Grillo e Renzi rivendicano le cose buone fatte dalle loro maggioranze, rispettivamente, a livello comunale e nazionale. La sollecitazione del riconoscimento altrui vista come conseguenza e come rilancio del conflitto in ambito politico.
Sul suo Blog Matteo Renzi scrive: «Quando il premier Gentiloni firma l’accordo del Progetto-periferie a Cagliari, quando il ministro Delrio presenta il nuovo Polo Mercitalia — strategico per il futuro dei nostri trasporti — insieme ai vertici di FS, quando il ministro Padoan spiega alle aziende tutti i benefici della Legge di Bilancio 2017 a cominciare da Industria 4.0 e dall’abbassamento delle tasse, quando il ministro Minniti prova a definire una nuova visione di sicurezza (e ho fatto solo quattro esempi, ma potrei continuare a lungo) tutti gli italiani che si sentono davvero patrioti hanno il dovere di sperare che le cose vadano meglio, non lamentarsi e criticare soltanto». In tale discorso vi è un riconoscimento a quanto sta facendo il governo Gentiloni e di quanto il precedente governo, di cui Renzi era premier, ha realizzato (ponendo ad esempio, Padoan nelle condizioni di spiegare alle aziende tutti i benefici della legge di Bilancio. Sul Blog di Grillo vi è un post del 19 febbraio dal titolo Rifiuti, così stiamo ripulendo Roma. Inizia così: «La politica ambientale dell’amministrazione 5 stelle di Roma è fatta di passi concreti. Come i risultati dei primi due mesi di raccolta degli ingombranti:“Riciclacasa”: “la nuova raccolta gratuita a domicilio dei rifiuti ingombranti, attivata da Ama e Comune di Roma dallo scorso 1º dicembre».
Sempre sul blog delle stelle alcune settima fa, Beppe Grillo aveva scritto «Noi ci siamo buttati a capofitto in questa avventura e, nonostante le difficoltà, stiamo iniziando a cambiare la città. Non sono parole, sono fatti. Di seguito trovate i 43 successi più importanti di Virginia Raggi e della sua giunta nei primi 7 mesi di governo». Poco più avanti è riportato un elenco di 43 provvedimenti, iniziative compiute o messe in campo dalla giunta capitolina, guidata da Virginia Raggi.
Sul suo blog l’allora segretario del PD grosso modo negli stessi giorni aveva scritto: «Noi siamo quelli che hanno da offrire mille giorni di lavoro al Governo, che hanno portato tanti risultati. Con alcuni errori, certo, ma nella stragrande maggioranza abbiamo fatto passi in avanti per noi e per il Paese. Oggi l’Italia ha qualche diritto in più e qualche tassa in meno: dal Cantiere sociale ai diritti civili fino agli 80 euro o all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Ha attraversato, indenne dal terrorismo, eventi come Expo e Giubileo mentre in altre zone d’Europa le cose andavano diversamente. Ha recuperato in tre anni 600mila posti di lavoro, di cui tre quarti a tempo indeterminato ed è passata dal meno due per cento del PIL 2013 al più uno per cento di oggi. Ha sbloccato opere pubbliche ferme da decenni e ha iniziato l’operazione banda larga che cambierà il volto delle città. Ha investito nelle periferie, nello sport, nelle scuole, nelle imprese, nei musei e nei teatri perché con la cultura si definisce l’identità di un popolo. Noi siamo fieri dei nostri mille giorni».
Li proponiamo insieme, questi esempi di comunicazione e in particolare, gli ultimi due discorsi citati, perché offrono lo spunto per una riflessione più ampia che interessa il conflitto nei suoi diversi ambiti di manifestazione e, parrebbe, anche in ambito politico.
Infatti, in generale, si rileva che il conflitto può essere innescato da una dinamica relazionale – tra individui, tra gruppi, tra comunità, ecc- – interessata dalla frustrazione di un fondamentale bisogno relazionale: quello di sentirsi riconosciuti dall’interlocutore. Pensiamo al figlio adolescente che non si sente riconosciuto nel suo bisogno di autonomia, libertà, emancipazione e/o capacità dal genitore; e pensiamo al genitore che non si sente riconosciuto dal figlio nel suo ruolo, non sente legittimati i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni, ecc. Oppure pensiamo al medico che non si sente riconosciuto nel suo impegno professionale e nella sua umanità da un paziente che ne ha contestato il comportamento attraverso una segnalazione critica, ovvero al paziente che ha proposto quel reclamo contro il sanitario avendo avuto l’impressione di essere stato considerato da quello come un caso e non come una persona.
Il mancato riconoscimento, però, è anche un aspetto relazionale che accompagna e rinforza la dinamica conflittuale, talora esasperandola.
Quando tale aspettativa relazionale non trova realizzazione, una tra le reazioni possibili è quella di cercare di conseguirne l’appagamento. Ad esempio: il coniuge che ricorda al partner tutto quanto ha fatto o sopportato per preservare la qualità della relazione; il responsabile di un’associazione che cerca di ricapitolare agli associati, totalmente o parzialmente insoddisfatti della sua gestione, l’impegno e le competenze dispiegate, magari anche i sacrifici e le rinunce personali.
In breve, abbiamo bisogno di sentirci riconosciuti, e sarebbe sbrigativo liquidare tale esigenza qualificandola come istanza puramente narcisistica. Anche ammesso che a tale risvolto psicologico sia riconducibile, essa afferisce ad un fattore di marca relazionale imprescindibile per la qualità del rapporto. In assenza di reciprocità di riconoscimento, la relazione può essere fonte di frustrazione e può dare luogo al conflitto, spesso doloroso, il quale, a loro volta, potrebbe ripristinare il riconoscimento, magari con modalità, presupposti e su registri nuovi o parzialmente innovati rispetto ai precedenti. Oppure il conflitto può condurre all’interruzione della relazione, ovvero ad un assetto relazionale connotato da una conflittualità, latente o manifesta, permanente.
Il tentare di far ricordare quanto di buono si è fatto, si sta facendo e si farà, all’interlocutore, da cui non ci si sente più riconosciuti, o si teme di non esserlo più o di non esserlo sufficientemente, può quindi essere considerato come un comportamento che chiunque può trovarsi a porre in essere.
Ma tale comportamento, normale nel rapporto tra politici e opinione pubblica, assume sfumature particolari per il leader politico, in relazione alla competizione con gli altri partiti, oppure in presenza di soggetti interni alla sua forza politica tesi a metterne in discussione la leadership.
Talora, infatti, in simili circostanze gli avversari sono impegnati in un opera di continua svalutazione delle cose fatte, magari potendo contare su argomenti non superficiali né falsi.
Il leader, allora, in relazione ad un elettorato, ad una base o a dei compagni di partito la cui memoria teme che possa essere corta, può cercare di preservarne o di riacquisirne la fiducia.
L’attività di recupero del ricordo sui traguardi compiuti è efficace? Questo è un aspetto pratico da non sottovalutare. Ma prima della sua efficacia, occorrerebbe soffermarsi sul sentimento del leader che precede tale comportamento. Non vi è da escludere, talvolta, che possa sentirsi oggetto di un’ingratitudine, attuale o potenziale, e che provi il timore di un voltafaccia da parte di una porzione del suo elettorato e dei suoi sostenitori.
Se tali, sono i vissuti del leader, è da prendere in considerazione anche la possibilità che siano innescati dalla percezione dell’esistenza effettiva di un’insoddisfazione e di una delusione circolante nel gruppo di cui è alla guida.
Allora, il quesito di cui sopra è suscettibile di essere trasformato in un altro: il ricordare le cose buone fatte serve a far superare le delusioni, le frustrazioni, le insoddisfazioni e l’eventuale sensazione di tradimento sperimentati dai membri del gruppo , o che si teme che essi provino?
A volte probabilmente sì, altrimenti non si spiegherebbe come mai, nei più diversi assetti relazionali, gli esseri umani ricorrano a tale tipo di comportamento.
L’8 febbraio Beppe Grillo annunciava un nuovo sito (Comuni5Stelle.it) in cui si poter vedere i risultati dell’azione amministrativa del Movimento Cinque Stelle nei comuni che governa. Tale annuncio era preceduto da esplicite sollecitazioni a conoscere e considerare i positivi esiti di tali amministrazioni: «5 milioni di italiani hanno un’amministrazione 5 Stelle e nessuno di loro rimpiange la gestione dei partiti che hanno fatto dei comuni un bancomat. In 10 dei nostri comuni non esiste più da tempo Equitalia e in nessuno dei comuni 5 Stelle è aumentato il debito. Abbiamo preso in mano città in macerie come Roma e stiamo lavorando sodo per farla ripartire ottenendo anche alcuni incoraggianti successi nei primi 7 mesi di governo. Abbiamo città come Livorno e Pomezia dove abbiamo sperimentato il Reddito di Cittadinanza comunale restituendo la dignità a tante persone. Abbiamo introdotto pratiche innovative come il bilancio partecipato. Stiamo cambiando l’Italia a partire dai comuni: i cittadini sanno che è possibile».
Ha senso, dunque, supporre che simili comunicazioni, almeno a volte, funzionino.
Ma qualche volta non è così. Le vicissitudini del PD di queste settimane sembrano confermare l’eventualità che questo tipo di messaggio può essere inefficace o addirittura controproducente.
In politica,perciò, capita che questi messaggi non funzionino proprio con tutti i destinatari.
Nella prima intervista dopo il referendum costituzionale concessa dal segretario del Partito Democratico, costui affermò: «il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miliardi di recupero dalla lotta all’evasione, dell’abbassamento delle tasse». A tali parole, Ezio Mauro, che lo intervista, ribatté: «Non starà qui a snocciolare la propaganda, visto che lo ha fatto ad ogni ora del giorno e della notte in tv e non le è servito, non le pare?»
Le ragioni di questa inefficacia, ipotizzata da Ezio Mauro, del “ricordati quel che di positivo ho fatto” sono indubbiamente molteplici e vi giocano risvolti di diversa natura.
Ad esempio, vi è la possibilità che i destinatari del nostro invito a ricordare non siano disponibili a farlo, perché sono in conflitto in noi. Se abbiamo sete di riconoscimento da parte dei nostri avversari, verosimilmente troveremo solo deserto e arsura, finché il rapporto con costoro è un conflitto di elevata intensità e, quindi, connotato dalla svalutazione reciproca. La replica Mauro a Renzi, forse, sorvolò sulla possibilità che questi non si stesse rivolgendo agli elettori, ma ad una parte del personale politico del PD. Le parole del segretario prima dell’intervento di Ezio Mauro erano state le seguenti: «Invece i nostri votano in Parlamento, e tacciono nel Paese, anche sulle cose più positive». Si potrebbero interpretare le parole di Renzi proprio come una denuncia di una dinamica nella quale l’avversario (interno, in tal caso), pur rilevandole, mai ammetterà ad alta voce l’esistenza di esiti virtuosi del suo operato.
Ciò in termini reattivi, potrebbe indurre chi vive la frustrazione derivante dal mancato riconoscimento a riservare lo stesso trattamento alla controparte, perpetuando la dinamica conflittuale.
Ma molti altri possono essere gli elementi che costituiscono ostacoli o impedimenti insormontabili alla preservazione o al ripristino di una relazione contrassegnata da riconoscimento e fiducia.
Tra questi vi è qualcosa che si colloca a monte e che riguarda, per dirla banalmente, il rapporto tra le promesse fatte e quelle mantenute. Ma, se aguzziamo un po’ di più la vista, è possibile che si scorga qualcosa che di nuovo rinvia al conflitto (e, nel caso particolare al conflitto politico e alla sua escalation).
Potrebbe essere opportuno, infatti, non sottovalutare il fatto che, per cercare di prevalere nel conflitto possiamo essere indotti a cercare di rinforzare ed estendere il supporto dei terzi (si pensi ad una competizione particolarmente accesa tra candidati come al conflitto interno ad un partito/movimento), proponendogli gli obiettivi della nostra lotta in termini capaci di affascinarli e sedurli. Certamente crediamo negli ideali che proponiamo, siamo sinceri nei nostri propositi di cambiamento della realtà, ritenuta da noi e da altri insoddisfacente o ingiusta. Tuttavia, per elettrizzare gli animi di coloro che vogliamo si schierino con noi e per sollecitarne un’adesione forte ai nostri obiettivi, presentiamo in termini ideali i nostri disegni di modificazione del reale. Anzi, spesso descriviamo la realtà contro cui ci battiamo per cambiarla in termini più foschi di quanto forse non siano, non necessariamente esagerandone i difetti, ma sottovalutando o tacendo ciò che funziona e, soprattutto, comunicando che la nostra azione avrà un effetto davvero realmente trasformativo. A volte, ci spingiamo a dire che, in verità, basterebbe poco per rimediare ai mali della realtà attuale, precisando che la fiducia dei più occorre per mandare o tenere a all’opposizione l’avversario, il quale con la sua inattività, disonestà o incompetenza, come amministratore, o con il suo fazioso ostruzionismo, come opposizione, è causa dei vizi della realtà.
Insomma: da un lato, proponiamo una visione molto negativa della realtà che vogliamo cambiare e ne attribuiamo la responsabilità ai nostri avversari; dall’altro; rivestiamo di splendide vesti i nostri programmi, i nostri ideali da realizzare.
Nel momento in cui ci troviamo ad avere vinto la battaglia contro gli avversari, però, si pone il problema di essere all’altezza delle aspettative che la nostra cupa descrizione del reale e splendente presentazione dell’ideale hanno alimentato. Peraltro, a volte tali aspettative sono anche più elevate di quelle che volevamo suscitare.
A quel punto, può capitare che la dinamica conflittuale, tutt’altro che conclusasi con la vittoria di una battaglia, ci sia di ostacolo nel ristabilire, attraverso il dialogo con la comunità, un equilibrio tra ideale proclamato e atteso dagli elettori e ideale realizzato o in corso di realizzazione. Infatti, l’avversario sconfitto, ma non eliminato, avendo ancora voce, la farà udire per suggerire o mettere in risalto le discrepanze tra ideale proposto e ideale realizzato.
Non si contano, ad esempio, le critiche all’azione del governo Renzi o della giunta Raggi da parte delle opposizioni (nel caso di Renzi soprattutto da quella che prima era interna e che ora è diventata esterna) e in (quasi) nessuna di esse, com’è consuetudine, si rinvengono anche apprezzamenti per risultati positivi rispettivamente conseguiti dall’ex presidente del Consiglio e dalla sindaca di Roma. Afferma Beppe Grillo nell’articolo citato che «Da settimane ormai i media attaccano frontalmente il MoVimento 5 Stelle con lo scopo di dimostrare che non siamo in grado di governare il Paese e quindi tengono nascosto tutto il nostro buon governo nei comuni».
A simili offensive dell’avversario (che sono, dal punto di vista di chi la mette in atto, una controffensiva) può seguire una controffensiva del leader, il quale, a sua volta, può porre in risalto i benefici derivanti dal suo operato con un vigore tale che la sua descrizione dell’ideale concretamente realizzato (o in corso di realizzazione) assume gli stessi toni e le stesse forme della precedente presentazione dell’ideale annunciato. Se ciò accade, è possibile che tutto il suo ragionamento di oggi, considerato alla stregua di sparata propagandistica fuori tempo massimo, non venga preso sul serio e sia oggetto di radicale scetticismo.
Forse ciò può contribuire a spiegare le ragioni della almeno parziale frustrazione del bisogno di riconoscimento, da un lato, e, dall’altro, del rilancio del conflitto politico, nella sua progressione di reciproca delegittimazione e svalutazione.
Alberto Quattrocolo
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