Il blocco di Berlino
Finita la seconda guerra mondiale la città di Berlino si trovava nel cuore di quella parte della Germania che era stata occupata dalle forze armate dell’Unione Sovietica. Erano stati i russi, infatti, che, dopo aver ricacciato fuori dai confini sovietici le armate di Hitler e di Mussolini che l’avevano invasa, a partire dall’Operazione Barbarossa, avviata il 22 giugno 1941 (l’abbiamo ricordata su questa rubrica, nel post L’abominevole Operazione Barbarossa), avevano incalzato le truppe tedesche fino a Berlino, arrivandoci prima delle forze anglo-francesi. Queste, sbarcate sulle coste italiane nell’estate del 1943, tra il 9 e il 10 luglio in Sicilia (si veda questo post ) e due mesi dopo a Salerno (l’abbiamo rievocato in questo post), erano state fermate dai nazi-fascisti lungo la cosiddetta Linea Gotica. Ma un anno dopo, il 6 giugno del 1944, avevano compiuto il determinante sbarco in Normandia (vi abbiamo dedicato il post Gli amici del 6 giugno). Dalle spiagge della Francia settentrionale, gli angolo-americani avevano preceduto alla liberazione dell’Europa Occidentale, che da cinque anni le truppe naziste avevano occupato. Ma l’avanzata verso la Germania era stata ostacolata dal fallimento di alcune operazioni – a partire dal disastro sanguinoso dell’Operazione Market Garden (si veda il post Il 17 settembre 1944 scatta la fallimentare operazione Market Garden) – e dal contrattacco tedesco alla fine del ’44 nelle Ardenne. Americani ed inglesi quindi, giunsero a Berlino quando le armate di Stalin avevano appena vinto la battaglia di Berlino.
Finita la Seconda Guerra Mondiale, Berlino era divisa in quattro settori, ciascuno dei quali amministrato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il progetto iniziale di un’amministrazione congiunta tra queste quattro potenze fu, però, sgretolato dal passaggio della comune guerra contro il nazifascismo alla guerra tra l’Ovest capitalista e l’Est comunista, la cosiddetta Guerra Fredda.
Se prima la collaborazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva prodotto la vittoria sulle forze nazi-fasciste, ora le due super-potenze si disputavano l’egemonia sul vecchio continente. L’URSS, per prevenire eventuali future aggressioni, sentiva la necessità di avere alle proprie frontiere una cintura di Stati governati da regimi filo-sovietici; mentre gli Stati Uniti, sentivano di dover rinunciare all’idea di ritirarsi dal continente, visto che la Gran Bretagna, uscita prostrata dalla guerra, non era in grado da sola di contrastare efficacemente l’espandersi dell’influenza sovietica.
Collocata nel cuore dell’Europa, la Germania era ridotta ad un cumulo di macerie, tra le quali si aggiravano, tentando di amministrarla, gli eserciti dei vincitori, e Berlino, quasi completamente distrutta, riassumeva drammaticamente la condizione di questo spettrale Paese, il cui futuro assetto era considerato decisivo per gli equilibri internazionali futuri. Proprio a Berlino, infatti, gli interessi di Stati Uniti e Unione Sovietica il 24 giugno del 1948, si scontrarono direttamente.
La “rottura” del 1948
In quell’anno la cessazione definitiva di ogni possibilità di collaborazione tra Mosca e Washington e la trasformazione del rapporto tra le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale in Guerra Fredda, in termini di contrapposizione diretta tra due blocchi militarmente organizzati, era maturata sempre più velocemente. Nella parte occidentale dell’Europa, e, in particolare in Francia e Italia, si concludeva la collaborazione tra i partiti comunisti e i partiti borghesi, mentre nell’Europa orientale, a febbraio, come era già avvenuto in tutti i Paesi inseriti nella zona di influenza sovietica, anche in Cecoslovacchia veniva imposto con la forza un governo a guida comunista. Si spegneva così nell’Europa dell’Est ogni residua possibilità di Stati governati con criteri di pluralismo politico. Pochi mesi dopo, inoltre, si produceva una rottura tra l’Unione Sovietica e la Yugoslavia di Tito, deciso a seguire una politica autonoma rispetto alla linea decisa da Mosca. Ma era soprattutto a Berlino che le posizioni tra URSS, da una parte, USA, Gran Bretagna e Francia, dall’altra, erano sostanzialmente divergenti.
Le ragioni della crisi di Berlino
A Berlino si trovava il Consiglio di Controllo Alleato per la Germania, dal quale dipendeva anche una Kommandantur quadripartita, incaricata di gestire l’amministrazione della città. Come il resto della Germania, anche Berlino, pur essendo inserita nella zona sovietica, era divisa in quattro zone occupate dalle truppe delle tre potenze vincitrici della guerra (USA, URSS e GB), alle quali era stata aggiunta la Francia. Ma le prospettive e i programmi tra gli occidentali, soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna, e l’Unione Sovietica erano assolutamente divergenti. L’URSS pensava alla Germania come uno stato centralizzato, ritenendo che ciò avrebbe meglio garantito il pagamento delle riparazioni di guerra stabilite dagli accordi di Yalta e Potsdam ed era assai poco interessata a rendere la Germania una nazione florida, essendo stati invasi due volte da uno stato tedesco negli ultimi trent’anni. Mentre, gli anglo-americani volevano che la Germania fosse uno stato federale, o comunque diviso in regioni dotate di ampia autonomia ,e ritenevano che le riparazioni dovute dalla Germania andassero sospese per consentirle una più rapida ripresa economica della Germania e togliere il popolo tedesco da quella miseria, che secondo gli americani era l’anticamera del totalitarismo. Nel mese di febbraio le potenze occidentali tennero una prima conferenza tra di loro a Londra, nell’ambito della quale discussero la riunione delle zone francese, britannica e statunitense in un unico stato tedesco occidentale, dotato dei necessari organi di governo e di una propria Costituzione. I sovietici, però, non erano stati informati di tale complessiva prospettiva, radicalmente antitetica rispetto alla loro. Queste divergenze condussero, dunque, alla frattura nella collaborazione quadripartita nel Consiglio di controllo, durante la riunione del 20 marzo: il rappresentante sovietico Sokolovskij lasciò bruscamente la sala dopo aver aspramente criticato gli occidentali per il loro rifiuto di sottoporre al Consiglio stesso i progetti della conferenza di Londra. Ai primi di giugno, allora, gli occidentali diffusero un comunicato in cui si spiegava il sopraddetto, ma si taceva un punto importantissimo. Il comunicato, infatti, non faceva cenno alla decisione, la più importante, di una fusione economica delle tre zone occidentali attraverso una riforma monetaria, consistente nell’introduzione di nuova moneta (il Deutsche Mark). In pratica, si voleva totalmente isolare la zona sovietica dal resto della Germania. La riforma monetaria venne annunciata il 18 giugno ed entrò in vigore tre giorni dopo. Lo scopo principale dichiarato era quello di arrestare l’inflazione monetaria, impeditiva della ripresa economica, ritirando la vecchia moneta tedesca e scambiandola con la nuova nel rapporto di 10 a 1. I sovietici levarono forti proteste diplomatiche e diedero luogo anch’essi ad una riforma monetaria nella parte da essi controllata. Ma la decisione degli occidentali di estendere la circolazione del nuovo marco anche ai settori occidentali di Berlino, che svelava la volontà di rafforzare il legame tra l’ex capitale tedesca e il resto della Germania sottoposto al controllo occidentale, fece illividire di rabbia l’Unione Sovietica. Era chiaro che, così facendo, americani, inglesi e francesi, rendevano Berlino Ovest un avamposto occidentale nel cuore della zona sovietica.
L’annuncio sovietico del blocco di Berlino
L’insofferenza dei sovietici verso gli ex alleati occidentali era cresciuta inesorabilmente, già nel periodo precedente, Tanto che un anno prima all’inizio dell’estate del 1947, diversi quotidiani locali scrissero che si prevedeva un prossimo abbandono di Berlino da parte delle forze occidentali. Inoltre i treni provenienti da Ovest e diretti a Berlino venivano bloccati per ore, a causa di semafori inspiegabilmente rossi oppure per via di interminabili controlli dei bagagli dei passeggeri. Dopo la diffusione del comunicato, la rabbia sovietica subì un’impennata. Così, al principio dell’estate, il 24 giugno 1948, le telescriventi dei giornali berlinesi trasmisero un proclama dell’amministrazione militare sovietica:
«alle sei del mattino il traffico ferroviario, stradale e fluviale fra Berlino e l’occidente sarà interrotto, e con esso l’afflusso di carbone e delle derrate alimentari. Tutte le riserve di viveri nel settore sovietico saranno riservate a tale settore».
Alle sei del mattino infatti la radio sovietica aveva annunciato il blocco per motivi tecnici della linea ferroviaria Helmstedt– Berlino e, sempre ricorrendo ad analoghi pretesti, comunicava la chiusura delle altre comunicazioni terrestri. Agli anglo-americani fu chiaro che si trattava di un ultimatum o meglio di un ricatto: se l’Occidente non riconosceva l’autorità sovietica su tutta la città di Berlino, i berlinesi sarebbero stati ridotti alla fame.
Oltre ad angosciare gli abitanti di Berlino, quell’annuncio diffuse il panico ovunque. Si stava avverando uno dei peggiori momenti di crisi della Guerra Fredda, forse il momento di maggior tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, per la prima volta la possibilità che si arrivasse ad un confronto militare tra le due potenze parve orribilmente concreta.
Il ponte aereo
Le forze occidentali erano state colte del tutto impreparate da questa mossa sovietica. Non avevano previsto alcun piano per reagire ad un evento simile. Scartata l’ipotesi di forzare il blocco, suggerita dal generale Clay, governatore militare statunitense a Berlino, la Casa Bianca e Westminster decisero di rifornire provvisoriamente la città mediante un ponte aereo, sperando di pervenire rapidamente ad una soluzione diplomatica. Ma dare luogo ad un ponte aereo non era un’impresa da poco. Gli abitanti di Berlino Ovest avevano bisogno di 12.000 tonnellate di viveri al giorno. Farli arrivare unicamente per via aerea, sulle prime parve impossibile. Non c’era altra soluzione, però. Anzi, in seguito ci si rese conto che era anche la migliore soluzione, essendo lo strumento più adatto per resistere all’assedio. Ciò, però, fu appurato grazie alla straordinaria organizzazione delle forze aeree anglo-statunitensi, che meritatamente passò alla storia. Infatti, Dopo appena 13 giorni di attuazione del blocco da parte dei sovietici, americani e britannici facevano atterrare all’aeroporto Tempelhof di Berlino un aereo ogni 93 secondi, scaricando in ventiquattr’ore 6.393 tonnellate di merci (poi si arrivò perfino a trasportare una intera centrale elettrica smontata pezzo per pezzo). Grazie ad un rigoroso razionamento di tutte le merci trasportate a Berlino gli abitanti poterono superare l’inverno ‘48-’49. Fallì, però, la mediazione tentata da una commissione di esperti nominati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La fine del blocco e la nascita delle due Germanie
L’intesa giunse soltanto a primavera inoltrata. Il 5 maggio 1949 fu annunciata la fine del blocco per il giorno 12. A Berlino erano state scaricate due milioni e mezzo di tonnellate di merci; settanta aviatori anglo-statunitensi erano morti in incidenti di volo; gli Stati Uniti avevano speso per il ponte 350 milioni di dollari, la Gran Bretagna 17 milioni di sterline, i tedeschi 150 milioni di Deutsche Mark.
Il blocco di Berlino era sciolto, ma lo era anche la prospettiva di una Germania unita, cioè di una unica patria per il popolo tedesco. Il 12 maggio ’49, infatti, i governatori militari di Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna approvarono la Legge Fondamentale (Grundgesetz), ossia la Costituzione per le zone da essi occupate occidentali. I sovietici avevano appeno compiuto un analogo atto. Il sorgere di due Germanie era diventato un dato di fatto. Tale divisione, a Berlino, nel 1961, diede luogo alla costruzione del famigerato muro.
Alberto Quattrocolo
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