Berlusconi pronuncia l’editto bulgaro

L’uso che Biagi… Come si chiama quell’altro? Santoro… Ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga.
(Silvio Berlusconi, 18 aprile 2002)

Queste le parole che presero il nome di editto bulgaro. Un’espressione singolare, che entrò nell’uso comune a indicare una serie di fatti che coinvolsero l’allora Presidente del Consiglio e tre conduttori televisivi. Ma partiamo dalla locuzione in sé.

Secondo la Treccani, con editto s’intende un’ “ordinanza emanata da un’autorità, particolarmente in Roma antica”. Dunque, un ordine di un’istituzione. Daniele Luttazzi, comico satirico destinatario di tale pronuncia, preferì definirla ukase bulgaro, rinviando ai decreti dell’impero russo: il paragone col dispotismo zarista era chiaro. Più tardi, Simone Collini de l’Unità diede il suo contributo alla formula, creando l’espressione diktat bulgaro. Con tale locuzione è chiaro il riferimento alle atmosfere belliche: diktat indica spesso, infatti, i trattati di pace imposti alle nazioni sconfitte. Vale a dire, più in generale, “ogni imposizione unilaterale di volontà che esclude la possibilità di negoziati”.

L’aggettivo bulgaro poi, formalmente dovuto al luogo in cui fu pronunciato l’editto stesso, nasconde un significato analogo al primo termine. Riguardo la collocazione geografica, è facile il riferimento alla situazione geopolitica risalente ai regimi di socialismo reale, laddove il totalitarismo politico della seconda metà del ‘900 imponeva una significativa restrizione delle libertà e dei diritti civili. Di più, proprio il termine bulgaro acquisì, nel medesimo periodo, una connotazione di senso figurato relativa, ancora una volta, al blocco sovietico e alla sua politica chiusa e dogmatica. Si parla, infatti, di percentuali, maggioranze ed elezioni bulgare.

Quanto ai fatti, si svolsero perlopiù in seguito alle parole di Berlusconi. Di lì a poco, infatti, Il fatto, Sciuscià e Satirycon, i relativi programmi, tutti in onda su Rai1 e Rai2, furono cancellati. I conduttori, allontanati dall’azienda. A nulla valsero i soddisfacenti risultati in termini di ascolti e share: il ritorno in Rai sarebbe stato lungo e doloroso. Intanto, a poche ore di distanza dal diktat, Biagi, in apertura della propria trasmissione, lo commentò così:

Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? […]. Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo […]. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto […]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti.

L’inconveniente tecnico e l’intervallo, per usare le parole del giornalista, durarono cinque anni: Biagi apparì nuovamente in Rai nell’aprile 2007, a pochi mesi dalla morte, avvenuta nel novembre seguente. Per Santoro, l’attesa fu leggermente più breve: Annozero andò in onda su Rai2 a fine 2006.

Infine, il comico. Ebbe sicuramente vita più difficile, considerando che, ad oggi, non è ancora tornato in Rai. Eccezion fatta, ovviamente, per quindici minuti di monologo in Rai per una notte, durante i quali recuperò ampiamente tutto il tempo perduto. Un buon esempio ne è il seguente passaggio, relativo al cosiddetto Trani-gate: 

L’uso che Minzolini… Come si chiama quell’altro? Masi… No, ma quell’altro… Berlusconi… hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso.

 

Alessio Gaggero

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