Due stragi, che non vanno dimenticate, compiute da razzisti di estrema destra, entrambe il 22 luglio, la prima nel 2011 e la seconda nel 2016
Il 22 luglio del 2011 in Norvegia un razzista di estrema destra commette il crimine più violento dai tempi dell’occupazione nazista
Alle 15,22 del 22 luglio 2011, ad Oslo, sotto gli uffici del premier laburista norvegese Jens Stoltenberg, esplode un furgone carico di esplosivo. Lo ha “fatto in casa” e piazzato lì, 5 minuti prima, un uomo vestito da poliziotto, Anders Behring Breivik.
Gli uffici a quell’ora del venerdì sono quasi vuoti, quindi la carneficina non è delle proporzioni programmate da Breivik, che a causa del traffico imprevisto ha parcheggiato il furgone in ritardo rispetto alla sua “tabella di marcia”: “solo” 8 persone restano uccise, 209 vengono ferite e di queste 12 lo sono in maniera grave.
Ma per Breivik quello è solo il primo passo dell’azione terroristica programmata. Il culmine è la strage che intende compiere sull’isola di Utøya nel lago di Tyrifjorden, di proprietà della Lega dei Giovani Lavoratori (Arbeidernes Ungdomsfylking, AUF), un’organizzazione giovanile del Partito Laburista norvegese che organizza un raduno di socialisti e laburisti europei.
Giunto sull’isola quasi due ore dopo, Breivik spara a bruciapelo con una Glock ad un volontario della sicurezza, un ufficiale di polizia fuori servizio, uccidendolo, poi raggiunge la mensa. Qui, grazie al travestimento, inganna tutti: dice ai presenti che, visto quanto accaduto ad Oslo, è lì per proteggerli e per dare loro le istruzioni da seguire.
Po inizia a sparare con un fucile automatico. Ben 77 minuti dura la sua caccia all’uomo sull’isola. Ammazza altre 69 persone – due delle quali muoiono annegate nel lago, dove si sono gettate in cerca di scampo – e ne ferisce 110, di cui 55 in maniera grave.
Si tratta del crimine più violento avvenuto in Norvegia, dai tempi dell’occupazione nazista, cioè dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Per lo più le vittime sono giovani e adolescenti, dei quattordicenni.
Anders Breivik dà loro la caccia. Quando raggiunge i ragazzi che sono rimasti solo feriti dai suoi colpi li finisce tirandogli alla nuca.
Sopraggiunte le forze speciali della DELTA (Unità Norvegese Anti-Terrorismo), si arrende, senza opporre resistenza, alle 18,34.
Diversi anni prima di uccidere Breivik ha pensato e teorizzato il suo odio e ha pianificato la strage
Perché Breivik commette una delle più devastanti azioni terroristiche compiute in Europa? È pazzo?
No, non lo è. Il massacro è un’azione politica. In tribunale Breivik afferma che lo scopo era trasmettere un “messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista” e per contrastare “una decostruzione della cultura norvegese”, che, secondo lui, sarebbe in corso a causa “dell’immigrazione in massa dei musulmani”.
Breivik non è un poveraccio disadattato. È una persona convinta di quello che fa. È un imprenditore (ha gestito una società di e-commerce con buoni risultati) di trentadue anni, che ha pianificato la strage nei dettagli, collocandola nella prospettiva politica della “resistenza armata”: nel processo dichiara di averla iniziata a predisporre fin dal 2002, partecipando ad un incontro segreto a Londra per costituire un movimento di resistenza armata contro l’invasione islamica e per la difesa del retaggio culturale europeo.
Breivik odia a morte il multiculturalismo, l’Unione Europea, l’ONU (perché secondo lui sarebbe infiltrata dall’Islam), il governo laburista norvegese, il presidente degli USA Barak Obama, e, sopra ogni altra cosa, i musulmani e gli immigrati. Breivik, infatti, vuole cacciare tutti gli immigrati e tutti i musulmani dall’Europa per “salvare il genotipo nordico”.
Ma il suo non è un odio generico, nutrito semplicemente a livello emotivo, è anche pensato, teorizzato. Sviluppa la sua prospettiva – che egli definisce anti-multiculturalista, anti-marxista, anti-islamica – nel “memoriale 2083. Una dichiarazione europea d’indipendenza”, lungo ben 1518 pagine – scritte, in inglese, nell’arco di tre anni, e riassunte in 12 minuti di video pubblicato su Youtube.
Quindi, il suo programma politico va decisamente oltre la dimensione della strage e contempla la presa del potere in Europa entro il 2030 da parte di forze politiche di destra estrema. Di partiti, cioè, che siano in grado di sviluppare i punti del suo programma. E che, secondo il killer, sarebbero tra gli altri, Jobbik in Ungheria, il Front National di Marine Le Pen in Francia, England First e il British National Party in Gran Bretagna, la Lega Nord e Forza Nuova in Italia.
A ulteriore conferma del suo orientamento estremista di destra, durante il processo si alza e propone in più occasioni il saluto nazista, ma egli si definisce anche sionista e apprezza particolarmente come Israele tratta i palestinesi. Inoltre, si qualifica come il “salvatore del cristianesimo” e “il più grande difensore della cultura conservatrice in Europa dal 1950”.
Quali sono gli obiettivi politici di Breivik, che si definisce “salvatore del cristianesimo” e “il più grande difensore della cultura conservatrice in Europa dal 1950”?
Quali sono gli obiettivi politici di Breivik?
Soprattutto, questi: introdurre il protezionismo e porre termine al libero scambio, sciogliere l’Unione Europea e creare alleanze con la Russia di Putin (che ammira smisuratamente, quasi quanto l’attuale vicepremier giapponese, il conservatore Taro Aso), la Cina e l’India; cacciare dall’Europa tutti gli immigrati entro il 2083 (cioè esattamente 400 anni dopo la vittoria sugli Ottomani che assediavano Vienna), deportare tutti i musulmani dall’Albania e dall’Anatolia (per crearvi aree di produzione in cui concentrare lavoratori del Terzo Mondo con contratto a tempo determinato di 12 mesi e orario di 12 ore al giorno) e contestualmente giustiziare tutti coloro (intellettuali, politici, giornalisti, docenti…) che si sono macchiati della colpa dell’antirazzismo, poiché, secondo lui, hanno tradito le loro patrie favorendo “il genocidio culturale” degli europei (che egli chiama “popolazioni indigene”).
Infatti, la sua visione radicalmente de-umanizzante di interi popoli lo ha indotto a uccidere non delle persone appartenenti a quei popoli, ma dei giovani norvegesi di sinistra, che per lui rappresentano la quintessenza del nemico: sono i traditori. Cioè, sono più nemici dei nemici stessi, quei giovani europei progressisti, colpevoli di antirazzismo e di voler costruire un dialogo tra persone di culture diverse.
Anders Breivik viene condannato il 24 agosto del 2012, a 21 anni di carcere (la pena massima prevista dalla normativa penale dell’ordinamento norvegese), prorogabili di altri cinque per un numero indefinito di volte, qualora, a pena scontata, sia ancora ritenuto socialmente pericoloso.
In carcere continua a scrivere (intende scrivere 3 libri) e tenta di mettersi in contatto con altri estremisti di destra tra cui il terrorista svedese Peter Mangs (detenuto in quanto autore degli attentati terroristici di Malmö, in Svezia) e l’estremista tedesca Beate Zschäpe.
Inoltre, non soltanto, negli anni seguenti idee politiche e premesse ideologiche non troppo dissimili dalle sue impregnano programmi di movimenti e partiti europei, che in taluni casi arrivano anche al governo del loro Paese, ma la sua “resistenza armata” diventa fonte d’ispirazione per almeno altri due bagni di sangue [1].
Breivik ha ispirato altri due massacri: nel primo, nel Connecticut, nel 2012, Adam Lanza uccide 20 bambini di sei e sette anni, 6 operatori della loro scuola elementare e sua madre
Anders Behring Breivik è stato un ispiratore per il ventenne autore del massacro del 14 dicembre 2012 alla Sandy Hook Elementary School di Newtown in Connecticut (USA). Bilancio totale: 27 morti, più quella del killer che si spara prima dell’arrivo della polizia.
Adam Lanza aveva esplicitato l’intenzioni di superare la portata della mattanza di Breivik. E se Lanza non ci è riuscito rispetto al numero delle vittime, vi è riuscito per quanto riguarda la loro giovane età: quel massacro è costato la vita a 20 bambini di 6 o 7 anni. Inoltre ha ucciso 6 membri del personale della scuola e poco prima la propria madre.
22 luglio del 2016, a Monaco di Baviera, un diciottenne, razzista, tedesco-iraniano, che si ritiene un ariano puro, fa un’altra carneficina e grida: “Io sono tedesco” e “sono nato qui“.
Ancor più direttamente ispirata dalla carneficina compiuta da Breivik è quella commessa, non a caso il 22 luglio del 2016, a Monaco di Baviera, nei pressi del centro commerciale Olympia-Einkaufszentrum (OEZ). Qui 9 persone hanno perso la vita (3 turchi, 2 kosovari, 2 tedeschi, un ungherese e un greco), oltre all’attentatore, che si è suicidato, e 35 sono rimaste ferite.
Ali David Sonboly, un cittadino tedesco-iraniano di 18 anni, già vittima di bullismo scolastico e affetto da depressione, aveva sviluppato un’attrazione per i massacri compiuti nelle scuole negli USA e in Germania.
E ammirava, soprattutto, Breivik per la sua strage, al punto da mettersi a sparare proprio nel quinto anniversario della carneficina compiuta dal killer norvegese.
Però, non era solo la dinamica dell’azione terroristica commessa in Norvegia a suscitare l’entusiasmo di Sonboly. In comune con Breivik aveva anche le idee: idee razziste, che si manifestavano tra l’altro nella pretesa di essere, in quanto iraniano, un ariano puro, a differenza degli altri mediorientali. La sua posizioni politica, del resto, era così a destra da portarlo a considerare un onore l’essere nato lo stesso giorno di Adolf Hitler.
In un video on line si vede Sonboly ricaricare la pistola e discutere con un uomo affacciato al balcone di un edificio vicino. Le parole che il killer urla sono: “Io sono tedesco” e “sono nato qui“.
Come per gli attentati commessi da seguaci del sedicente Stato Islamico, probabilmente, è riduttivo e, forse anche fuorviante, pensare a questi esempi di ferocia come ad atti commessi da “lupi solitari”, da pazzi fanatici isolati. Come osservò Jason Burke sul Guardian, il 30 marzo dello scorso anno, già nel 1983 il suprematista bianco Louis Beam, appartenente sia al Ku Klux Klan sia all’organizzazione neonazista Aryan Nations, aveva pubblicato un manifesto sulla “resistenza senza leadership” contro il governo americano, ispirando verosimilmente l’uomo che, 12 anni dopo, con una bomba uccise 168 persone a Oklahoma City. Un altro ideologo estremista di destra, Tom Metzler, leader del gruppo neonazista White Aryan Resistance, aveva pubblicato un testo dal titolo eloquente: “Regole per i lupi solitari”. E le sue idee trovarono non poca diffusione.
Del resto Breivik, per quanto abbia agito da solo, secondo i giudici, nella lunga preparazione della carneficina, si era nutrito di letture, aveva cercato dei contatti e degli scambi proprio in ambienti che sostengono e promuovono teorie e azioni, di incontenibile violenza razzista, fondate su lla demonizzazione e sulla de-umanizzazione dell’Altro.
Alberto Quattrocolo
Fonti:
Luca Mariani, “Tutto iniziò a Utoya”, L’Espresso n.30, 22 luglio 2018, pp. 66-69.
Breivik dichiarato sano di mente, Il Post, 10 aprile 2012.
Non chiamiamoli “lupi solitari”, Il Post, 3 aprile 2017
Attentati del 22 luglio 2011 in Norvegia, Wikipedia.
[1] Considerando quanto è accaduto negli ultimi anni, dalla Brexit all’elezione di Trump fino all’affermazione in vari Paesi europei di forze politiche con programmi e valori non così distanti da quelli di Breivik, viene da pensare che, se avesse avuto solo un po’ più di pazienza, avrebbe potuto evitare di togliere la vita a tutte quelle persone, adolescenti inclusi, e restarsene tranquillo a casa di sua madre, a scrivere, odiare e guardare compiaciuto il compiersi di alcuni, non pochissimi, sviluppi concreti del suo progetto politico. Sulla sezione del blog Politica e Conflitto sono diversi i post dedicati al tema del nazionalrazzismo: Sostituzione irrazionale, La pietà è moribonda?, Giorno maledetto, Autorizzazione della violenza, Prima gli esseri umani, (in)giustizia nazionalrazzista, Obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista, Antibuonismo nazionalrazzista, (il)legalità nazionalrazzista, La strumentalizzazione nazionalrazzista degli stupri, La doppia morale nazionalrazzista, Dove eravamo, Propaganda nazionalrazzista e Welfare, Il nazionalrazzismo come politica del conflitto (razziale), Nazionalrazzismo e socialrazzismo, Nazionalrazzismo.
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