Omicidio di Mauro Rostagno 26/09/1988
… agli uomini capita di mettere radici, e poi il tronco, i rami, le foglie… quando tira vento, i rami si possono spaccare, le foglie vengono strappate via: allora decidi di non rischiare, di non sfidare il vento. Ti poti, diventi un alberello tranquillo, pochi rami, poche foglie, appena l’indispensabile. Oppure te ne fotti. Cresci e ti allarghi. Vivi. Rischi. Sfidi la mafia, che è una forma di contenimento, di mortificazione. La mafia ti umilia: calati junco che passa la piena, dicono da queste parti. Ecco, la mafia è negazione d’una parola un po’ borghese: la dignità dell’uomo.
La sera del 26 settembre 1988, in un viottolo buio nei pressi di Valderice, muore crivellato dai proiettili Mauro Rostagno, all’epoca giornalista televisivo per l’emittente locale RTC.
Di sicuro c’è solo che ad ammazzarlo fu la mano di Cosa nostra: pochi mesi fa, nel febbraio 2018, la Corte d’Assise d’Appello ha confermato la condanna all’ergastolo, in qualità di mandante, del boss trapanese Vincenzo Virga, pur mandando assolto il presunto esecutore materiale Vito Mazzara. Più complessa l’analisi dei moventi, all’interno di un contesto difficilissimo da ricostruire tra depistaggi, interessi incrociati, relazioni pericolose e prove scomparse. Ventisette anni dopo il suo omicidio, nel 2015, ai giudici del processo di primo grado erano occorse più di tremila pagine per spiegare chi e perché aveva ucciso Rostagno, sociologo e giornalista, seguace di Osho e leader di Lotta Continua, fondatore della comunità terapeutica Saman e testimone della svolta nera della mafia trapanese, tra logge massoniche e attività coperte dei servizi d’intelligence.
Scomparvero prove. Testimoni chiave furono ascoltati con ritardo. Le intercettazioni vennero attivate solo otto mesi dopo l’agguato. Nell’arringa che conclude il processo di primo grado, il pubblico ministero Gaetano Paci afferma: “In quest’aula abbiamo dovuto inevitabilmente processare certi atteggiamenti delle forze dell’ordine, ma anche di questo palazzo di giustizia, e in generale della città di Trapani. Perché troppe sono state le insufficienze investigative, le omissioni, le sottovalutazioni. Ma anche orientamenti di pensiero di taluni rappresentanti istituzionali dell’epoca naturalmente adesivi verso la presenza mafiosa”.
Alla ricerca di piste investigative, dopo l’omicidio le indagini scandagliano la vita di Rostagno, personaggio complesso, carismatico, poco inquadrabile.
A Trapani era giunto dopo un percorso travagliato. Nato nel 1942, alla fine degli anni Sessanta è leader con Renato Curcio del movimento studentesco a Trento, dove da Torino si era trasferito per frequentare la nuova facoltà di sociologia; partecipa alla fondazione di Lotta Continua, e dopo il suo scioglimento anima il centro culturale milanese Macondo, punto di ritrovo di molti delusi dalla politica. Poi la scoperta delle filosofie orientali, il viaggio in India con la compagna, la figlia e l’amico Francesco Cardella, e infine, sempre con loro, l’ultimo approdo nel 1986 a Lenzi, in provincia di Trapani, per dar vita a una comunità di arancioni, Saman, che trasforma in una struttura terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti.
In Sicilia, assecondando un’antica passione, Rostagno si reinventa giornalista e in una rubrica quotidiana trasmessa dalla piccola televisione locale RTC (Rete Tele Cinema) inizia a denunciare la presenza di Cosa Nostra sul territorio, le sue infiltrazioni nella politica locale, nelle gare d’appalto.
Vestito di bianco, impugna la telecamera e va in giro per la città: intervista le persone al mercato del pesce, ogni giorno fa il “munnezza trekking”, incontra Sciascia, Falcone, Borsellino. Dà voce a chi non l’ha mai avuta, chiama le cose con il loro nome. Segue tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss Nitto Santapaola e Mariano Agate, luogotenente della malavita trapanese degli anni Ottanta; parla degli incontri occulti tra quest’ultimo e Licio Gelli, dell’ufficio “parallelo e occulto” che gestirebbe il bilancio del comune di Trapani, dell’omicidio del giudice Ciaccio Montalto, della strage di Pizzolungo, del traffico di armi e rifiuti tossici con la Somalia “cogestito da Cosa Nostra e da settori deviati dei servizi segreti”. Invita gli onesti alla ribellione contro il luogo comune, sbandierato anche da rappresentanti dello stato, secondo cui “la mafia qui ha portato soldi, benessere, lavoro e tranquillità”. Il primo avvertimento non tarda ad arrivare: “Diteci a chiddu c’a varva e vistutu di bianco c’a finissi di riri minchiati”, sbotta Mariano Agate al termine di un’udienza.
Nelle immediatezze dell’omicidio, agli inquirenti la pista mafiosa appare la prima da vagliare, eppure questa si arena in un vicolo cieco, per l’impossibilità di produrre prove a sostegno. L’inchiesta passa nelle mani di diversi magistrati che indagano su piste alternative, seguendo storie private, contrasti interni alla comunità Saman, e faide tra ex militanti di Lotta Continua innescate dalla riapertura delle indagini per l’omicidio del commissario Calabresi. Linee investigative che per anni sviano le ricerche e portano a un nulla di fatto, disperdendo risorse, seminando sospetti e pettegolezzi su Rostagno e le persone a lui vicine.
Più fondato, e non incompatibile con la pista mafiosa, appare invece il filone d’inchiesta che ruota attorno a un probabile traffico d’armi, scoperto da Rostagno a ridosso della pista di un aeroporto militare in disuso alle porte di Trapani, e verosimilmente da lui documentato in una videocassetta, scomparsa dagli studi di RTC subito dopo la sua morte.
Intanto, una catena di pentiti eccellenti inizia a confermare la matrice mafiosa dell’assassinio del giornalista, imputando la decisione ai capi Francesco Messina Denaro (padre del tuttora latitante Matteo) e Francesco Messina, e la Direzione Distrettuale Antimafia nel 1997 prende in mano le indagini. Nel 2008, una petizione al Presidente della Repubblica Napolitano raccoglie diecimila firme per evitare l’archiviazione e, grazie a ulteriori nuove prove, nel 2011 si apre il processo.
Mettendo insieme le evidenze faticosamente emerse nel corso del tormentato iter processuale con fatti accertati negli anni da altre inchieste, tra cui la presenza a Trapani di diverse logge massoniche e di un centro d’addestramento della struttura paramilitare Gladio, nel 2015 il presidente della Corte d’Assise Pellino scrive, nella motivazione della sentenza di primo grado:
Un’organizzazione criminale che detiene un controllo capillare del territorio può essere fonte della merce più preziosa per un apparato di intelligence, le informazioni; ma può servire anche per operazioni coperte, ovvero per offrire copertura a traffici indicibili da tenere al riparo da sguardi indiscreti. Traffici che coinvolgono pezzi di apparati militari e di sicurezza dello Stato, all’insaputa dei vertici militari e istituzionali o dei responsabili politici.
I giudici sottolineano come i “sordidi legami” tra pezzi della massoneria e agenti dei servizi “per quanto non direttamente afferenti al movente del delitto, abbiano avuto l’effetto di incoraggiare i vertici dell’organizzazione mafiosa ad agire, nella ragionevole convinzione di poter contare, una volta commesso il delitto, su una rete di protezioni e connivenze pronta a scattare in caso di necessità: come alcune sconcertanti emergenze di questo processo fanno paventare sia accaduto”. Come chiosa il giornalista Pipitone,
La mano che ha sparato a Rostagno è targata Cosa nostra, ma per proteggerla si sono mossi poteri differenti da quelli mafiosi. È per questo motivo che oggi rimangono ancora parecchi i buchi neri irrisolti.
Silvia Boverini
Fonti:
www.raistoria.rai.it;
www.wikimafia.it;
www.wikipedia.org;
“Omicidio Mauro Rostagno, confermato ergastolo al boss Virga ma assolto presunto killer”, 19/02/2018, www.ilfattoquotidiano.it;
A. Sofri, “Vi ricordate di Mauro Rostagno? Ve lo ricordate vivo? Vi ricordate che morì ammazzato?”, www.ilfoglio.it;
www.narcomafie.it;
R. Giacalone, “Ventotto anni fa l’omicidio di Mauro Rostagno. Un delitto che non è storia, ma attualità”, www.articolo21.org;
“Mio padre Rostagno”, www.famigliacristiana.it;
S. Palazzolo, “Depistaggi eccellenti per coprire i boss che uccisero Rostagno”, www.ricerca.repubblica.it;
G. Pipitone, “Mauro Rostagno, le motivazioni: Logge e 007, ma ad ammazzarlo fu Cosa Nostra”, www.ilfattoquotidiano.it
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