Bologna, sabato 2 agosto 1980, 10:25.
Della strage di Bologna si può senz’altro dire che è qualcosa di enorme. Lo è stata quell’esplosione, lo è il numero di vittime e di feriti, lo è la narrazione della sua storia e, soprattutto, lo è la sua complessità.
Il 2 agosto 1980, alle 10.25, esplose una bomba nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. L’esplosione investì il treno che era in sosta al binario uno, interessò il tunnel sotto i binari e fece crollare l’ala sud-ovest della stazione. Le persone che persero la vita furono 85, più di 200 furono i feriti. Si trattò del più alto numero di vittime in un attentato nella storia del Paese.
L’attentato di Bologna del 1980 si distingue da tutti gli altri, al di là dei numeri, per l’impatto emotivo che ha avuto, e ha tuttora, sul nostro paese. Un impatto testimoniato da quell’orologio, fatto volontariamente fermare dai cittadini, a imperitura memoria di una ferita che ancora non si è rimarginata. E per ora non può farlo.
In quell’estate del 1980 molti italiani consideravano chiusa la stagione stragista, quella delle bombe in Italia, realizzata da organizzazioni terroristiche neofasciste, su mandato di personaggi ed entità mai definitivamente o completamente individuate. Una stagione inaugurata nel 1969 con la strage di Piazza Fontana (questa e altre analoghe stragi sono state ricordate su questa rubrica, Corsi e Ricorsi). Gli obbiettivi delle organizzazioni terroristiche rosse erano sempre stati singoli individui e sembrava che anche per quelle nere fosse ormai così: ad essere assassinati erano magistrati, intellettuali, giornalisti e politici.
La bomba del 2 agosto smentì amaramente questa convinzione.
Le indagini portarono all’eversione fascista, in particolare a investigare nei confronti dei N.A.R., Nuclei Armati Rivoluzionari (li abbiamo ricordati nei post Quel “no” di Maurizio Arnesano, Bruno Caccia, l’unico magistrato assassinato al Nord dalle mafie e I Nuclei Armati Rivoluzionari assassinano Francesco Straullu 21 ottobre 1981), e dei suoi leader Valerio Fioravanti, detto Giusva, e Francesca Mambro, sua compagna. Il movente sembrò essere legato alla precedente strage del treno Italicus, avvenuta nella notte tra il 3 e 4 agosto 1974 (si veda questo post): il giudice istruttore di quest’ultima aveva depositato il rinvio a giudizio per i responsabili proprio l’1 agosto 1980. Il processo contro Giusva Fioravanti, Francesca Mambro ed altri individui legati all’ambiente neofascista iniziò a Bologna nel 1987. L’accusa era di costituzione di banda armata e strage, di associazione sovversiva e di calunnia aggravata. Tra gli indagati c’era anche Stefano delle Chiaie, nonché esponenti dei servizi segreti come Giuseppe Belmonte, Pietro Musumeli e Francesco Pazienza, oltre a Licio Gelli, gran maestro delle loggia massonica P2 (della quale abbiamo parlato nei post Il 23 settembre 1981 è istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, Cirillo, la Camorra, le BR …, Il giudice Minervini, un uomo abbastanza serio da non prendersi troppo sul serio). Come per le altre stragi anche per quella di Bologna furono poste in atto fortissime attività di depistaggio. L’obiettivo era a impedire l’individuazione degli autori materiali e dei mandanti, nonché insabbiare i moventi. Ad esempio, furono fatte delle false rivendicazioni telefoniche, alle redazioni dei principali quotidiani, da parte dei N.A.R. e delle Brigate Rosse. Erano fasulle e furono smentite dagli stessi gruppi terroristici. Successivamente, si scoprì che quelle chiamate erano partite da un’ufficio fiorentino del servizio segreto militare, il Sismi. Un altro tentativo di depistaggio tentò di indirizzare i magistrati verso presunti terroristi stranieri e neofascisti italiani latitanti all’estero. Non era che una macchinazione realizzata da una frangia deviata dei servizi segreti.
Dopo varie sentenze e colpi di scena, nel 1995, si giunse alla condanna all’ergastolo di Fioravanti e Mambro come esecutori materiali, che, però, si sono sempre dichiarati innocenti rispetto alla strage, riconoscendosi responsabili di molti altri omicidi. Nel 2007 la Corte di cassazione riconobbe la responsabilità anche di Luigi Ciavardini, anch’egli esecutore materiale. Furono condannati, con sentenza definitiva, per depistaggio delle indagini Licio Gelli, Francesco Pazienza e gli ufficiali del Sismi Pietro Musomeli e Giuseppe Belmonte. Restano, però, ancora molte ombre. Si sono succedute tante teorie e ulteriori testimonianze, con livelli diversi di attendibilità. Resta, quindi, una dose importante di mistero su questa strage che è quasi impossibile non inserire nel quadro della strategia della tensione.
L’Espresso, a fine luglio del 2018, pubblicò documenti inediti che parlavano del coinvolgimento dei Servizi segreti nella vicenda. In effetti, il 22 aprile 2014, il Governo Renzi aveva firmato la direttiva per la de-classificazione degli atti relativi a diversi “misteri d’Italia”, tra i quali, la strage di Bologna. Inoltre, la Procura generale del capoluogo emiliano aveva avviato una rogatoria in Svizzera a inizio 2018.
39 anni sono tanti per sapere la verità, anche in Italia. Viene da chiedersi quanto ancora dovremo aspettare per sapere come sono andate realmente le cose, in quei giorni. Quanto ancora dovrà attendere l’orologio della stazione, per poter ripartire? Quando sapremo quanto quella strage e coloro che la vollero hanno sotterraneamente inciso sulla vita politica e non solo di tutti noi.
Renato Zangheri, sindaco di Bologna, cinque giorni dopo la strage, tenne un discorso in piazza Maggiore. Tra le altre cose disse:
“Corpi straziati chiedono giustizia, senza la quale sarebbe difficile salvare la Repubblica; chiedono pronta identificazione e condanna dei colpevoli di tutti i delitti che hanno macchiato l’Italia in questi anni; chiedono la sconfitta della sovversione, e le condizioni di una vita e di una democratica ordinata.
Incertezze e colpevoli deviazioni hanno subito le indagini da Piazza Fontana ad oggi.
Troppe interferenze e coperture sono state consentite.
Ora la sincerità del dolore e della condanna si misurano sui fatti ed esclusivamente su di essi, sulla volontà e sulla capacità politica e giudiziaria di far luce sulle trame eversive e sui delitti che si susseguono in un crescendo inaudito.
Non spetta a noi indicare le linee della politica nazionale, ma è certo che è necessaria una prospettiva politica di fermezza e di chiarezza, che raccolga il consenso del popolo.
E’ certo che coloro i quali hanno ricevuto le responsabilità di governo e parlamentari dal popolo, tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche, dal popolo verranno giudicati per quello che faranno, con una vigilanza e sensibilità moltiplicate dall’angoscia di questi giorni e dalla gravità estrema del crimine che è stato commesso.
Ognuno dovrà compiere il proprio dovere, come l’hanno compiuto le donne e gli uomini accorsi alla stazione di Bologna nelle ore della strage, per soccorrere e salvare: semplici cittadini, personale sanitario, magistrati, dipendenti degli enti locali, ferrovieri, vigili del fuoco, militari, forze dell’ordine, e la moltitudine che è su questa piazza a raccogliere la sfida del terrorismo.
Grazie di essere venuti. Assieme non potremo essere sconfitti.
Il saluto alle vittime è in questo momento, signor Presidente della Repubblica, una promessa morale e politica di fedeltà alle ragioni del progresso umano ed è fiducia in una giustizia che non può fallire perché poggia sull’animo di grandi masse di donne e di uomini.
Così noi affermiamo oggi la nostra difficile speranza e chiediamo a tutti di combattere perché la vita prevalga sulla morte, il progresso sulla reazione, la libertà sulla tirannia”.
Alberto Quattrocolo e Alessio Gaggero
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