Il 31 ottobre 1922 si insediò il primo governo Mussolini
Questa Camera ha il governo che si merita. Essa non ha saputo darsi, in varie crisi, un governo, e il governo se lo è dato il Paese da sé.
(G. Giolitti)
Il 31 ottobre 1922 l’Italia liberale terminò la sua parabola storica, non tanto a causa dell’avanzare del fascismo quanto della propria inadeguatezza ai tempi, manifestata nell’incapacità di superare la crisi politica e istituzionale che interessava il paese. Quel giorno, su incarico del re Vittorio Emanuele III, Benito Mussolini presentò la lista dei ministri del suo governo, un esecutivo di unità nazionale che lasciava fuori socialisti, repubblicani e comunisti; la sera stessa avvenne il giuramento e la formalizzazione del nuovo governo, che avrebbe ottenuto un’ampia fiducia in Parlamento sedici giorni più tardi.
L’abilità demagogica e l’opportunismo di Mussolini, il massiccio appoggio finanziario del grande capitale industriale e degli agrari, la disorganizzazione degli avversari, la debolezza dei governi e la passività degli organi dello Stato di fronte alle violenze squadristiche, il filofascismo più o meno larvato di una larga parte della classe dirigente e dell’esercito avevano permesso al movimento, trasformato in Partito Nazionale Fascista nel novembre 1921, di intensificare progressivamente la sua azione volta alla presa diretta del potere, che culminò tra il 28 e il 31 ottobre 1922 nella “marcia su Roma” delle Camicie Nere.
La marcia era stata minuziosamente preparata nei mesi precedenti: informazioni volutamente distorte furono fatte circolare negli ambienti politici romani con finalità di depistaggio, indebolendo con attacchi sistematici il Presidente del Consiglio Luigi Facta, mentre si avviavano incontri e abboccamenti con esponenti politici e imprenditoriali. Il 2 agosto si organizzò una vera e propria “prova generale”, con l’occupazione di Ancona, allo scopo di saggiare la reazione dell’opinione pubblica, dell’esercito e della monarchia: il re e il governo tacquero, e i preparativi accelerarono. Il 24 ottobre, a Napoli, si tenne un grande raduno di Camicie Nere, con la famosa dichiarazione di Mussolini: “O ci daranno il Governo o ce lo prenderemo calando su Roma”.
Il piano prevedeva in primo luogo l’occupazione con la forza di quei territori che non fossero già controllati o simpatizzanti dei fascisti, costringendo alle dimissioni i sindaci e i consigli comunali, anche a costo di confliggere con le forze dell’ordine, e attaccando stazioni e uffici postali, per controllare le comunicazioni tra centro e periferia. Il Presidente del Consiglio, già dimissionario e in carica solo per l’ordinaria amministrazione, sottovalutò la minaccia fino a quando non fu troppo tardi. La notte del 27 ottobre venne informato che i fascisti, stimati in numero di 20-30.000, dopo un’ultima adunata generale a Perugia, erano in movimento verso la capitale, per lo più su treni requisiti.
Nella notte si riunì il Consiglio dei Ministri per stilare il proclama di stato d’assedio, mentre il re consultava i generali dello Stato Maggiore in merito alla fedeltà alla monarchia del Regio Esercito: poco tranquillizzante la risposta del generale Diaz, secondo cui “l’esercito farà certamente il suo dovere, ma sarebbe bene non metterlo alla prova”. Quando Facta gli chiese di ratificare il provvedimento già avallato dai ministri, il sovrano rifiutò: “Dopo lo stato d’assedio c’è solo la guerra civile”. Facta rassegnò definitivamente le dimissioni e i fascisti in marcia verso Roma alzarono la posta in gioco, talvolta cercando di occupare le caserme o di allargare i loro spazi d’azione.
Varie sono le interpretazioni in merito alla decisione del monarca: non volle assumersi la responsabilità di un bagno di sangue, temeva uno stravolgimento che gli costasse l’abdicazione, non era certo di una tenuta assoluta dell’esercito, diffidava delle forze antifasciste. In ogni caso, Vittorio Emanuele III ritenne che associare il fascismo al governo per vie legali fosse la soluzione migliore, con l’intento di far rientrare il partito fascista nell’alveo costituzional-parlamentare e di favorire la pacificazione sociale.
Il 29 ottobre a mezzogiorno Mussolini, che a Milano attendeva l’evolversi degli eventi, fu convocato a Roma per la designazione a presidente del consiglio, a patto che costituisse un governo moderato e di coalizione; giunse a Roma la mattina del 30 ottobre, accettò l’incarico e il giorno seguente presentò il nuovo governo.
Quella mattina stessa, le Camicie Nere bloccate nei pressi della capitale furono fatte passare: i cortei di festa sciamarono per le vie di Roma e per il saluto al sovrano fino al primo pomeriggio, quando, dopo cinque ore di sfilate e giubilo, ma anche di scontri letali (13 morti nel quartiere di San Lorenzo, altri 7 nelle devastazioni delle sedi di giornali e organizzazioni democratiche), i sostenitori di Mussolini si ritrovarono alla stazione Termini, dove erano stati predisposti quarantacinque treni speciali per ogni parte d’Italia. Era il rompete le righe. La Marcia fu elevata dai fascisti come mito fondante dell’avvento della nuova Italia e del fascismo alla guida di essa.
All’atto dell’insediamento, il governo Mussolini era composto da tre ministri fascisti, due popolari, due democratico-sociali, due liberali, due militari, un nazionalista e un indipendente (questi ultimi e un democratico-sociale in seguito aderirono al PNF). L’esecutivo nacque nell’apparente rispetto della normativa in vigore, e lo Statuto Albertino rimase formalmente la legge fondamentale dello Stato. Tuttavia, la sua formazione recò innegabilmente l’impronta e tutto il peso politico della marcia su Roma, un’azione eversiva che, legittimando la minaccia e l’uso della forza, rese immediata ed evidente la forza extralegale di quel governo.
Mussolini seppe muoversi subito in modo da consolidare il potere appena conquistato, aiutato in questo dagli alleati cattolici e liberali, i cosiddetti “fiancheggiatori”, che non vollero scorgere gli evidenti segnali di pericolo e, in nome dell’antisocialismo, tollerarono i toni ricattatori del più che esplicito discorso pronunciato alla Camera, durante il dibattito sulla fiducia al nuovo governo:
Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. (16 novembre).
Il 24 novembre Mussolini chiese e ottenne dal Parlamento i pieni poteri per un anno. I suoi primi decreti legge furono accolti come un ringraziamento da quanti lo avevano sostenuto nella sua scalata al potere: industriali e ricchi possidenti terrieri. Imprimendo alla politica un orientamento contrastante con quello liberale, il nuovo governo lasciò libero corso alle forze imprenditoriali dell’industria, della finanza e dell’agricoltura, annullando i provvedimenti fiscali precedenti; sciolse le amministrazioni comunali e provinciali che erano nelle mani di socialisti o di popolari; liquidò le cooperative, ossatura del socialismo, colpì le leghe nelle campagne, annullò le organizzazioni sindacali e dell’opposizione di sinistra permettendo così la diminuzione dei salari, adottò misure economiche per rivalutare la lira. Contadini e mezzadri si ritrovarono gravati di nuove imposte, mentre i ferrovieri, che con la loro lotta erano stati un esempio per tutte le altre categorie di lavoratori, subirono le peggiori ritorsioni contrattuali.
Nel gennaio 1923 fu istituito il Gran Consiglio del fascismo, inizialmente organo supremo del partito con funzioni di raccordo tra questo ed il governo, ma in seguito destinato a divenire un organo dello Stato con il quale si tentava di incidere sull’aspetto costituzionale, anche per condizionare il sovrano e ottenerne l’appoggio (il Gran Consiglio esprimeva un parere vincolante a proposito della successione reale).
Ci furono pressioni sugli alleati di governo perché definissero la propria posizione rispetto ai fascisti, il che portò il partito popolare a uscire dalla maggioranza nel marzo del 1923, e aumentarono le violenze ai danni di esponenti, organi di stampa, sezioni sindacali e di partito degli ambienti di opposizione. Alla compattazione del quadro politico mirò la riforma elettorale Acerbo, presentata dal governo e approvata dalla Camera nel novembre del 1923, con la quale una lista di maggioranza con almeno il 25% dei voti avrebbe conseguito i due terzi dei seggi parlamentari.
L’opposizione chiese lo scioglimento delle squadre fasciste, che furono allora inquadrate nella “Milizia volontaria per la sicurezza nazionale”, organo militare ufficiale con compiti di polizia territoriale e lo scopo dichiarato di proteggere gli sviluppi della rivoluzione fascista, unico corpo armato dello Stato che prestava giuramento non di fronte alla corona ma direttamente a Mussolini. Alle violenze illegali contro la classe operaia e i suoi rappresentanti ora si sommava la repressione istituzionalizzata di Milizia, organi di polizia e magistratura: furono chiusi o sequestrati numerosi giornali, i comunisti furono costretti alla semiclandestinità; il sindacato perse potere contrattuale e i salari, come era stato promesso agli industriali, subirono drastici ridimensionamenti.
La Chiesa assunse subito un atteggiamento favorevole al nuovo governo, che aveva sventato la “minaccia rossa”; Mussolini, da parte sua, la “corteggiò” realizzando una riforma scolastica che equiparava la scuola pubblica e quella privata, e attuando con denaro pubblico il salvataggio del Banco di Roma; in cambio la gerarchia ecclesiastica esercitò pressioni su don Sturzo, che lasciò la guida del Partito Popolare, rifugiandosi in seguito all’estero.
Indebolito così il suo più forte avversario, con lo scudo della nuova legge elettorale e la maggior parte dei liberali candidati per il PNF, nel 1924 Mussolini indisse e vinse le nuove elezioni, sebbene in sospetto di brogli; il delitto Matteotti, l’impennata della repressione e le c.d. “leggi fascistissime” del 1925-26 segnarono il passaggio alla fase esplicitamente dittatoriale del governo Mussolini, che si protrarrà fino alla destituzione del 25 luglio 1943.
Silvia Boverini
Fonti:
www.wikipedia.org;
“I primi passi del regime”, www.edurete.org;
“Benito Mussolini”, www.interno.gov.it;
www.anpi.it;
www.tuttostoria.net;
www.dirdidatticamelia.it;
“La Marcia su Roma novant’anni dopo, ignorata dai media”, www.dailystorm.it;
G. Albanese, “I giorni della minaccia e della violenza”, www.patriaindipendente.it;
M. Innocenti, “28 ottobre 1922: quella «marcia su Roma»”, www.ilsole24ore.com;
L. Cerimele, “La Marcia su Roma, i dettagli che non tutti conoscono”, www.europinione.it
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