La pietà è moribonda?
La pietà è moribonda ? È un interrogativo che potrebbe sorgere leggendo alcuni fatti di cronaca.
Sembrano non avere avuto molta pietà il 17enne e il 15enne che, a Nardò (provincia di Lecce), all’inizio di dicembre, sono stati accusati di rapina, sequestro di persona, violenza sessuale, pornografia minorile e tentata estorsione, ai danni di un quindicenne.
Infatti, i due ragazzi hanno rinchiuso in un bagno pubblico il loro coetaneo, lo hanno picchiato, costretto a masturbarsi, riprendendolo in un video, postato su WhatsApp ad altri ragazzi, e lo hanno minacciato di non restituirgli scarpe e giubbotto, se non avesse loro corrisposto il giorno seguente la somma di 10 euro.
Pietà l’è morta era un canto della Resistenza, composto da Nuto Revelli nella primavera del ’44. Terminava così:
Tedeschi e fascisti
per sempre fuori d’Italia
gridiamo a tutta forza
pietà l’è morta!
Era un canto di guerra, di guerra partigiana, di guerra di Liberazione. E non concedeva pietà al nemico, la Germania nazista e la Repubblica Sociale Italiana.
La pietà è moribonda quando si considera l’altro meno di niente
Erano in guerra anche i quattro minorenni con il liceale, 17enne, che hanno accoltellato nel rione Sanità (tre coltellate: una al fianco, una alla schiena, che gli ha perforato un polmone, e una, per «finirlo», alla gola, che gli ha quasi trafitto la giugulare, ma ha inciso per fortuna solo due millimetri)? Erano così in conflitto con lui da colpirlo «senza alcuna pietà», per citare le parole del Questore di Napoli?
Probabilmente, no. Non prima di somministrargli quel trattamento, in ogni caso. Forse, hanno semplicemente messo in atto uno di quei meccanismi di de-umanizzazione dell’altro che consentono a noi esseri umani di compiere inganni, ricatti, soprusi, abusi, crudeltà ed efferatezze varie ai danni di altri. “Altri”, che, per gli autori delle violenze, si meritano quanto gli fanno.
Ad esempio, forse i due giovani aggressori di Nardò ritenevano il ragazzino meritevole di una tale violenza, perché più ricco e benestante di loro, oppure perché meno ricco e meno benestante. Quale che sia la ragione, non lo vedevano come un soggetto simile a loro. Non lo pensavano come una persona, non lo sentivano come un essere umano.
Forse, la pietà è moribonda – o almeno lo era – anche nell’animo dei membri della gang di bulli (tutti di buona famiglia), che, a Cologno Monzese, umiliavano, pestavano, derubavano e ricattavano altri minori, incluso un ragazzino disabile. Lo facevano per noia, hanno detto, «per ammazzare il tempo».
Analogamente, si può ipotizzare che avessero “spento” dentro di sé ogni forma di empatia i tre tredicenni, di Bagno a Ripoli (Firenze), che, negli spogliatoi della società sportiva dove si allenano, hanno costretto un ragazzino, tredicenne, disabile, a mangiare un pezzo di schiacciata, dopo averla gettata nell’acqua delle docce. Un suo amico ha tentato di difenderlo, di fermarli, ma quelli lo hanno costretto a sedere e guardare. Il giorno dopo sarà questo amico a parlarne con l’insegnante di sostegno.
A volte la pietà è moribonda anche verso i poveri
Ma non capita solo a qualche minorenne di mettere in stand by la pietà, cioè, il sentimento di partecipazione, anche dolorosa e premurosa, all’infelicità altrui. Succede anche agli adulti.
Per restare nell’ambito delle violenze ai danni di minori, si può pensare alle violenze sessuali, commesse da un anziano agricoltore di Oristano, ai danni di un sedicenne, in cambio di un lavoro in campagna, pagato 30 Euro al giorno. Oppure si può pensare alla tredicenne, costretta a prostituirsi, a Gibellina, da un allevatore sessantunenne.
Oppure si può pensare a quanto successo a Como. Qui, in ottemperanza dell’ordinanza del sindaco, Mario Landriscina, contro i mendicanti del centro storico, la polizia municipale ha impedito ai volontari di dare da mangiare ai senza tetto, italiani e stranieri, che dormono all’aperto, sotto l’ex chiesa di san Francesco.
Così, applicando l’ordinanza intesa a ripristinare «la tutela della vivibilità e il decoro del centro urbano», a tali volontari, che, da oltre sette anni, distribuiscono la colazione alle persone costrette a dormire in strada, è stato detto di non portare più il cibo fino al 10 gennaio.
Come spiega l’Avvenire, «A continuare a mandare via i poveri non si elimina la povertà, la si amplifica, la si fa diventare un nemico da combattere – hanno scritto i volontari del “Gruppo Colazioni”–. Vorremmo che il Natale fosse occasione per la ricerca di un’umanità più dignitosa».
In tal caso, si potrebbe supporre che le persone costrette a dormire per strade siano state considerate dall’amministrazione comunale alla stregua di spazzatura. Delle non-persone.
Dunque, se non proprio morta, a volte, la pietà è moribonda, anche verso costoro, i poveri.
Poveri, che sono sottoposti ad abusi sessuali in cambio di un lavoro, o che non hanno diritto di esistere, perché la loro vista può turbare l’estetica di una città addobbata a festa.
Non è un paese per poveri, verrebbe da osservare.
Quando la pietà è moribonda (o morta) per ragioni di business
Non sembrano avere suscitato empatia gli anziani, nel cuore di un barelliere legato alla mafia, che pare averli uccisi con aria iniettata in vena, a Catania, allo scopo di vendere ai familiari i servizi di onoranze funebri a pagamento.
La prospettiva del profitto è stata più forte anche della pietà per i defunti, nel caso dei furti sui cadaveri e delle truffe di cui sono accusati alcuni necrofori dei cimiteri di Torino.
Uno degli slogan più ricorrenti sulla scena politica, in riferimento al fenomeno migratorio, è “aiutiamoli a casa loro”.
È un argomento proposto non raramente per supportare prese di posizione avverse all’accoglienza di migranti, inclusi i richiedenti asilo e coloro ai quali l’asilo (o altra forma di protezione) è stata concesso.
Un articolo di Pietro Frattini (Aiutiamoli a casa loro, la diga di Gibe), su ilmemoriale.it, ci ricorda un servizio della Cnn sui risvolti spietati di un’operazione di aiuto a casa loro.
Undici anni fa, due mesi prima che la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni fosse adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la EEPC (Ethiopian Electric Power Corporation) appaltò direttamente, senza bando di gara, alla Società italiana Salini Costruttori la costruzione di una diga, con fondi garantiti dal governo Cinese, mentre le infrastrutture elettriche sono garantite dalla Banca Mondiale.
Ma la legge etiope prevedeva che il governo prima di dare l’approvazione ad un progetto dovesse valutare l’impatto ambientale e sociale. E questo impatto c’era e c’è!
Mezzo milione di abitanti erano contrari a subire quel che diventerà un vero e proprio trasferimento forzato in campi di reinsediamento. Il rastrellamento, come documenta la Cnn, portò alla distruzione di un intero villaggio e dei suoi abitanti: di 154 ne sopravvissero solo 7.
Ma fu tutta l’operazione ad essere svolta con violenza agghiacciante: bambini e bestiame scaraventati nel fiume, gli adulti legati agli alberi per essere fucilati, cadaveri dati in pasto alle iene.
La diga venne inaugurata nel dicembre 2016.
Quelli la cui la pietà è moribonda verso gli immigrati, perché bisognerebbe aiutarli – anzi, fregarli – a casa loro
In un altro post (Dove eravamo) su questo blog, si era scritto che, ancor prima di «aiutarli a casa loro», sarebbe gentile, oltre che utile, necessario e improcrastinabile, «smetterla di fregarli a casa loro».
Parrebbe confortare la fondatezza di quella banale osservazione il recente rinvio a giudizio del numero uno dell’Eni. L’accusa è di avere pagato tangenti a uomini del governo nigeriano, in cambio dello sfruttamento di uno dei più grandi giacimenti di petrolio al mondo da parte di Eni e Shell.
Tanto per non scordarsene, la Nigeria è quel luogo in cui l’organizzazione fondamentalista Boko Haram fa stragi continue e in cui c’è un devastante conflitto con le forze governative. La Nigeria è quel paese in cui ci sono oltre due milioni di persone in fuga e che dal ’97 al 2015 ha avuto oltre 50.000 vittime della violenza armata.
In un altro post ancora (Illegalità nazionalrazzista), era stato ricordato che con Isaias Afewerki, il feroce dittatore dell’Eritrea, l’ex colonia italiana, in cui giunsero a suo tempo oltre centomila immigrati nostri connazionali, collaborava, tra gli altri, Pier Gianni Prosperini.
Costui, ex assessore di AN della giunta Formigoni, come ricordava Gian Antonio Stella sul Corriere, non soltanto definiva il dittatore Afewerki «un uomo capace e sagace», un leader dalla «mano ferma e paterna», ma qualificava anche come traditori coloro che fuggivano dalla violenza della regime dittatoriale, sostenendo che erano balle le notizie sulle torture e sulle violenze messe in atto sistematicamente da quella dittatura.
La pietà è moribonda (o morta) quando si considera l’altro come un animale
Prosperini, che è stato condannato per aver rifornito di armi e munizioni proprio il regime di Isaias Afewerki, eludendo i controlli internazionali e violando gli embarghi, in cambio di un’entrata illecita semestrale, in ogni occasione ripeteva:
«Camèl, barchèta e te turnet a ca’. Capì? Possono restare da noi solo quelli che condividono i nostri valori e rispettano le nostre leggi. Non ti va bene? Camèl, barchèta e te turnet a ca’».
Nel 2009 Prosperini era stato arrestato per avere incassato una tangente da 230.000 euro su un appalto da 7,5 milioni di euro (richiese un patteggiamento).
Vittorio Mussolini, nel suo Voli sulle Ambe (Firenze, 1937), così commentava l’attività svolta da lui e dal fratello Bruno nella 14esima squadriglia, durante l’invasione italiana dell’Etiopia:
«È un lavoro divertentissimo, tragico ma bello».
Il lavoro di cui scriveva consisteva nello sganciare bombe incendiarie e gas tossici. L’uso di questi mezzi vietati dalla convenzione di Ginevra era stato autorizzato esplicitamente dal loro papà, Benito Mussolini, capo del Governo.
Vittorio Mussolini, in quel libro, aggiungeva che l’abissino «è un animale».
Ecco, basta vedere l’altro come un animale, che anche un’azione mostruosa, come quella di far piovere gas tossici e bombe incendiarie, non soltanto sulle armate del Negus, messe in rotta e prive di aerei e di contraerea, ma anche sulla popolazione civili (bambini inclusi) di villaggi e città, diventa «un lavoro divertentissimo, tragico ma bello».
La pietà è moribonda quando si prova rabbia
Il sentimento della pietà, cioè della partecipazione al dolore altrui, si spegne quando si è arrabbiati o indignati.
Rispetto al ragazzino vittima di atti di grave bullismo a Nardò, è interessante leggere alcuni commenti a tale notizia.
Un’insegnante scrive: È uno schifo…bisogna dare un segnale forte. (…). Pena di morte
Una mamma a tempo pieno lascia questo commento: (…) Brutti bastardi… sono d’accordo per una pena adeguata di pari violenza… In piazza nudi… ripresi e mandati su internet mentre si masturbano e vengono picchiati e derisi dalla folla!! Voglio vedere se vengono ripagati con la stessa moneta se avranno voglia di rifare un simile gesto!! Vergogna!!!
Un’altra commentatrice scrive: Non devo lavorare x sostenere questi vandali in carcere (…). Pena di morte… scusatemi, è ora di grandi punizioni.
Oggi pietà l’è morta ma un bel giorno rinascerà
Fa riflettere il fatto che la mamma del tredicenne di Bagno a Ripoli, verso i tre coetanei che hanno maltrattato suo figlio, non abbia invocato alcuna sanzione violenta. Ha postato la faccia del ragazzino che per la prima volta con l’aiuto del papà si taglia i baffi e ha scritto:
«La risposta ai tre compagni di squadra s…..i che negli spogliatoi del calcio ti hanno fatto uno scherzo orribile, anzi un vero e proprio atto di bullismo, è la tua faccia amore mio! Alta, fiera e timida come sei tu, che chiami amici anche quei tre che amici non sono!».
Forse, allora, la pietà non è morta ovunque, e forse neanche è moribonda. O, come cantava Francesco De Gregori (San Lorenzo),
Oggi pietà l’è morta, ma un bel giorno rinascerà.
Sì, ma quando? Quando rinascerà?
Se la nostra pietà è moribonda, potrebbe riprendersi con una cura di razionalità
Forse, se la nostra pietà è moribonda, potrebbe riprendersi un po’, con una cura a base di razionalità.
Forse si riaccenderà quando, usando i nostri occhi e il nostro cervello, ci accorgeremo che non vi è alcuna invasione [1]. E che non vi è alcuna islamizzazione dell’Italia o dell’Europa [2]. Quando punteremo lo sguardo su qualcos’altro, che non è una panzana propagandistica, di becero livello razzista, tesa a distrarre la nostra attenzione, ma che, invece, è drammaticamente vero. Qualcosa, che da sempre infetta, intossica, imbratta, corrompe il nostro territorio, il nostro futuro, i nostri diritti, i nostri corpi e la nostra moralità: le mafie.
Infatti, è appena il caso di ricordare non solo che sono 290 i comuni sciolti e commissariati per infiltrazioni mafiose in 26 anni, ma anche che il controllo mafioso del territorio si è radicato ormai indubitabilmente anche nel Nord (si pensi alle infiltrazioni della’ndrangheta in ambito politico e imprenditoriale in Lombardia).
Forse, dunque, quando sapremo guardare ai mali che, da sempre, affliggono la Repubblica, e cesseremo di scaricarne la colpa sugli altri, grazie a questo esame di realtà, potremo anche rivitalizzare la nostra capacità di provare pietà.
Se la pietà è moribonda, potrebbe rianimarsi, comprendendo che quando si comincia a discriminare e ad emarginare non ci si ferma più
Forse, se la nostra pietà è spenta, è perché ci rifiutiamo di capire che negare la dignità ad uno – emarginandolo, denigrandolo, umiliandolo, respingendolo – vuole dire toglierla a tutti, come dimostra, tra gli altri, il caso di Como, precedentemente citato.
Forse un giorno realizzeremo che la pietà è moribonda anche perché – non solo durante le campagne elettorali – si diffondono parole che cercano di assassinarla nei nostri cuori. Parole, che servono a farci vedere l’altro non per come è – un essere umano –, ma come un oggetto ingombrante, scomodo, inquietante, pericoloso, minaccioso.
Forse la nostra pietà rinascerà, quando ci accorgeremo che non vi alcuna differenza tra il comportamento di quell’autista di un autobus, che, in Val d’Aosta, ha tentato di costringere un ragazzo disabile, figlio di allevatori, a scendere lontano da casa, paragonandolo alle mucche, dicendogli che «puzza come loro» e che avrebbe dovuto andare a «zappare le patate invece di frequentare la scuola», e quello dell’anziano torinese, che, su un autobus, ha aggredito una giovanissima studentessa italiana, solo perché di pelle scura, “suggerendole” di tornarsene a casa sua (cioè in Africa) e di smettere di andare a scuola, perché tanto finirà a lavorare sul marciapiede. O dell’altro, sempre anziano e sempre italiano, che ha preso a calci, schiaffi e pugni Florentina Grigore, una quarantaquattrenne di origine rumena, minacciandola di pisciarle addosso se non scendeva dall’autobus, perché non aveva obliterato il biglietto. Florentina non aveva timbrato il biglietto perché aveva l’abbonamento [3].
Se la nostra pietà è moribonda, è anche perché una sorta di neo-negazionismo le impedisce di destarsi
Forse, se davvero la nostra pietà è moribonda, si riprenderà quando ci cadrà il velo dagli occhi. E, cadendo, ci lascerà vedere non solo il razzismo (vi sono diversi post su questo blog dedicati al nazionalrazzismo e al socialrazzismo), ma anche il neo-negazionismo implicito in chi, definendosi patriottico, ricorre allo slogan “Prima gli italiani”.
Il negazionismo, cioè di chi non tiene in alcun conto il fatto incontrovertibile che, alla base del fenomeno migratorio, vi sono guerre e terrorismi, persecuzioni e dispotismi, carestie e miseria, malattie e sfruttamento. E che, questi flagelli sono, in larghissima parte, direttamente collegati ai colonialismi di ieri e di oggi: colonialismi, questi ultimi, posti in essere dalle “nostre” multinazionali e dai “nostri” governi.
Forse la nostra capacità di sentire e di sentirci risorgerà quando recupereremo la capacità di pensarci nei panni dell’altro
Forse, la nostra capacità empatica avrà un sussulto di vitalità, quando capiremo che, in quanto esseri umani, non siamo diversi da chi accetta, o è costretto ad accettare, il rischio di morire di sete nel deserto, annegato nel Mediterraneo o assiderato sulle Alpi. Quando recupereremo quel pizzico di razionalità utile a sapere che al posto loro faremmo la stessa cosa.
Insomma, se veramente la nostra pietà è moribonda, potrà guarire quando sapremo guardare a noi stessi per come siamo, con le nostre luci – che sono tante – e le nostre ombre – che non sono poche, e smetteremo questa tendenza a proiettare le nostre ombre sull’altro.
Alberto Quattrocolo
[1] I residenti in Italia sono poco più di 60 milioni. Di questi i cittadini italiani sono 55 milioni e 551mila. Gli immigrati residenti regolarmente in Italia, infatti, sono 5.029.000, secondo gli ultimi dati Istat, aggiornati al 1 gennaio 2017. Questo dato è indiscutibile, essendo basato sulle persone registrate alle anagrafi comunali aventi una cittadinanza diversa da quella italiana. Tale dato, però, comprende tutti gli stranieri, inclusi quelli provenienti da altri stati dell’Unione Europea. Gli stranieri non comunitari, infatti, sono circa 3 milioni 500 mila. Il che vuol dire circa il 6% del totale dei residenti (60 milioni e mezzo). A costoro si aggiungono gli stranieri regolari ma non residenti, quelli, cioè, che hanno cioè un regolare permesso di soggiorno, ma non sono iscritti all’anagrafe di nessun comune italiano. Secondo i calcoli del Ventiduesimo Rapporto sulle Migrazioni 2016 di Fondazione ISMU, si tratta di 410 mila persone (dato riferito al 1 gennaio 2016).
Gli stranieri provenienti dall’Unione Europea e quelli non comunitari, presenti regolarmente in Italia, dunque, ammontano a 5,4 milioni. Si noti che tale dato comprende anche coloro che hanno ottenuto l’asilo (i rifugiati), che sono 147 mila. Ai 5,4 milioni di stranieri legalmente presenti in Italia, si devono aggiungere:
- i richiedenti asilo, che sono stimati in tutto, peccando per eccesso, 200 mila
- gli immigrati irregolari (i cosiddetti clandestini), che, secondo il Ventiduesimo Rapporto sulle Migrazioni 2016 della Fondazione ISMU, sono 435 mila.
Riassumendo in Italia ci sono 3 milioni 500 mila immigrati regolari provenienti da Paesi extra UE, inclusi i rifugiati, 410 mila regolari non residenti (con permesso di soggiorno, di cui, in realtà, una parte minoritaria è composta presumibilmente da originari dell’Unione Europea), 435 mila irregolari e 200 mila richiedenti asilo, per un totale di 4 milioni e 445 mila persone extra comunitari.
[2] L’unico modo per calcolare il numero dei musulmani presenti in Italia è contare il numero di coloro che provengono da Paesi abitati prevalentemente da islamici. Si tratta, perciò, di un calcolo viziato da un’approssimazione per eccesso, poiché non sono rari coloro che fuggono da regimi islamici o dal terrorismo islamico verso l’Europa, proprio perché sono di un’altra fede religiosa (cristiana per lo più). Ciò premesso, i presunti musulmani sono 2.500.000, di cui il 43% è cittadino italiano (in larghissima parte si tratta di persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana secondo la legislazione vigente). Due milioni e mezzo su oltre sessanta milioni. E sono soltanto il 32,6 % dei migranti, essendo il 53% di essi di fede cristiana.
[3] Di questi e altri più violenti, anche con esiti letali, episodi di razzismo si è trattato nel post Giorno maledetto.
Ho letto con attenzione questo intervento fiume, in parte condivisibile e in altra parte piuttosto fazioso.
Molto di ciò di cui si parla non ha a che vedere con la pietà ma con un codice penale la cui efficacia sarebbe maggiore se applicato con efficienza, serietà e puntualità senza indulgenti cedimenti a pedagoghi e sociologhi falliti quanto le loro teorie. Quando viene meno la certezza della pena le vittime perdono la pietà per strada.
Inoltre citare fatti storici relativi al XX secolo per solleticare opportuni rimorsi sociali da sfruttare per ulteriori aperture di società già fin troppo spalancate è una storpiatura storica in quanto ogni epoca ed ogni secolo sono segnati da orribili tragedie, inverecondo guerre e grandissimi momenti di eccellente bellezza e grandezza. Negare che questa follia dicotomica sia l’essenza stessa della natura umana e pretendere di ridurre sempre il tutto ad una ragionevole, asettica e politicamente corretta melassa omogenea è, questa si, effettiva mancanza di pietà per la razza umana.