Quel discorso dell’Ascensione che andava preso sul serio
Nel tristemente celebre discorso dell’Ascensione (26 maggio 1927), Mussolini disse:
«L’opposizione non è necessaria al funzionamento di un sano regime politico. L’opposizione è stolta, superflua in un regime totalitario, com’è il regime fascista».
Non a caso un anno dopo, il 17 maggio 1928 entrò in vigore una nuova riforma elettorale, con la quale gli elettori erano chiamati unicamente a dire “SI”o”NO”ad una lista già decisa dal Gran Consiglio del Fascismo.
Le elezioni, rese di fatto inutili, furono del tutto abolite nel 1939, con l’istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, i cui membri erano nominati dal Governo, mentre il Senato rimaneva di nomina regia.
Come si era arrivati al discorso dell’Ascensione? Un passo dopo l’altro. Neanche troppo inavvertitamente, tranne per chi non aveva voluto avvedersene. Per stoltezza, ignoranza, interesse, ottusità… E per tutte queste cose – e altre ancora – insieme.
Il fascismo tra rivoluzione e restaurazione dell’ordine
Benito Mussolini era al vertice del governo ormai da quasi cinque anni quando pronunciò il discorso dell’Ascensione. Alla fine della prima guerra mondiale, infatti, si era affacciato sulla scena come leader di una forza politica nuova. A capo di questa, da un lato, aveva saputo cavalcare efficacemente il grave disagio sociale nonché la diffusa delusione per i risultati dei trattati di pace e, dall’altro, aveva saputo proporsi come bastione rispetto alla crescita di consensi delle organizzazioni socialiste. Il nascente fascismo, inoltre, aveva saputo giocare abilmente la carta della propria incerta definizione ideologica, potendo presentarsi come insieme di tendenze e convincimenti, che pur contrastanti, erano capaci di procurare approvazione e sostegno in vasti settori della borghesia media e piccola, quel ceto, cioè, che nel dopoguerra riteneva di aver pagato pesantissimi costi economici e di aver subito una forte perdita di peso politico. A questa classe sociale il fascismo si presentava come la sola forza capace, contestualmente, di procurare cambiamenti radicali e di ripristinare l’ordine indebolito dai movimenti di sinistra e dalla conflittualità sociale, emersi prepotentemente nel dopoguerra. che era stato sconvolto dal conflitto (si poneva nello stesso tempo come rivoluzionario e restauratore dell’ordine. La combinazione di questi e altri fattori, aveva fatto sì che, dopo la marcia su Roma, il 31 ottobre del 1922, in conformità ai meccanismi istituzionali, conformi alla costituzione vigente, si insediasse il primi governo Mussolini (su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, lo abbiamo ricordato nel post Il 31 ottobre 1922 si insediò il primo governo Mussolini). Considerato un argine utile all’avanzata del movimento operaio e contadino, il fascismo aveva trovato il sostegno non soltanto di una consistente parte della borghesia industriale, dei grandi proprietari terrieri, di molti degli organismi statali e dei massimi vertici dello Stato, incluso il re Vittorio Emanuele III, che non ne avevano bloccato le azioni illegali e violente, e di una parte della classe politica liberale, convinta di utilizzarlo per ostacolare l’avanzata dei partiti popolari e poi di neutralizzarlo o normalizzarlo.
Dal regime liberale allo Stato fascista
Nominato dal re Presidente Del Consiglio, Mussolini aveva subito avviato una serie di riforme finalizzate ad assicurare a sé e al suo partito quella salda e definitiva presa del potere che nel giro di pochi anni gli avrebbe consentito di dire, senza timore di smentita, nel discorso dell’Ascensione che nel regime fascista non vi era alcuno spazio pensabile per un’opposizione (si veda il post 3 dicembre: la violenza fascista ottiene i pieni poteri). Con le elezioni del 1924, contrassegnate da una violenza fascista, che ormai era diventata violenza di Stato, Mussolini aveva assicurato 374 seggi ai suoi fascisti. A quel punto la strada era spianata, e Mussolini poteva imporre le “leggi fascistissime” (che abbiamo ricordato qui), grazie alle quali, non soltanto il Presidente del Consiglio diventava Capo del Governo e a quest’ultima era concessa un’ampia facoltà di emanare decreti, presentabili per la conversione in ben 2 anni, ma si dava veste giuridica ad ogni opposizione antifascista a livello politico, sindacale, sociale, culturale, mediatico ed intellettuale. Venivano soppresse, infatti, libertà democratiche come libertà di stampa e di riunione, mentre erano istituiti, accanto la confino di polizia, il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e l’O.V.R.A., vale a dire la polizia politica. Questi ultimi servivano a garantire l’effettività della messa fuori legge di tutti i partiti e tutte le organizzazioni politiche, tranne il partito fascista, e l’irrogazione delle lunghe pene detentive previste per chi ricostituiva le organizzazioni disciolte o si affiliava ad esse. Inoltre, la Camera dei Deputati era stata sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, la quale era composta solo da fascisti.
In breve, Benito Mussolini, che aveva potuto fare politica e poi diventare Presidente del Consiglio dei Ministri grazie ai diritti e alle libertà democratiche assicurate dal sistema costituzionale del regime liberale, appena ottenuto il potere, aveva concentrato tutti i suoi sforzi per togliere agli italiani tutti i diritti che costituivano i pilastri degli stati liberali.
Gli anti-fascisti e gli a-fascisti nel discorso dell’Ascensione
D’altra parte, già nel febbraio del 1922, quindi otto mesi prima della marcia su Roma, aveva apertamente dichiarato il suo proposito di conseguire un potere assoluto.
«La giustizia democratica del suffragio universale è la più clamorosa delle ingiustizie;il governo di tutti […] conduce in realtà al governo di nessuno», aveva affermato Mussolini, rivelando le aspirazioni totalitarie che caratterizzavano il movimento fascista fin dai suoi albori.
Queste affermazioni, che Mussolini aveva potuto pronunciare grazie ai diritti politici assicurati dal regime liberale, erano esplicitamente richiamate nel suo discorso dell’Ascensione del 26 maggio del 1927. Infatti, quel giorno davanti ad una Camera dei deputati ormai tutta fascistizzata, mentre iniziava la discussione generale del disegno di legge sullo “Stato di previsione della spesa del Ministero dell’Interno per l’esercizio finanziario dal 1° giugno 1927 al 30 giugno 1928”, Mussolini delineò, assai efficacemente, la sua concezione dello Stato e della politica.
«Quindi, nessuno speri che, dopo questo discorso, si vedranno dei giornalisti antifascisti, no: o che si permetterà la resurrezione di gruppi antifascisti: neppure. Si ritorna al mio discorso tenuto prima della rivoluzione in un piccolo circolo rionale di Milano, l’ “Antonio Sciesa”»
Per prevenire il rischio che qualcuno potesse farsi ancora qualche illusione, Mussolini aggiunse:
«In Italia non c’è posto per gli antifascisti; c’è posto solo per i fascisti e per gli a-fascisti, quando siano dei cittadini probi ed esemplari».
Gli anti-fascisti si erano già accorti da alcuni anni quanto andasse preso sul serio il divieto di non essere conformi al fascismo, viste le violenza squadristiche e poliziesche subite e le condanne erogate.
Militarismo, maschilismo e razzismo nel discorso dell’Ascensione
Nel discorso dell’Ascensione Mussolini, però, non si era limitato ai temi sopra indicati. Tra i molti argomenti affrontati vi erano anche quelli relativi alla politica fascista sulla maternità e l’infanzia. Una politica che rientrava nell’ambito di un progetto più ampio avente lo scopo di riportare l’Italia ai fasti della Roma imperiale, cioè di restituirle il ruolo centrale che, secondo Mussolini, ad essa spettava nello scacchiere internazionale. Il militarismo e il razzismo che caratterizzano l’ideologia fascista, nonché l’aggressiva politica imperialistica del regime, che già si dispiegava in Libia e che presto si sarebbe scatenata in Etiopia (abbiamo dedicato numerosi post ai crimini contro l’umanità commessi dal regime in entrambe le colonie, su Corsi e Ricorsi), erano strettamente connessi infatti al progetto di tipo antropologico, di rigenerare la popolazione italiana, creando un «uomo nuovo fascista», adatto a dominare le altre «razze».
Non per caso il 5 settembre del 1934, un anno prima dell’invasione fascista dell’Etiopia, su La Stampa, venne pubblicato un suo articolo intitolato “La razza bianca muore?” nel quale affermava che per «l’Italia e per gli altri Paesi di razza bianca è una questione di vita o di morte. Si tratta di sapere se davanti al progredire in numero e in espansione delle razze gialle e nere, la civiltà dell’uomo bianco sia destinata a perire». E già in precedenza aveva dato voce al suo timore per quel che riteneva essere l’imminente decadimento demografico della «intera razza bianca, la razza dell’Occidente, che può venir sommersa dalle altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra. Negri e gialli sono dunque alle porte?».
«La battaglia demografica»
Il discorso dell’Ascensione era alquanto esplicito in questo senso. Partendo dalla premessa che fosse compito dello Stato occuparsi della salute della sua popolazione, Mussolini si permetteva di assimilare il corpo sociale e i corpi degli italiani e la salute ‘morale’ e quella fisica. Dopo il trionfalistico elenco dei risultati ottenuti con l’eliminazione delle “infettive” opposizioni politiche, osservava, tuttavia, che lo stato di salute degli italiani non è ancora soddisfacente. Secondo lui, oltre ai problemi sanitari, vi erano altri e ben più gravi problemi morali che rendevano malsana la «razza italiana»: le nefaste influenze di certe culture straniere liberali e «decadenti» e, ovviamente del bolscevismo. Tra le colpe delle culture liberali, vi era quella – secondo Mussolini – di aver posto in secondo piano il ruolo della famiglia, di aver tollerato l’omosessualità e di aver parzialmente dato alla donna il diritto di autodeterminazione, in materia di procreazione e la possibilità di dedicarsi ad attività extrafamiliari, prettamente “maschili”, come il lavoro fuori casa. Per rettificare tali “deviazioni” e anomalie importate dall’estero nel discorso dell’Ascensione il duce lanciò ufficialmente la cosiddetta «battaglia demografica», per procurare un aumento forzato della popolazione.
La donna e la famiglia fascista nello Stato fascista
Fu quindi introdotta la tassa sul celibato (i celibi vennero definiti i «disertori della paternità») e sul matrimonio tardivo, mentre già dal 1925 era un crimine diffondere informazioni sui metodi contraccettivi e l’aborto e vendere farmaci contraccettivi. Poi il Codice Rocco del 1930 incluse la contraccezione e l’aborto tra i crimini «contro l’integrità della stirpe». Intanto si interveniva sulle norme relative al mercato del lavoro in modo che le donne fossero gradualmente escluse sia dal settore pubblico che privato.
Si annunciava, quindi, nel discorso dell’Ascensione una trasformazione radicale rispetto al passato, cioè una degenerazione. Infatti, si ponevano le basi per la cancellazione del confine tra la sfera pubblica e quella privata, trasformando, legislativamente, la famiglia in un’istituzione statale, sociale e politica e rendendo la riproduzione un dovere verso lo Stato – e la mancata riproduzione in un reato.
Del resto in quel discorso dell’Ascensione Mussolini disse anche:
«se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia».
Per portare a compimento la rivoluzione fascista, infatti, occorreva generare dei figli. Dei figli che andassero come soldati al fronte o nelle colonie. E dal giugno del 1940 ne gettò moltissimi, di figli italiani, nel macello della Seconda Guerra Mondiale, accanto alle truppe hitleriane. Li spedì ad ammazzare e a farsi ammazzare, dopo aver cercato di forgiare la tempra fascista del «nuovo italiano» nelle criminali imprese coloniali della Libia e dell’Africa Orientale, nonché nella guerra civile spagnola, al fianco delle forze falangiste e naziste.
Alberto Quattrocolo
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