Dal conflitto tra cittadini “non ascoltati” e leadership politica al “conflitto tra forze politiche” che compromette, di nuovo, l’ascolto
Nelle situazioni in cui una parte più o meno corposa della società sente di non essere stata ascoltata dai governanti finisce, vengono a crearsi i presupposti per un conflitto tra questi e i cittadini-non ascoltati, che può dare luogo al progressivo allargarsi di tale conflitto (che si potrebbe definire “politico-amministrativo”), com’è, forse, naturale che sia, anche su un altro piano: quello che, nella chiave di lettura, un po’ schematica e, quindi, giocoforza riduttiva di questo blog, è stato denominato “conflitto politico”, cioè quello che interessa il rapporto tra forze politiche diverse o che si svolge all’interno di una stessa forza politica.
Non vi sono di per sé risvolti negativi, in tale propagazione del conflitto dal piano dei rapporti tra cittadini e istituzioni politico-amministrative a quello della lotta politica tra partiti e/o movimenti, fintantoché questi ultimi – che si propongano su scala internazionale, nazionale, regionale o locale – si muovono entro i limiti e siano conformi ai principi di base della legalità democratica in senso formale e sostanziale. Si tratta di qualcosa di naturale e congenito, cioè, da sempre intrinseco alla natura stessa delle trasformazioni politiche, sociali, culturali ed economiche del consorzio umano. Peraltro, come per i tanti che li hanno preceduti (i partiti liberali, socialdemocratici, socialisti e comunisti e quelli cristiano-popolari, per dire), la finalità stessa dei movimenti, o partiti, di protesta e/o di proposta alternativa all’esistente, nati dal malcontento attuale, è proprio di colmare la distanza prodottasi, almeno a livello di vissuto, tra la popolazione e le istituzioni politiche.
Il risvolto negativo della traduzione conflittuale del rapporto con le altre forze politiche, si potrebbe, semmai, ravvisare nella possibilità, non tanto eccezionalmente verificatasi, di una radicalizzazione del conflitto politico, con fenomeni importanti di delegittimazione unilaterale o, più spesso, reciproca, che accompagnano e provocano un’escalation tale da compromettere gravemente o perfino annullare ogni forma di ascolto: tanto quello tra le forze politiche in conflitto tra loro, quanto l’ascolto dei cittadini, magari anche di coloro in nome e per assicurare la migliore tutela dei quali si è sviluppato questo o quello specifico movimento politico.
Infatti, quando siamo presi, sommersi, dentro il conflitto, tutti, quindi anche i rappresentanti politici, abbiamo bisogno di poter contare su una certa dose di consenso da parte dei terzi, cioè del pubblico. E ciò può condizionare significativamente il nostro modo di rapportarci proprio con i terzi: cercando di guadagnarne l’appoggio contro il nostro nemico, può accadere che invece di ascoltarli con attenzione, ci rapportiamo con essi con l’animo condizionato da rilevanti e pressanti aspettative circa il loro sostegno e la loro approvazione.
Il passo dall’ascolto per capire all’ascolto per lusingare può essere breve. E, a tal punto, consapevolmente o no, invece di ascoltare le esigenze delle persone, si trasformano queste in strumenti della nostra lotta, riducendo gli individui ad oggetti, cioè, appunto, strumentalizzandoli.
Ascoltare, in conclusione, giova ripeterlo, è una faccenda complessa e delicata, anche perché non è una condizione passiva, ma attiva, che, oltre al comprendere punti di vista, bisogni, paure, frustrazioni, rabbie altrui, implica l’esplicito riconoscimento dell’altro, che è cosa diversa sia dall’approvazione dei suoi pensieri, aspettative, timori, risentimenti e ostilità o dei suoi atti. Si tratta di un’attività, dunque, che si colloca sul territorio della comunicazione, forse la più difficile e complessa delle attività umane.
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