Figli e mediazione familiare: è giusto coinvolgerli?
Quale è il ruolo dei figli durante il conflitto tra i genitori?
I figli possono sembrare spettatori passivi rispetto alle discussioni che coinvolgono i genitori ma, la maggior parte delle volte, gli stessi vengono trascinati all’interno del conflitto e si trovano in una posizione molto svantaggiata poiché lo subiscono e non possono avere “voce in capitolo” a riguardo.
Ecco perché appare evidente quanto sia importante il dialogo tra genitori e figli, in particolare modo quando la coppia si trovi ad affrontare un passaggio molto delicato quale quello della separazione.
È altrettanto evidente quanto questo risulti difficile, soprattutto in questa fase nella quale la coppia è prevalentemente impegnata a farsi la guerra e risulta, per la maggior parte delle volte, cieca nei confronti di quello che sarebbe bene per i figli.
Molte volte, quando in una fase successiva viene chiesto ai figli di cosa avrebbero avuto maggior bisogno durante la separazione dei genitori, gli stessi rispondono che gli sono mancate, da parte di mamma e papà, spiegazioni e rassicurazioni in merito a quanto stesse succedendo.
È proprio attraverso la mediazione familiare che si possono aiutare i genitori ad assolvere a questo difficile compito rendendo partecipi, ove possibile, i figli nel percorso stesso.
Proviamo a vedere come.
Quali sono i pro e contro all’ascolto del minore?
Come anticipato, nel conflitto tra i genitori, il ruolo dei figli è, a volte, passivo, oppure essi vengono “triangolati emotivamente” dagli adulti che incanalano attraverso di loro i conflitti irrisolti.
Le reazioni che i figli possono avere sono atte ad esprimere i loro bisogni. Cercano, infatti, di proteggere i genitori e loro stessi ed il comportamento che assumono è lo specchio delle necessità che hanno ma che non sanno esternare in altro modo. (Parkinson, 2013, pp.204-205)
Sono molti i figli che vorrebbero avere voce in capitolo sugli accordi familiari, in particolar modo i figli più grandi pensando che dovrebbero essere coinvolti in decisioni che incideranno in maniera profonda sulla loro vita.
“Siamo persone anche noi e non dovremmo essere trattati come dei malviventi, solo perché siamo giovani. Credo che noi ragazzi meritiamo lo stesso rispetto che i cosiddetti adulti si aspettano da noi.” (Parkinson, 2013, p. 30).
Sono discordanti le opinioni dei mediatori riguardo il coinvolgimento diretto dei figli in mediazione.
Alcuni pensano che questo porterebbe danno verso le decisioni dei genitori poiché andrebbero ad indebolirle, ma l’esperienza di Regno Unito e di Australia dimostra che i figli possano trarre beneficio dal loro coinvolgimento in prima persona.
Questo può avvenire solo qualora si accertino prerequisiti fondamentali, ossia il consenso di entrambi i genitori, la riservatezza per tutti i partecipanti alla mediazione (eventualmente anche un consenso informato da parte del figlio) e la chiarezza del ruolo del mediatore.
In base ad uno studio fatto nel 1989 da Garwood, si rilevò che su 186 casi 43 visionati, solo 39 (il 19%) aveva visto il coinvolgimento dei figli e la ragione primaria era legata alla giovane età dei bambini (in media tre anni e mezzo).
Per metà dei casi i genitori non ritennero necessaria la presenza dei figli poiché si ritenevano in grado di poter avere con loro un dialogo tra le mura domestiche; per 14 casi ritenevano che i temi toccati in mediazione non li riguardassero; in 9 casi un genitore non aveva dato il consenso.
Appare evidente, quindi, che si debba discutere con i genitori, qualora si parli di un possibile coinvolgimento dei figli nel percorso di mediazione, i possibili vantaggi e svantaggi che gli stessi potrebbero averne (Parkinson, 2013, p.217).
Ma vediamo ora quali potrebbero essere i rischi e i benefici derivanti dal loro coinvolgimento.
Di seguito i potenziali svantaggi:
– Il loro coinvolgimento potrebbe aumentarne la sofferenza e la confusione
– Non dovrebbero essere coinvolti in quelle che sono negoziazioni tra adulti
– Non avendone responsabilità non dovrebbero essere trascinati nelle controversie tra i genitori
– Aumentare il loro empowerment rischia di indebolire uno o tutti e due i genitori;
– Potrebbero sentirsi sotto pressione nell’esprimere i loro punti di vista;
– L’autorità decisionale dei genitori potrebbe venir messa in crisi;
– I figli potrebbero temere di dover fare una scelta;
– Il mediatore potrebbe venire “triangolato” tra genitori e figli;
– Il conflitto di lealtà nel figlio potrebbe aumentare;
– I genitori potrebbero avere difficoltà nel gestire la sofferenza davanti ai figli;
– I figli potrebbero avere la falsa aspettativa che le cose migliorino;
– I genitori, attraverso pressioni, potrebbero manipolare il colloquio dei figli;
– I genitori, ricevuti i feedback, potrebbero provare rabbia nei confronti dei figli.
Vediamo ora quali i potenziali benefici portati dal coinvolgimento:
– I figli possono ricevere spiegazioni e rassicurazioni;
– I figli capiscono meglio le decisioni dei genitori;
– Il coinvolgimento sottolinea l’importanza dei loro bisogni, punti di vista e desideri;
– La maggior parte dei figli coinvolti ne riferisce l’utilità.
– Si facilita la comunicazione riducendo le tensioni;
– Si possono risolvere malintesi;
– I figli possono fare domande, dare la loro opinione;
– I genitori possono dare ai figli messaggi che non riuscirebbero a comunicare in altro modo;
-I figli sono aiutati a mandare messaggi ai genitori sentendosi capaci di comunicarglieli;
– I figli possono liberamente esprimere le loro preoccupazioni anche di ordine pratico (si veda, ad esempio, la futura collocazione degli animali domestici);
– I genitori vengono aiutati ad ascoltare i figli i quali, a loro volta, percepiscono interesse nei loro confronti (Parkinson, 2013, pp.218-219).
Accordi con i genitori e con i figli.
Elemento essenziale in mediazione è la riservatezza.
Il mediatore, infatti, ad inizio del percorso di mediazione chiarisce quali siano le “regole” degli incontri ed una basilare è quella della riservatezza che lo stesso avrà nei confronti di ciò che le parti (singolarmente o meno) diranno durante i colloqui.
È importante, nel caso in cui si facciano entrare i figli in mediazione, che i genitori valutino attentamente quali dovranno essere i “paletti” oltre i quali non spingersi, ossia fino a che punto arrivare nelle discussioni con i minori e, poiché in questi casi, la riservatezza non potrà essere totale, si dovrà valutare come procedere ogni qualvolta si ritenga che il minore sia a rischio e, per questo motivo il genitore dovrà dare il consenso a procedere.
Altro punto su cui soffermarsi riguarda i feedback che si possono dare o meno ai genitori. Risulta chiaro che questo dovrà essere deciso esclusivamente dal minore e che, i genitori dovranno riuscire a capire che se un figlio nega il consenso ai feedback verso di loro questo non sta a significare che l’incontro non abbia avuto effetti positivi.
C’è da fare una distinzione tra figli più grandi e figli più piccoli. I primi, infatti, tendono (dopo il colloquio con il mediatore) a ritenersi capaci di poter comunicare ai genitori ciò che vogliono esprimere, senza il bisogno di una terza figura come intermediario, mentre i figli più piccoli hanno solitamente bisogno di un appoggio in più.
Si potrà presentare il caso in cui i minori chiederanno al mediatore di comunicare, a nome loro, qualcosa ai genitori; la cosa più appropriata da fare in merito consiste nel mettere per iscritto il messaggio da portare e controllarlo assieme al mittente (Parkinson, 2013, p.221).
Di fondamentale importanza è che i genitori si trovino d’accordo sul fatto di non dare istruzioni ai figli prima del colloquio, perché questo potrebbe viziarlo, e sull’evitare di chiedere, dopo l’incontro, quello che avrebbero o non avrebbero detto.
I minori devono sentirsi liberi di parlare senza la paura di poter subire ripercussioni oppure di ferire uno o l’altro genitore; devono essere oltremodo rassicurati (da parte del mediatore) sul fatto che parleranno solo se vorranno farlo, saranno ascoltati ma non interrogati e non verrà richiesto a loro di prendere decisioni difficili o di assumersi grosse responsabilità.
Obiettivo primario del loro coinvolgimento in mediazione sarà quello di aiutarli, prestando particolare attenzione a non causargli ulteriore sofferenza.
Farli diventare parte del processo di mediazione, può aiutarli a capire meglio i loro bisogni, ciò che loro vogliono comunicare ai genitori e cosa vogliono sentirsi dire da questi ultimi e, per questo motivo, è indispensabile non vedere il colloquio con i figli a senso unico, atto solo ad indagare i loro sentimenti, ma capace di fornire spiegazioni adeguate alla loro età e trasmettere rassicurazioni, specialmente nei casi in cui la comunicazione con i genitori è stata interrotta.
Uno dei principali vantaggi è quello di riaprire un canale di comunicazione nella famiglia, così che si arrivi a riprendere a parlarsi, capendosi di più e facendolo in maniera empatica. (Parkinson, 2013 pp.222-223)
Fonti:
PARKINSON, L., (2013) “La mediazione familiare: modelli e strategie operative”. Erickson.
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