Assassinio del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin: è il 4 novembre 1995
Sono stato un soldato per ventisette anni. Ho combattuto finché non si vedeva alcuna possibilità di pace. Ora credo che questa possibilità ci sia, una grande possibilità che dobbiamo cogliere. […] La violenza corrode i fondamenti della democrazia israeliana. Bisogna condannarla, bisogna deplorarla, bisogna isolarla. Non è questa la strada dello Stata d’Israele.
Tra le ultime parole del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin ci sono anche queste. Di lì a poco – è la sera del 4 novembre 1995 – sarà infatti ucciso dai colpi di pistola esplosi da un suo connazionale: Yagal Amir, ebreo estremista della destra israeliana, che riuscì a raggiungere il suo obiettivo, infilandosi tra la folla riunita in piazza dei Re d’Israele, a Tel Aviv (oggi piazza Rabin), durante una manifestazione in supporto agli accordi di Oslo.
Si parlava di pace, come testimoniano lo slogan Sì alla pace, no alla violenza e le parole dell’ex soldato. Rabin combatté infatti a lungo per il proprio paese e si congedò dall’esercito solo dopo ventisei anni di servizio, che gli valsero il grado di tenente generale, il più alto dell’esercito israeliano. Fu però la parabola politica a renderlo globalmente noto.
A partire dal 1968, per cinque anni vive negli Stati Uniti, o meglio, nell’ambasciata israeliana d’oltre oceano, dove consolida il legame tra le due nazioni. Successivamente fa ritorno in patria, dove viene immediatamente eletto parlamentare per il partito laburista. Dapprima ministro del lavoro, in seguito alle dimissioni di Golda Meir è proprio lui a prendere le redini dell’esecutivo, che terrà saldamente per tre anni, vantando il primato di primo premier ad essere nato in Israele. Durante questo mandato, ottiene buoni risultati nelle trattative con l’Egitto, che faranno da solida base per il trattato di pace del 1979, firmato dal primo ministro del governo successivo; così come nei confronti della Giordania, di cui incontrerà più volte il re. In questo caso, dovranno aspettare vent’anni per la stipula dell’accordo.
Dopo la caduta del ‘77, a causa di uno scandalo riguardante un conto corrente all’estero, torna al potere, nelle vesti di ministro della difesa, tra l’84 e il 90: sono anni difficili, di intifada, di sconfinamenti e massacri in terra libanese, come quelli nei campi di Sabra e Shatila. Rabin sarà nuovamente eletto a capo del Governo nel 1992, quando la sua prospettiva era la seguente:
La guerra del Golfo ha aperto uno spazio di opportunità per la pace in Medio Oriente. Ma questa possibilità non resterà aperta all’infinito. Il partito laburista farà il possibile per cogliere l’occasione, mentre il Likud quasi certamente la sprecherà.
Fedele alle proprie parole, a cavallo tra il ’92 e il ’93 hanno luogo i primi contatti tra negoziatori israeliani e dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), in terra norvegese: Oslo fu teatro di tali incontri, prima riservati e poi sulla bocca del mondo intero, ma a Washington (come si vede nella foto in cima all’articolo) furono apposte le firme epocali sulla Dichiarazione dei Principi. Rabin e Arafat che si stringono la mano davanti a Clinton, un’immagine che ha infuso speranza in milioni di cuori, e che varrà ai due capi il Nobel per la pace dell’anno seguente. Era il 13 settembre 1993.
La firma di questa Dichiarazione di principi non è facile né per me, come soldato, né per il popolo d’Israele e per il popolo ebraico, che ci stanno guardando in questo momento con grande speranza mista ad apprensione non è certo facile per le famiglie delle vittime della guerra, della violenza del terrorismo, il cui dolore non passerà mai. Per le migliaia che hanno difeso le nostre vite anche a costo di sacrificare la propria. Per costoro, questa cerimonia è giunta troppo tardi. Oggi, alla vigilia di una opportunità di pace e, forse, della fine della violenza e delle guerre, noi ricordiamo tutto costoro uno per uno con amore imperituro.
La carriera di Rabin non è certo andata esente da errori e prese di posizione poco condivisibili, ma sembra innegabile che, almeno in alcuni momenti, la pace sia stata al centro del suo operato. Essere stato assassinato da un estremista di destra rafforza tale tesi.
Alessio Gaggero
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