Quando l’Italia portò l’orrore in Etiopia
Era il 3 ottobre quando sull’Etiopia gli italiani iniziarono la loro opera di sterminio. Non fu una colonizzazione e neppure un’occupazione. Fu una carneficina. Una carneficina di marca tutta italiana
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Era il 3 ottobre quando sull’Etiopia gli italiani iniziarono la loro opera di sterminio. Non fu una colonizzazione e neppure un’occupazione. Fu una carneficina. Una carneficina di marca tutta italiana
I Polacchi, stanchi dell’occupazione tedesca e motivati dall’arrivo imminente dell’Armata rossa, si ribellarono ai loro oppressori.
Non si sa perché. Tutto il resto è noto. Tristemente noto. Come possono esserlo decine di morti e centinaia di feriti.
Dall’indipendenza a oggi, quanto è cambiato quel paese nell’entroterra dell’Africa del sud? Il padre della patria ne sarebbe orgoglioso?
Sei giorni di inaudita violenza si consumarono alle pendici del Monte Sole, sull’appennino bolognese. La Linea Gotica tagliò l’Italia in più di un senso.
La tattica della guerra lampo si rivelò vincente anche in Polonia: nell’arco di un mese, i Tedeschi chiusero la campagna.
Napoli si ribellò alla violenta occupazione tedesca, prima che gli Alleati arrivassero a dare il loro contributo.
Secondo Emmanuel Lévinas, si è sempre assistito al tentativo di ricondurre l’alterità dell’Altro, del Diverso ad una Totalità unitaria, che, nel tentativo di racchiudere il molteplice, ne avrebbe provocato una neutralizzazione.
Secondo un certo modello di mediazione, tale strumento è proposto e gestito non come spazio in cui stimolare le persone dialogare, se tale non è la loro intenzione, ma come occasione di confronto. Cioè come possibilità di esprimere, in un confronto, posizioni, punti di vista, idee, bisogni, esigenze, aspettative, emozioni e sentimenti differenti, spesso in contrasto. L’idea di fondo, si potrebbe dire, è che il dialogo, potrebbe avere più probabilità di affermarsi realmente e sinceramente, e non in termini retorici, allorché il mediatore, con la sua attività di ascolto, con la sua comunicazione, invece di negarla o neutralizzarla, riconosce l’Alterità.
Di sicuro c’è solo che ad ammazzarlo fu la mano di Cosa nostra, ma Massoneria e Servizi segreti giocarono un ruolo determinante.
Stesso giorno del mese, il 25 settembre, a nove anni di distanza, Cosa Nostra uccide, nel ’79 il giudice Terranova e il suo amico e unico uomo di scorta il maresciallo Lenin Mancuso, nell’88, il giudice Antonino Saetta e suo figlio Stefano. Perché? Perché davano fastidio. Forse perché queste persone sapevano che, come sostenne Terranova che «… non c’è una mafia buona o cattiva», che non c’è mai stata, «perché la mafia è una sola ed è associazione per delinquere. E, tuttavia, è cosa diversa dalla comune delinquenza: è, per dirla come Leonardo Sciascia, un’associazione segreta che si pone come intermediazione parassitaria fra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato, con fini di arricchimento per i propri associati». Lo sapevano fin troppo bene e, in nome dello Stato di diritto, avevano applicato la legge per fare giustizia.
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