista e legalitario, in cui si esplorava la disumanità e l’inefficacia dei metodi brutali dispiegati dai poliziotti, per promuovere l’idea che il rispetto delle garanzie dei sospettati assicurava maggiori possibilità di pervenire alla verità dei fatti indagati e a fare davvero giustizia. In tale ciclo si collocavano successi di cassetta quali il sopra citato film di Jewison, interpretato da Sidney Poitier, nonché Inchiesta pericolosa (1968, di Gordon Douglas), interpretato da Frank Sinatra, nei panni di un investigatore onesto e leale, che induce con estenuanti pressioni psicologiche un uomo a confessare un omicidio, per poi scoprirne l’innocenza, mettersi in discussione e riuscire a scoprire il vero criminale. L’altro filone, invece, glorificava la figura del poliziotto, ponendone in luce la lotta solitaria contro il crimine e contro l’indulgenza della legge e dei tribunali. Il film più emblematico è costituito da Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo (1971, di Don Siegel). Queste pellicole riscuotevano un notevole successo commerciale ed erano prodotte in maggior numero rispetto a quelle “garantiste”, anche se spesso con budget contenuti. Il terzo filone costituiva una via di mezzo tra le due opposte tendenze descritte, talvolta con esiti volutamente ambigui. Appartenenti a questo filone erano film di immenso successo come L’uomo dalla cravatta di cuoio (che ispirò la serie televisiva Uno sceriffo a New York) e Squadra omicidi, sparate a vista (che generò la serie TV Madigan), entrambi di Don Siegel, e Bullit (di Peter Yates), tutti e tre del ’68, e Il braccio violento della legge (1972, di William Friedkin). Anche Sidney Lumet, prima del film dedicato a Frank Serpico, si era cimentato con Riflessi in uno specchio scuro (1972). In quest’opera, di ambientazione inglese, Sean Connery interpretava un poliziotto, onesto ma impulsivo e tormentato, che, per indurlo a confessare, picchiava a morte un uomo innocente sospettato di pedofilia. Prima di Serpico, però, un solo altro film aveva offerto uno sguardo così totalmente pessimista sulle forze di polizia: Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970, di Elio Petri). Questo film, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 23º Festival di Cannes e del Premio Oscar al miglior film straniero nel 1971 (nonché candidato per la migliore sceneggiatura originale agli Oscar dell’anno successivo), aveva avuto una grossa risonanza internazionale, ma, a differenza del film di Lumet, sviluppava la sua denuncia su di un registro maggiormente politico e con uno stile più incline al grottesco che al severo realismo. Il registro realistico e di denuncia, però, era totalmente assente nella serie televisiva Serpico, di 15 episodi, trasmessa tra il ’76 e il ’77, generata dal successo commerciale del film con Al Pacino. Va annotato infine che Sidney Lumet restò nei paraggi di Serpico con il successivo Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975), che lo vide dirigere nuovamente Al Pacino, questa volta, però, nei panni di un rapinatore. La pellicola, ispirata ad un fatto reale, non offriva certo un’immagine tranquillizzante dell’operato delle forze di polizia.
[2] Anche Al Pacino è di origini italiane (i genitori erano figli di immigrati siciliani) e, come Frank Serpico, è nato e cresciuto in una zona difficile di New York: ad East Harlem
[3] Numerosi testimoni deposero davanti alla Commissione Knapp, e molti furono gli agenti condannati per corruzione e tangenti. La commissione diede poi vita a una serie di iniziative di “pulizia” del dipartimento di polizia
[4] Nel dicembre del 2017 fu presentato al Tribeca Film Festival di New York il documentario Frank Serpico di Antonino d’Ambrosio, realizzato con la collaborazione dell’ex poliziotto.
[5] Come Frank Serpico e gli altri poliziotti onesti, isolati e minacciati dai loro colleghi, nonché costretti al silenzio dai loro superiori, così, in termini più vasti, vent’anni prima, nell’epoca maccartista, venivano emarginate e considerate perfino filocomuniste, cioè sovversive, le poche persone che si indignavano per «quell’ondata di fascismo». Esse venivano azzittite o almeno delegittimate dalla convinta reazione di chi era contagiato dalla paranoia anticomunista ed osteggiate da chi suggeriva un atteggiamento omertoso, scaturito dalla paura di mettersi contro la maggioranza e la mentalità dominante. Marginalmente si fa notare che lo sceneggiatore di Serpico (1973, di Sidney Lumet), Waldo Salt, negli anni del maccartismo non sfuggì alla lista nera e fu costretto a rifugiarsi in Inghilterra. Nel 1938, infatti, convinto che fosse l’unica vera organizzazione politica antifascista e antinazista, si era iscritto al Partito Comunista Americano, uscendone poi con la firma del patto Ribbentrop-Molotov. Salt rientrò negli USA, dopo la fine del maccartismo e si meritò due Oscar, uno per Un uomo da marciapiede (1970, di John Schlesinger) e l’altro per Tornando a casa (1978, di Hal Ashby), di cui abbiamo parlato nel Tornando a casa per fare i conti con se stessi.
[6] Provenissero da politici di alto livello, da giornalisti, commentatori e opinionisti, oppure da cittadini comuni sui social, questi attacchi, tesi a screditare Ilaria Cucchi, non risparmiavano il piano degli affetti famigliari e includevano i tentativi di trasformare il fratello da vittima in colpevole (in quanto tossicodipendente e autore di illeciti).
Fonti
Gualtiero De Santi, Sidney Lumet, Editrice Il Castoro s.r.l, 1987
Peter Maas, Serpico, Rizzoli, Milano, 1973
http://www1.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201001articoli/51567girata.asp
http://www.repubblica.it/persone/2010/01/25/news/serpico_vero-2065507/
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