Entra in vigore la legge Merlin il 20 settembre 1958

Si entra nell’incoscienza, il miraggio d’ambizioni stupide. E dopo quando vediamo che questo denaro è veramente sudato con il nostro dono migliore, non dà né il risultato e nemmeno la felicità, non siamo più capaci di trovare la vera via. Passano gli anni, le speranze, qualche illusione d’amore, una grande pietà ci prende per noi stesse per essere così perdutamente sole.
(Lettere dalle case chiuse, n. 54)

Non chiamatele prostitute; sono donne che amano male perché furono male amate
(L. Merlin, intervistata da Oriana Fallaci, 1963)

Alla mezzanotte del 20 settembre 1958, entrò in vigore la legge n. 65/1958, approvata in febbraio, e le oltre settecento case di tolleranza sparse in tutto il territorio nazionale dovettero chiudere i battenti.

Quattordici ore al giorno, per un minimo obbligatorio di trenta rapporti quotidiani, senza possibilità di rifiutare performance particolari, in ambienti malsani…

Le più blasonate tra esse organizzarono feste d’addio e concerti di violini per l’addio alle “signorine”, e le migliori firme (maschili) del giornalismo italiano commentarono l’avvenimento scrivendo articoli tra l’ammiccante e il nostalgico, evocando romantiche immagini di prostitute dal cuore d’oro, sola consolazione per vecchietti e storpi, affettuose iniziatrici di adolescenti inesperti, generose sponde d’argine al furore amatorio del maschio italico, troppo impetuoso per essere contenuto dalle pudiche sposine tra le mura domestiche.

Tanto per avere un’idea del romanticismo del “mestiere”, stiamo parlando di quattordici ore al giorno (“dalle 10 all’una, dalle 2 alle 8, dalle 9 alle 24, non ti lasciano che il tempo di mangiare e di lavarti la faccia”) per un minimo obbligatorio di trenta rapporti quotidiani (non era previsto un limite massimo), senza possibilità di rifiutare performance particolari (“cliente scontentato, rinnovo perso..”), in ambienti senz’aria (le persiane sempre chiuse) e spesso malsani, in cui i vantati controlli sanitari il più delle volte si risolvevano in un passaggio di mazzette dai tenutari a medici compiacenti; quasi nessuna ragazza godeva, per il riposo, di una stanza singola, a volte nemmeno di un proprio materasso, le uscite erano contingentate (ordine dei questori) e non si potevano fare acquisti fuori dal postribolo, poiché i proprietari vendevano a prezzi maggiorati biancheria, disinfettanti, saponi e profumi.

Delle circa tremila donne in servizio nelle case controllate dallo stato negli anni Quaranta e Cinquanta, molte avevano figli piccoli da mantenere, messi a balia o in istituti pagati a caro prezzo, e i proventi della professione, detratte le percentuali dovute ai tenutari e quelle estorte col ricatto, erano scarsi; quasi nessuna riusciva ad ammucchiare un gruzzolo per rifarsi una vita, e a 35-40 anni, sfiorite e spesso ammalate, venivano espulse dal circuito e abbandonate a se stesse. Se si voleva provare un’esistenza diversa mancava il libretto di lavoro, che non si poteva ottenere senza il permesso di residenza, il quale a sua volta non veniva concesso se non si aveva un lavoro, ma nessuno assumeva un’ex prostituta. E se una di loro era pronta a convolare a nozze con un militare di carriera, il ministero competente negava l’autorizzazione. Se voleva aprire un negozio, non le era concesso.

Perché è questa nostra società che costruisce, sulla miseria e sul dolore altrui, le valvole di sfogo di una morale filistea

Perché è questa nostra società che costruisce, sulla miseria e sul dolore altrui, le valvole di sfogo di una morale filistea, ed è ancora questa società che, dopo averle sfruttate, uccide legalmente, in nome di quella stessa morale, le sue vittime, che sarebbero, al dire degli ipocriti, necessarie a preservarla. […] La lotta per l’abolizione della schiavitù legalizzata della donna diventa un passo importante, un mezzo importante per far conquistare alla donna italiana la coscienza della necessità della sua emancipazione, elemento che condiziona, in notevole misura, la possibilità di democratizzare la vita nel nostro Paese o […] far finire lo sfruttamento dei pochi sui molti.

La senatrice Merlin, firmataria e promotrice della legge n. 65 che, suo malgrado, passò alla storia col suo nome, non ritenne di vietare “ciò che è insopprimibile, cioè il mercato dell’amore”, ma puntò a cancellare lo sfruttamento perpetrato all’ombra delle leggi dello Stato in una modalità ipocrita che marchiava a vita le donne, privandole della possibilità di trovare un lavoro e immaginare un futuro normale emancipandosi dal degrado.

La senatrice Lina Merlin

Classe 1887, nata in Veneto da famiglia poverissima, Angelina – detta Lina – Merlin lavorò precocemente, al contempo studiando fino a laurearsi nel 1914; pacifista nella Prima Guerra Mondiale, si avvicinò al socialismo, rifiutò di giurare fedeltà al regime mussoliniano e fu arrestata e confinata in Sardegna; partigiana e antifascista militante, fondò i Gruppi per la difesa della donna e per l’assistenza ai volontari della libertà, che diverranno poi l’Unione Donne Italiane. Presente ai lavori dell’Assemblea Costituente, fu lei a chiedere di introdurre, all’articolo 3, il passaggio “senza distinzione di sesso”, che per i suoi colleghi era implicito. Nel 1948 fu eletta senatrice, la prima (e unica, nella legislatura) donna, all’età di 61 anni.

Dedicò il suo cammino parlamentare alla promozione dei diritti delle donne e al miglioramento della condizione femminile. Ottenne l’abolizione della dicitura “figlio di N. N” per le nascite “illegittime”, l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, l’eliminazione delle disparità tra figli adottivi e propri, la possibilità per le donne di accedere alla magistratura, l’abolizione della “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano. Si impegnò personalmente nell’organizzazione dei soccorsi per l’alluvione del Polesine.

La lotta contro le case chiuse e il giro di affari correlato le procurò polemiche e beceri insulti sessisti anche all’interno del suo stesso partito: si narra che, per ottenerne l’appoggio in Parlamento, dovette minacciare il segretario Pietro Nenni di rendere pubblici i nomi dei compagni proprietari di bordelli (leggendaria la risposta: “Mio Dio, Lina, e come faccio ad avvisarli tutti?”).

Questo Paese di viriloni che passan per gli uomi­ni più dotati del mondo e poi non riescono a conquistare una donna da soli! 

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Si trovò a fronteggiare una serie di luoghi comuni, gli stessi che continuano ad essere sbandierati oggi. Come il fatto che non se ne può fare a meno perché è un’esigenza fisiologica. Lei però aveva le idee chiare, come spiegherà in un’intervista del 1963 ad Oriana Fallaci:

Questo Paese di viriloni che passan per gli uomi­ni più dotati del mondo e poi non riescono a conquistare una donna da soli! Se non gli riesce di conquistare le donne, a questi cretini, peggio per loro.

Una volta una donna le urlò per strada:

Dove mando ora i miei figli?”. E lei, schietta: “Dalle figlie delle sue amiche”.

La senatrice ricevette anche numerose lettere dalle lavoratrici delle case chiuse, molte a favore della sua battaglia, qualcuna contraria, ma sempre testimonianze strazianti di storie di vita che si volevano tenere ben nascoste dietro le serrande sbarrate delle case chiuse di stato.

La legge approvata, e tuttora in vigore, non rese illegale la prostituzione, ma il suo sfruttamento ad opera di soggetti pubblici o privati ed eliminò quei provvedimenti, legati a malintese questioni di ordine pubblico e “decoro”, che marchiavano a vita le prostitute.

Lo spirito della norma trova fondamento nei trattati internazionali sul tema, nonché negli artt. 2-32-41 della Costituzione italiana, come sottolineò la stessa Merlin:

Nell’art. 2 la Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, riafferma la precedenza della persona umana rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella, e perciò condanna implicitamente la regolamentazione, che giustifica la mortificazione di un gran numero di donne disgraziate nella presunzione di provvedere a un servizio sociale. L’articolo 32 afferma che la Repubblica deve tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, ma la legge, in nessun caso, può violare i limiti imposti dal rispetto alla persona umana. I legislatori, che tale articolo approvarono, espressero prima di me l’impegno di abolire la prostituzione ufficiale, che contravviene a quella norma. L’articolo 41, stabilendo che l’iniziativa economica privata è libera, ma che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, condanna implacabilmente l’infame mercato dei lenoni.

Avrebbe dovuto essere un primo passo, in direzione di un riconoscimento di dignità a coloro che oggi si definiscono sex workers, a tutelarne l’autonomia delle scelte e la possibilità di cambiare vita; ad oggi, non sono seguite evoluzioni significative, necessarie dacché lo sviluppo dei flussi immigratori ha reso disponibile una massa di donne giovanissime, anche minorenni, in condizioni di estrema vulnerabilità, consentendo alle organizzazioni criminali di organizzare un mercato della prostituzione sempre più diffuso e diversificato (strada, locali, centri massaggi, web) e connesso a tratta, violenza, riduzione in schiavitù. Le stime sulla prostituzione in Italia oscillano fra 75 e 120 mila donne, di cui più del 30% minorenni. In strada per lo più sono nigeriane e dei paesi dell’Est. Circa nove milioni i clienti con un “mercato” che vale intorno ai 90 milioni di euro al mese.

 

Silvia Boverini

Fonti:
D. Ronzoni, “Lina Merlin, che rese l’Italia meno ‘tollerante’”, www.linkiesta.it;
www.universitadelledonne.it;
O. Fallaci, “Intervista a Lina Merlin”, l’Europeo, 1963;
E. Milanesi, “1958, sessant’anni fa la fine dei casini”, www.ilmanifesto.it;
“60 anni di Legge Merlin, potenziamola”, www.apg23.org;
www.abbattoimuri.wordpress.com;
M. Serri, “Cara senatrice Merlin, sono una di quelle…”, www.lastampa.it;
E. di Caro, “Lettere dal degrado umano”, www.ilsole24ore.com;
“Lettere dalle case chiuse”, a cura di Lina Merlin e Carla Barberis, scaricabile su www.fondazioneannakuliscioff.it alla voce “pubblicazioni”

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