Boris Pasternak e il dottor Zivago
Boris Pasternak morì, a Peredelkino, il 30 maggio del 1960. La sua fu una vita particolare. Una vita in cui i confini sfumarono. Ad esempio, quelli tra la vita vera, vissuta, di Boris Pasternak, e perfino la sua morte, e quella del personaggio frutto della sua creazione letteraria, il dottor Zivago, infatti, vi sono sconcertanti punti di contatto, sovrapposizioni. Come se Pasternak avesse avuto delle premonizioni. Oppure, non si trattava che della facile previsione sullo sviluppo degli eventi, alla luce della conoscenza di come vanno le cose del mondo, soprattutto in quei luoghi in cui lo Stato ha un potere che non conosce limiti?
«L’arte è nell’erba e bisogna avere l’umiltà di chinarsi a raccoglierla»
(Boris Pasternak).
Boris Leonidovič Pasternak era nato a Mosca, il 10 febbraio 1890 in una famiglia ebraica laica assimilata, appartenente al mondo intellettuale e artistico. Suo padre Leonid era un artista e un professore della Scuola moscovita di pittura, che aveva illustrato i libri di Lev Tolstoj; sua madre, Rosa Kaufmann, era pianista, Anche Boris desiderava diventare pianista e compositore. Perciò, durante l’infanzia, si dedicò al piano e studiò la musica e la composizione. A 18 anni, terminato il liceo tedesco di Mosca, Boris Pasternak si iscrisse alla Facoltà di filosofia, ma poi, dopo aver visitato l’Italia e la Svizzera, mentre seguiva il semestre all’Università di Marburgo, decise che quel che faceva per lui era la poesia.
Già le sue prime poesie, uscite nell’almanacco Lirika, denunciavano l’influenza del simbolismo e del futurismo, come la sua prima raccolta di poesie, del 1914, Il gemello delle nuvole, e anche quella se Oltre le barriere (1917). Inoltre dal 1914 faceva parte del gruppo di poeti futuristi Centrifuga.
«Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita» (Boris Pasternak).
Poi Boris Pasternak si dedicò alla ricerca di una scarna semplicità del verso e di una misura classica. Si allontanò, quindi, dal futurismo, sia perché non apprezzava l’aggressività dei futuristi russi sia perché aveva sviluppato una maggiore propensione per atmosfere intime, domestiche. Però, con L’anno 1905 (1927) e Il luogotenente Schmidt (1927), Boris Pasternak si riferì alla rivoluzione del 1905, pur calandola in una lontananza fiabesca. Nel frattempo, come il protagonista del suo successivo e unico romanzo, Il dottor Zivago, anch’egli si sposò, nel 1922, ed ebbe un figlio per poi separarsi dalla moglie, dopo alcuni anni, nel 1931. Come Yuri Zivago anche Boris Pasternak si innamorò di un’altra donna. Che sposò nel 1934, per poi trasferirsi nel sobborgo moscovita di Peredelkino nel 1936. Le successive raccolte, invece, realizzate nel corso della Seconda Guerra Mondiale, come Sui treni mattinali (1943), o La vastità terrestre (1945), riflettevano il contesto storico e la lotta del popolo sovietico contro l’invasione nazista (in questa rubrica, Corsi e Ricorsi, abbiamo dedicato un post in particolare alla battaglia di Stalingrado Stalingrado: la ferocia, gli ordini, la morte, Hitler, Stalin… e «la dignità umana»).
Boris Pasternak e la rivoluzione bolscevica
In effetti, Boris Pasternak non era mai vissuto in un mondo a parte. Sul piano politico, egli aveva aderito alla rivoluzione d’ottobre, tentando di essere leale con il nuovo regime. Ciò però non lo aveva indotto a chiudere gli occhi e non guardare le atrocità che venivano commesse. Pur riconosciuto come un esponente di punta della nuova generazione dei poeti, egli iniziò a pensare ad un’altra Russia, che superasse quella sovietica. E, mentre sognava una Russia dell’anima, europea, anzi universale, prendeva posizione contro le terribili condizioni dei contadini collettivizzati e intercedeva presso Nikolaj Ivanovič Bucharin perché salvasse Osip Mandel’stam, «uno dei grandi poeti del XX secolo», “reo” di aver scritto un’ode contro Stalin. Entrambi, però, finirono vittime delle Grandi purghe staliniane. Nonostante la repressione, feroce e sistematica, di ogni accenno di dissenso e il terrore diffuso nei cittadini sovietici ad ogni livello di essere denunciati come antirivoluzionari, Boris Pasternak restava in contatto con gli esuli e internati.
L’U.R.S.S, contro il dottor Zivago
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1946, quando il regime stalinista scatenò un violentissimo attacco contro gli intellettuali “deviazionisti e borghesi”, Boris Pasternak iniziò a scrivere il suo primo e unico romanzo, Il dottor Živago. Ma nell’Unione Sovietica un testo per poter essere pubblicato doveva essere approvato dall’autorità. E il suo romanzo non solo non le entusiasmava ma provocava un netto rifiuto da parte dall’Unione degli Scrittori. Proprio come capitava al protagonista del romanzo, Yuri Zivago, le cui poesie suscitavano l’irritazione delle autorità. Per il regime era inammissibile la circolazione in Unione Sovietica e all’estero di un libro che, fortemente autobiografico, ardiva illustrare la realtà del bolscevismo, senza fare sconti sui lati più oscuri della gloriosa Rivoluzione d’ottobre. Come accadeva al protagonista del romanzo, così anche Boris Pasternak pagava il prezzo di cercare la verità e di dirla con la propria arte. Il dottor Živago, infatti, fu bandito dal governo che sottopose l’autore a persecuzioni sia sul piano intellettuale che su un altro, ben più tangibile. Furono le pressioni del regime e la sorveglianza dei servizi segreti che condussero Boris Pastrnak negli ultimi anni della sua vita alla povertà e all’isolamento. Fortunatamente lo pubblicò, in Italia, Feltrinelli nel 1957 e la critica occidentale lo accolse con entusiasmo. Tanto che nel ’58 gli venne assegnato il Nobel.
«La politica non mi dice nulla. Non mi piacciono gli uomini indifferenti alla verità» (Boris Pasternak).
Proprio l’assegnazione del premio provocò il coinvolgimento dei servizi segreti occidentali. Secondo il regolamento dell’Accademia Svedese, per ottenere il riconoscimento, l’opera doveva essere stata pubblicata nella lingua materna dell’autore. Così agenti della CIA e dell’intelligence britannica, riusciti ad entrare momentaneamente in possesso del manoscritto in lingua russa, dopo averlo fotografato pagina per pagina, lo fecero precipitosamente pubblicare con intestazione russa e con le tecniche tipografiche tipiche delle edizioni russe.
Dapprima Pasternak inviò un telegramma a Stoccolma esprimendo la sua gratitudine. Pochi giorni più tardi, a causa delle pressioni del KGB, comunicò all’Accademia la sua rinuncia al premio e l’intenzione di restare in Russia. Rifiutava così la fama, il denaro del premio e la possibilità di sfruttare commercialmente la distribuzione del libro in Occidente, pur di non vedersi negata la possibilità di rientrare nell’URSS. Come Yuri Zivago, anche Boris Pasternak non riusciva a separarsi dalla sua terra. E la minaccia del KGB di impedirgli per sempre di non farlo mai più rientrare, se fosse andato a Stoccolma, fu il colpo decisivo.
«L’uomo è nato per vivere, non per prepararsi a vivere» (Boris Pasternak).
Pur senza aver ritirato il premio, Pasternak non venne risparmiato dalla persecuzione. Morì due anni più tardi, a Peredelkino. Ormai era in condizioni non tanto dissimili da quelle dottor Zivago, al termine del romanzo: solo, emarginato e povero.
Il romanzo fu pubblicato ufficialmente in Russia solo nel 1988, e nel 1989 il figlio di Boris Pasternak, Evgenij, andò in Svezia per ritirare il premio.
Boris Pasternak negò sempre di aver pensato a Zivago come ad un ritratto di se stesso. Però, nel romanzo Pasternak inserì come “poesie di Zivago” alcuni suoi componimenti lirici.
Cinque anni dopo la sua morte, il regista David Lean e lo sceneggiatore Robert Bolt, realizzavano il kolossal Il dottor Zivago. Milioni di spettatori avrebbero fatto lunghe file per entrare nelle sale cinematografiche dove la pellicola era proiettata, per emozionarsi e commuoversi.
Alberto Quattrocolo
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!