Tristezza (“per favore, vai via”)
Nella nostra società, il parlare di tristezza o il fare discorsi “tristi” è, molto spesso, additato e tacciato come sintomo di debolezza e, quasi istintivamente, la prima cosa che facciamo, quando vediamo qualcuno triste, è cercare di confortarlo, di fare in modo che possa allontanare da sé quell’emozione, come se il provare tristezza fosse sempre deprecabile, sbagliato e deleterio per sé e per gli altri. Invece, sono molteplici le funzioni di questa emozione (come quella della richiesta di aiuto, del porci in contatto con la nostra intimità, di aumentare il nostro senso di realtà o di aiutarci a recuperare la calma dopo momenti di forte stress). Ma come deve porsi il mediatore di fronte alla tristezza della persona che sta ascoltando? A seconda dei casi può rispecchiarla, nominandola, oppure ricorrere al cosiddetto reframing.