Non si trattò di una rappresaglia: l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, il secondo per numero di vittime nel corso della cruenta ritirata tedesca, fu pianificato al fine di terrorizzare la popolazione civile, coerentemente alla direttiva emanata nel giugno 1944 da Albert Kesselring, capo supremo dell’esercito germanico in Italia. All’alba del 12 agosto, tre reparti di SS, accompagnati da fascisti collaborazionisti in funzione di guide della zona, salirono a Sant’Anna, mentre un quarto reparto si attestò più a valle, per chiudere qualsiasi via di fuga. Alle sette il paese era completamente circondato; la popolazione, pensando a un’operazione di rastrellamento, si divise: gli uomini scapparono nei boschi per evitare la deportazione, mentre vecchi, donne e bambini cercarono rifugio nelle proprie case. I nazisti inizialmente radunarono circa centocinquanta persone nel piazzale antistante la chiesa e aprirono il fuoco, per poi dare alle fiamme il cumulo dei corpi, tra cui vi erano ancora dei vivi. Altre SS rastrellarono i presenti casa per casa e attuarono meticolosamente l’eccidio, con armi da fuoco e bombe a mano, appiccando incendi, mitragliando chiunque tentasse di fuggire verso il bosco. A mezzogiorno tutte le piccole case di Sant’Anna bruciavano. Non tutte le vittime poterono essere identificate, né fu possibile precisarne con sicurezza il numero: 560 quelle certe, tra cui 130 minori di quattordici anni, donne e anziani.