Società e comunicazione
Viviamo una società ad alto rischio conflittuale, dove nessuno risulta immune da questa endemica e fisiologica “piaga” relazionale: le circostanze che illudono circa l’elusione di più drammatiche situazioni presentate quotidianamente dai notiziari, costituiscono una labile ed illusoria convinzione: il mattino successivo può presentarci il conto, bloccati dalla coda al semaforo, per recarci al lavoro, oppure in attesa presso un ambulatorio medico, o ancora con il nostro/a partner dopo una banale incomprensione di coppia.
I conflitti si presentano, prima o poi, in ogni relazione, sia questa tra persone, gruppi, piuttosto che tra organizzazioni e stati, e questo è un dato di fatto inconfutabile, oltre che una situazione inevitabile.
Un esempio, tra le migliaia possibili, giunge dal cinema, con una pellicola ormai datata, figlia dell’allora postmodernismo e non già dell’attuale società liquida teorizzata da Bauman, intitolata Prigioniero della Seconda Strada, del 1975, protagonisti Mel (Jack Lemmon) e Edna (Anne Bancroft): è la storia di un ordinary man, con tanto di moglie adorabile e due figlie iscritte al college, con un buon impiego d’ufficio ed un appartamento confortevole. Un uomo che si direbbe realizzato: improvvisamente Mel precipita nel vortice incandescente del conflitto, dell’alienazione sociale, dapprima per futili motivi (quelli che spesso sottendono motivazioni più profonde), in una escalation che si fa, via via, sempre più coinvolgente.
La comunicazione è uno dei focus principali del film: nel caso di Mel si è trasformata in ostinato mutismo fatto di silenzi smarriti, un solipsismo iroso e becero che lo ha sospinto ai margini prima della famiglia, nel rapporto sempre più complicato con la moglie Edna, e poi della società.
Smarrita la capacità di comunicare, il contatto con la società, e, soprattutto, venuto a mancare il senso di riconoscimento da parte dell’altro, tutto è rimesso in discussione da una vampa improvvisa che fa terra bruciata intorno a sé, rendendo Mel estraneo al mondo sociale.
Quando la comunicazione, la capacità di relazionarsi a 360°, si deteriora, si interrompe, il rischio dell’isolamento, del possibile conflitto sociale, è più frequente di quanto si creda.
Grazie alla comunicazione, infatti, siamo in grado di essere parte attiva della società, anche se comunicare appare, nell’era virtuale dei social media, paradossalmente, sempre più complesso.
Innumerevoli gli studi condotti intorno alla comunicazione: seminale fu il lavoro di Watzlawick, Beavin e Jackson, tre ricercatori del Mental Research Institute (MRI) di Palo Alto, California, che ipotizzarono, nel testo Pragmatica della comunicazione umana edito nel 1966, che i rapporti interattivi fra individui siano determinati, essenzialmente, dai tipi di comunicazione che essi utilizzano tra loro.
Essi sostennero due tesi: secondo la prima, il comportamento patologico inteso come nevrosi, psicosi e in genere le psicopatologie, non esiste nell’individuo preso singolarmente, ma si tratta di un tipo di interazione patologica tra individui.
La seconda tesi sostiene, invece, come, attraverso lo studio della comunicazione, sia possibile individuare delle “patologie” della comunicazione e dimostrare che, in realtà, sono quest’ultime a produrre le interazioni patologiche.
Nel testo troviamo anche i cinque assiomi della comunicazione, che delimitano il terreno d’azione della comunicazione umana.
Interessanti, ai fini dell’aspetto conflittuale della comunicazione, le riflessioni circa le relazioni basate sull’uguaglianza (la simmetria) o sul suo contrario, la differenza (l’asimmetria): l’interazione simmetrica è definita dall’uguaglianza e dalla minimizzazione della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l’interazione complementare.
Il contesto sociale e culturale, ove ognuno potrebbe comportarsi in un certo qual modo tale da instradare il comportamento dell’altro, gioca un ruolo molto importante nel guidare queste relazioni (medico-paziente, genitore-figlio, insegnante-allievo, …).
I tre scienziati delinearono procedimenti pragmatici (comportamentali) che permisero di intervenire nelle interazioni e di modificarle.
Altra teoria, che attinge, in qualche misura, al lavoro dell’équipe di Palo Alto, è la Teoria dei sistemi, branca della teoria generale dei sistemi e concepita negli anni ’80 da Niklas Luhmann, e che mira alla comprensione della natura e del funzionamento della realtà sociale. Consiste nello sviluppo di un discorso sociologico in grado analizzare qualsiasi aspetto della realtà sociale: dalla singola interazione, passando per i gruppi organizzati, fino a quella complessa società che troviamo nella nostra epoca.
Alla base della teoria vi è il concetto di “sistema”. Secondo Luhmann un sistema è un insieme di operazioni o elementi collegati fra di loro grazie a criteri già prestabiliti o in base a programmi dotati di una certa autonomia. Uno degli assunti principali della teoria dei sistemi sociali è che i sistemi conservano la propria autonomia rispetto all’ambiente in cui operano. Esistono vari tipi di sistemi, i sistemi biologici, od organici, i sistemi psichici ed i sistemi sociali, che sono costituiti dalla comunicazione, come singole interazioni comunicative, organizzazioni o addirittura società.
Nella teoria dei sistemi sociali la comunicazione è costituita da tre processi: l’atto comunicativo, o azione, da parte di un soggetto (emissione), l’osservazione, o comprensione, di questo atto da parte di un altro soggetto (comprensione), e infine l’informazione riguardante un contenuto di senso che l’atto comunicativo ha trasmesso, intenzionalmente, a chi l’ha osservato.
La comunicazione risulta essere, quindi, l’insieme delle relazioni che sussistono e si sviluppano negli individui, tra di loro e verso l’ambiente naturale dove vivono.
In questa visione i sistemi sociali sono dunque reti (o processi) di comunicazioni, intrecciate fra loro ed anche, di conseguenza, a rischio conflitto. La realizzazione di tali processi va incontro, però, a due problemi importanti, presenti in tutti i sistemi sociali: il primo problema consiste nell’errata interpretazione dell’atto comunicativo, o addirittura nella mancata interpretazione di tale atto.
Il secondo problema consiste nella mancata osservazione di quell’atto da parte di chi dovrebbe riceverlo. Questo è un problema che potrebbe essere risolto dalla «compresenza fisica» del soggetto con cui stiamo comunicando.
Secondo Luhmann tutti i sistemi sociali si situano in un «ambiente»: esso è tutto ciò che non fa parte del sistema.
Ecco come l’ambiente e la società sono legate a filo doppio dalla comunicazione, unico vero strumento di comprensione e discrimine per monitorare la possibile conflittualità umana. La mediazione, allora, strumento che si declina sulla comunicazione, rappresenta una chiave di volta all’interno della contrapposizione dicotomica società-conflitto sociale.
Paolo Ghiga
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!