Eccidio delle Fonderie Riunite di Modena
All’indomani della caduta del ventennale regime fascista e della fine della Seconda Guerra Mondiale, la neonata Repubblica Italiana si trova una macchia di sangue a sporcarle la nuova divisa. In effetti, le macchie sono diverse, e iniziano a Portella della Ginestra, nel ’47: molti, in quegli anni, i conflitti per il lavoro che si concludono con la morte, fino ad arrivare a quel nove gennaio 1950.
Adolfo Orsi, patron della Maserati, possiede anche le Fonderie Riunite, a cui impone una lunga serrata, al termine del quale prevede di assumere, a propria discrezione, la metà del personale. 250 lavoratori non sarebbero più stati tali. I sindacati non possono certo stare a guardare.
Viene organizzata una manifestazione per impedire la riapertura dell’azienda, ma Questore e Prefetto non danno l’autorizzazione. Questo non ferma i manifestanti, semmai li carica ancor di più. Sono allora necessari molti più militari, che vengono prontamente inviati in città: ce ne saranno circa duemila, autoblindi compresi, a fronte di, qualcuno sostiene, diecimila scioperanti.
La massa si posiziona fuori dai cancelli della fabbrica, difesa dalle forze dell’ordine. Quando però qualcuno tenta l’irruzione, trova un proiettile ad aspettarlo. Nessuno ha dato l’ordine, ma qualche nervo deve aver ceduto. Il danno è fatto, e da lì può solo peggiorare: moriranno in tutto 6 persone, mentre 200 se la caveranno, seppur segnate fisicamente da quella mattina.
Si instaura il processo. Contro gli operai. Resistenza a pubblico ufficiale, radunata sediziosa e attentato alle libere istituzioni le accuse, che cadono nel ’54, dando il via libera al procedimento civile. Le famiglie ricevono due milioni di lire, ma l’avvocatura dello stato tiene a precisare che la polizia ha usato legittimamente le armi da fuoco. Lo Stato non fece dunque alcuna autocritica.
Alessio Gaggero
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