La tesi proposta da Maria Rosanna Camarda, in conclusione del Corso in Mediazione Familiare, è un’esplorazione partecipe e sentita della possibilità, attraverso l’attività di mediazione familiare (e, soprattutto, attraverso l’ascolto in quella declinato), di gestire il conflitto tra i coniugi in presenza di una condizione di malattia, in particolare di malattia cronica.
Nel conflitto ciascuno sente l’altro come nemico e come tale se lo rappresenta:
“la spersonalizzazione dell’altro, visto non più come persona ma come colui che ci sta complicando la vita e colui al quale si vuole infliggere lo stesso male. In un conflitto sia l’uno che l’altro si sentono buoni e vedono l’altro come il cattivo. Il conflitto si anima di aspetti emotivi, di irrazionalità, di non detti, di caos, di solitudine, di non comprensione, di lunghi anni di saturazione dell’impossibile, del non essere riconosciuti, di tutte quelle parti del profondo dell’anima sconosciute anche a noi stessi, delle fragilità umane che hanno messo una maschera per sopravvivere, della parte più selvaggia ed oscura della nostra anima, quella che ci fa più paura e che spesso vediamo nell’altro in un gioco di specchiamento.”.
Rosanna, però, non si limita a ragionare sul conflitto in generale, ma si proietta “in un contesto dove la sofferenza diventa quotidianità” e, in particolare, “nella coppia che sta affrontando la malattia”, soprattutto quella cronica. E la sua tesi, che non ha la pretesa di voler dare risposte definitive, si conclude con il tentativo “di creare un pensiero progettuale in cui l’ascolto dell’altro diventa occasione di guardare alla malattia come ad una possibilità per la coppia e la famiglia di riprendere in mano le fila della propria vita”. Infatti, quella dinamica conflittuale “inizia a vacillare quando il nemico si svuota della sua armatura e fa intravedere la persona, uguale nella sofferenza, una persona che sta male e che ha la necessità di risolvere la sua guerra”.