Medgar Evers, una vita contro il razzismo
Medgar Evers non aveva ancora compiuto 38 anni, quel 12 giugno del 1963, quando una fucilata lo mise a tacere per sempre, colpendolo alla schiena, davanti a casa, mentre usciva dalla propria auto.
Chi lo assassinò non voleva più che parlasse, che lottasse, in modo non violento, per far cessare l’abominevole discriminazione razziale che imperversava negli Stati Uniti, soprattutto in quelli del Sud.
Medgar Wiley Evers era nato il 2 luglio 1925, a Decatur nel Mississippi, uno Stato in cui essere neri era un inferno. Significava essere non dei cittadini di serie B, ma dei non-cittadini, trattati come dei non-esseri umani Significava doversi rivolgere ai bianchi chiamandoli “Signore”, accettando di venire trattati da loro come bambini, quando erano ben disposti, o come cose o animali negli altri momenti. Significava non avere diritti, meno di quelli accordati ad un mulo. E come muli occorreva lavorare, venendo pagati con una retribuzione da muli.
Medgar Evers, come gli altri afro-americani del Sud, aveva assorbito dosi indigeribili di soprusi, di frustranti discriminazioni, di prepotenze e di emarginazione. E aveva reagito. Ma per il Ku Klux Klan reagire voleva dire morire, specie se si diventava uno stimolo per altri esseri umani discriminati per il colore della pelle o per la religione.
Volontario contro Hitler e Mussolini
Vent’anni prima di essere assassinato, nel 1943, l’appena diciottenne Medgar Evers e suo fratello Charlie si erano arruolati nell’esercito. Gli Stati Uniti erano entrati nella Seconda Guerra Mondiale contro l’impero nipponico, la Germania di Adolf Hitler e l’Italia di Benito Mussolini. Già nel gennaio del 1941, 11 mesi prima che, a seguito dell’attacco giapponese alla base di Pearl Harbour, gli USA entrassero nel conflitto, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt si era rivolto ai suoi cittadini esponendo quali dovessero essere, in un mondo ormai in guerra, le finalità che il loro Paese avrebbe dovuto perseguire a livello planetario. Era il discorso delle “Quattro libertà”: libertà di parola e di espressione, libertà di culto, libertà dal bisogno (sicurezza sociale) e libertà dalla paura. Solo lalibertà di culto era concessa agli afro-americani, anche se la schiavitù era stata abolita ottant’anni prima, da Abraham Lincoln. Ciononostante, credendo in quei principi, Medgar Evers era andato volontario a combattere oltreoceano, per restituire le quattro libertà e l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, ai popoli sottomessi dalla mostruosa tirannia nazi-fascista. Dopo l’addestramento era stato trasferito in Inghilterra, dove, con milioni di altri soldati, aveva atteso che si compisse il grande balzo oltre la Manica per dare luogo alla liberazione dell’Europa, invasa dalla Germania. Avvenuto lo sbarco in Normandia (che abbiamo ricordato su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, nel post Gli amici del 6 giugno), Medgar Evers aveva combattuto i tedeschi nella Francia occupata dalle truppe hitleriane. Per il servizio reso alla patria, era stato congedato con onore nel 1945, con il grado di sergente.
Volontario per i diritti civili dei neri d’America.
Nel 1948, si era iscritto alla Alcorn State University riuscendo a laurearsi nel ’52. Nel frattempo, la vigilia di Natale del 1951 aveva sposato Myrlie Beasley, con la quale si era trasferito a Mound Bayou. Qui Medgar Evers aveva conosciuto il Regional Council of Negro Leadership (RCNL), un’organizzazione finalizzata al riconoscimento dei diritti civili per gli afro-americani, basata sul criterio e sul metodo dell’auto-aiuto. L’adesione alla RCNL fu decisivo. Maturò un impegno politico che giorno dopo giorno divenne irriducibile. Infatti, dapprima partecipò all’organizzazione del boicottaggio delle stazioni di servizio in cui era negato ai neri l’accesso ai servizi igienici. Medgar Evers, in particolare, si occupò della distribuzione di adesivi con lo slogan “Non comprare la benzina dove non puoi utilizzare il bagno“. Quindi, tra il ’52 e il ’54, con suo fratello Charlie, prese parte alle conferenze annuali del RCNL. Poi, nel febbraio del 1954, la sua lotta fece un salto di qualità: quel mese, infatti, Medgar Evers fece richiesta di iscrizione alla Facoltà di legge dell’Università del Mississippi, sapendo che era preclusa agli studenti di colore. Così, quando la sua richiesta venne respinta, egli fece causa all’università. Il suo caso doveva andare a collegarsi ad altri simili, affinché la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) potesse servirsene nella campagna del 1954 contro la segregazione razziale, attraverso la sensibilizzazione dei cittadini dell’intera nazione sul livello di arretratezza culturale e morale del Sud. Con la sentenza del 17 maggio 1954, la Corte Suprema degli Stati Uniti diede ragione alla NAACP, riconoscendo l’incostituzionalità della segregazione razziale nelle scuole pubbliche. Grazie al suo impegno in tale vicenda, il 24 novembre di quell’anno, Medgar Evers fu nominato primo segretario locale della NAACP.
Medgar Evers e l’omicidio di Emmett Till
Fu in tale veste che Medgar Evers, senza alcuna esitazione, si diede da fare per Emmett Till, un giovane nero di Chicago, trasferitosi nel Mississipi, che era stato rapito da due bianchi, intenzionati a punirlo per aver osato parlare con una ragazza bianca. Il 28 agosto del 1955, questo ragazzino di 14 anni, dopo essere stato torturato (gli cavarono perfino un occhio) venne assassinato a colpi di arma da fuoco, avvolto in un ferro spinato e gettato nel fiume. Il giorno prima Medgar Evers e un suo compagno, Amzie Moore, travestitisi da raccoglitori di cotone, andarono nei campi per ottenere delle informazioni utili a rintracciare quel quattordicenne venuto da Chicago.
Emmett Till fu sepolto il 6 settembre. Diciassette giorni dopo una giuria, composta da 12 uomini bianchi, assolse i due imputati, bianchi, a dispetto degli inconfutabili elementi probatori portati contro di essi. Il verdetto fu deciso in appena 67 minuti, anzi, di meno, visto che uno dei giurati spiegò che, per tirarla un po’ più lunga, così da far sembrare vera la discussione, avevano fatto una pausa per bersi una bibita.
John Kennedy, Medgar Evers e la lotta dei neri
Medgar Evers stava diventando un leader della lotta dei neri, anche se conosceva perfettamente i rischi cui si esponeva chi attirava su di sé l’attenzione dei razzisti più violenti. Ma il suo attivismo non conosceva cedimenti né soste. Partecipò, quindi, alla campagna di boicottaggio contro quei commercianti che vendevano i loro prodotti solo a clienti bianchi. Inoltre contribuì attivamente alla vittoriosa battaglia grazie alla quale, nel 1962, l’Università del Mississippi dovette ammettere tra i propri studenti, James Meredith il primo studente di colore di quell’ateneo.
Da poco più di un anno era diventato presidente degli Stati Uniti il democratico John F. Kennedy (lo abbiamo ricordato nel post L’8 novembre la fiaccola passò a John Kennedy, «un idealista senza illusioni»), ma ancora le cose non accennavano a cambiare. Nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, JFK aveva affermato:
«la negazione dei diritti costituzionali ad alcuni dei nostri concittadini americani, a causa della razza – alle urne e altrove -, disturba la coscienza nazionale e ci sottopone alla critica dell’opinione pubblica mondiale, secondo cui la nostra democrazia non è all’altezza delle alte promesse rappresentate dalla nostra eredità».
Per quanto il presidente fosse consapevole del permanere di una condizione di intollerabile e criminale ingiustizia, l’attività della sua amministrazione non riusciva ad essere risolutiva. Pur avendo ottenuto il voto dei neri, infatti, per tutto il 1961 si era trovato a rinviare la promulgazione di una legislazione sui diritti civili, dato che i conservatori sudisti (democratici e repubblicani) controllavano di fatto l’assemblea congressuale. A Kennedy era toccato riconoscere che proporre una qualsiasi legge sui diritti civili nel 1961 sarebbe stato del tutto inutile, risolvendosi con un sicuro fallimento. In seguito arrivò a concludere:
«i sudisti sono senza speranza, non faranno mai riforme. Quelli del Sud in 100 anni non hanno fatto niente per l’integrazione e quando interviene uno da fuori gli dicono di togliersi di mezzo perché se ne occuperanno da soli, cosa che non fanno. È arrivato il momento di preoccuparsi meno della “sensibilità” dei sudisti».
Un’escalation di intimidazioni contro Medgar Evers fino all’assassinio
La “sensibilità” dei sudisti pareva essere in quegli anni quanto mai “sensibile”. E quella sensibilità era tale da portarli ad agire con una certa aggressività. Anche contro Medgar Evers , la cui casa, infatti, fu colpita con una bottiglia molotov il 28 maggio del 1963. Poi, probabilmente, convinti che non avesse ancora deciso di smettere di urtare la loro tanto provata sensibilità, il 7 giugno tentarono di investirlo con un’auto, mentre era quasi giunto sulla porta dell’ufficio del NAACP.
Quattro giorni dopo, l’11 di giugno il presidente intervenne contro il governatore dell’Alabama, il democratico e segregazionista George Wallace, che aveva fatto serrare la porta d’ingresso dell’università dell’Alabama per impedire a due studenti afro-americani, Vivian Malone Jones e James Alexander Hood, di poterla frequentare. Quel giorno segnò un’indiscutibile vittoria di Kennedy, che riuscì a far comprendere agli americani come quella di Wallace non fosse nient’altro che una presa di posizione ostinata e ottusa.
Quella sera stessa Kennedy pronunciò lo storico discorso alla nazione sui diritti civili, che fu trasmesso in contemporanea alla televisione e alla radio nazionali. In esso spiegò che intendeva far approvare una legislazione sui diritti civili per assicurare un accesso paritario alle scuole pubbliche e ad altre strutture, una più equa amministrazione della giustizia e una maggior protezione del diritto di voto.
Il giorno dopo, il 12 giugno 1963, mentre rientrava in casa dopo aver partecipato ad una riunione con gli avvocati del NAACP, un colpo di fucile raggiunse Medgar Evers alla schiena. Morì in ospedale cinquanta minuti dopo.
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