Il modello Ascolto e Mediazione come mediazione trascendentale
«La mediazione crea dunque le condizioni di possibilità di un confronto e in questo senso possiamo kantianamente definirla mediazione trascendentale».
Durante la presentazione del libro “Ascolto e Mediazione. Un approccio pragmatico alla gestione dei conflitti”, che ha scritto con Alberto Quattrocolo, Maurizio D’Alessandro spiega, tra le altre cose, il significato di questa frase in cui propone il concetto di mediazione trascendentale che compare a pagina 147, cioè in chiusura del testo e dell’ultimo capitolo, il quarto, “La prassi dell’Ascolto e Mediazione. Una mediazione (quasi) senza obiettivi”.
Risalendo al concetto aristotelico di “prassi”, mutuato da Platone, soprattutto riguardo alla distinzione tra discorso vero e discorso falso, distinzione ripresa poi da Habermas e Gadamer, in ordine all’agire comunicativo (e la mediazione è un’azione comunicativa), D’Alessandro spiega che la mediazione, almeno nella versione proposta dal modello Ascolto e Mediazione, è
«un agire di tipo comunicativo, come lo definisce appunto Habermas, cioè un comunicare che non persegue un fine estrinseco, nel senso che non ha il fine di produrre qualche cosa di esterno, di altro, ma che ha il fine in sé stesso».
In altri termini, come illustrato poco prima,
«Se pensiamo alla mediazione come a una semplice tecnica – quindi una poiesis, un fare produttivo, cioè un modo di agire tale per cui noi possiamo ottenere un determinato obiettivo, un esito predeterminato -, il risultato potremmo anche ottenerlo, ma correremmo il rischio sofistico, più o meno voluto, di manipolare altre persone (i confliggenti) e di portarle non dove vogliono andare loro ma dove noi vogliamo farle andare. Quindi protagonisti della mediazione non sarebbero più le persone che stanno seguendo il percorso, ma sarebbe l’obiettivo che noi, mediatori, ci siamo proposti. Sussiste, pertanto, un grosso rischio manipolatorio rispetto all’intendere e al mettere in pratica la mediazione come se fosse una poiesis, utilizzando delle techne – con ciò non sto dicendo che le tecniche non vadano usate: infatti, le usiamo sempre e in continuazione, ma dal mio punto di vista, nel caso della mediazione, vanno tenute e considerate come semplici cassette degli attrezzi – perché significa contraddire l’autodeterminazione delle parti proprio nel processo mediativo. Il rispetto di quell’autodeterminazione da parte del mediatore presuppone che egli abbia la capacità non solo di sospendere il giudizio sui confliggenti e sul loro conflitto, ma anche di sospendere la propria volontà di intervenire all’interno della mediazione producendo un risultato a tutti i costi».
L’impostazione Ascolto e Mediazione, dunque, consente di suggerire l’dea che si tratti di una mediazione trascendentale.
«In Kant, infatti, “trascendentale” ha un valore particolare, che non richiama la trascendenza come ciò che è oltre il mondo, ma che riguarda “ogni conoscenza che si occupi in generale non tanto di oggetti, quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti, nella misura in cui questa deve essere possibile a priori”. Non mi voglio soffermare tanto sul concetto di “a priori” (perché lì si aprirebbero delle parentesi che non so neanche se sarei in grado di spiegare), ma sull’espressione “del nostro modo di conoscere”. Perché? Perché in fondo per quel che mi riguarda, tanto nei momenti formativi quanto nelle mediazioni, talvolta mi rendo conto che mediare, più che usare quella cassetta degli attrezzi di cui parlavo prima, vuol dire proprio, in primo luogo, entrare in contatto con sé stessi, con il proprio modo di essere, di relazionarsi all’altro, per tentare di entrare in quell’agire comunicativo di cui abbiamo parlato e per far sì che l’altro si senta davvero ascoltato e non strumentalizzato»
Qui è possibile il video dell’intervento di Isabella Buzzi, che è stata autrice della prefazione, mentre qui si trova quello dell’intervento di Alberto Quattrocolo e qui quello del dibattito successivo ai tre interventi. Cliccando qui, invece, si può seguire il video integrale.
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