La dignità di Toscanini contro la violenza fascista
La sera del 14 maggio del 1931, Arturo Toscanini, allora cinquantacinquenne, al Teatro Comunale di Bologna, si rifiutò di eseguire gli inni “Giovinezza” e “Marcia Reale”. Sapeva cosa rischiava, ma com’era sua abitudine, non era disposto a negoziare, a fare baratti, tra la propria dignità e la prepotenza del regime fascista.
L’opposizione di Toscanini al regime fascista
Arturo Toscanini era giù una celebrità mondiale. E per Benito Mussolini, giunto quasi al nono anno dalla presa del potere (abbiamo ricordato in un post di Corsi e Ricorsi come, a seguito della marcia su Roma, il 31 ottobre del 1922 Mussolini avesse ottenuto dal re Vittorio Emanuele III l’incarico di Presidente del Consiglio), il non averlo schierato dalla propria parte era peggio che un’onta. Gli creava un non trascurabile imbarazzo politico, per la fama internazionale di Toscanini e il rispetto e l’ammirazione che ovunque lo accompagnavano. Inoltre, quel direttore costituiva uno spina nel fianco rispetto, sia all’immagine di un popolo unanimemente fascista, che la propaganda del regime cercava di proiettare in patria e all’estero, sia alla soggezione che intendeva incutere su tutti gli attuali e futuri dissidenti. Si potevano far assassinare, bastonare per strada, sbattere in carcere o al confino i politici antifascisti, per quanto fossero noti e apprezzati anche all’estero. Si potevano azzittire con l’intimidazione, l’olio di ricino e la violenza gli altri meno noti oppositori, ma perseguire legalmente Toscanini era una faccenda politicamente un po’ più complicata. Però, per Mussolini era anche insopportabile avere un tale oppositore esplicito alla fascistizzazione sia dello Stato che della società, che stava attuando, fin dal 3 dicembre del ’22, cioè dall’approvazione della legge che gli garantiva i pieni poteri.
L’opera di fascistizzazione dell’Italia
Dopo aver cancellato ogni briciola di libertà di stampa, di riunione, di associazione e di manifestazione del pensiero, dopo aver eliminato ogni rappresentanza sindacale al di fuori di quella fascista, dopo aver eliminato la separazione dei poteri, assoggettando il potere legislativo a quello del governo, avendo reso questo di fatto un braccio esecutivo del Partito Nazionale Fascista, l’unico partito esistente (si veda su questa rubrica il post Verso uno Stato etico, religioso e sociale), avendo sciolto e dichiarato illegali tutti gli altri, avendo istituito dei tribunali speciali e una polizia segreta per perseguitare gli oppositori (abbiamo ricordato queste involuzioni in diversi post, tra i quali quello su Le prime leggi fascistissime), Mussolini era riuscito a sradicare quasi ogni forma di dissenso. Poi, con un’opera minuziosa, aveva proseguito la soppressione dei minuscoli spazi di libertà residui. Il decreto legge del 24 dicembre del 1925 aveva disposto la rimozione dal servizio per tutti i funzionari statali (quindi anche gli insegnanti) i quali non dessero «per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio piena garanzia di un fedele adempimento dei propri doveri o si ponessero in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo». Inoltre, per cercare di azzittire anche quei dissidenti che, per non finire in galera o al confino, erano espatriati, con un’altra norma del periodo era stata inflitta la perdita della cittadinanza italiana per chi all’estero commetteva o concorreva a commettere fatti diretti a turbare l’ordine pubblico nel Regno, o volti alla diminuzione del buon nome o del prestigio dell’Italia, anche se il fatto non costituiva reato. Del resto il 26 maggio 1927 alla Camera, Mussolini aveva pronunciato un discorso destinato a fare (“tristemente”) epoca.
«In Italia non c’è posto per gli antifascisti; c’è posto solo per i fascisti, e per gli a-fascisti quando siano cittadini probi ed esemplari».
Da candidato per la lista dei fasci di combattimento ad oppositore del fascismo
Ma Toscanini non era un a-fascista. Era un anti-fascista dichiarato da più di 10 anni.
Figlio di un sarto garibaldino (era nato a Parma, il 25 marzo 1867), Toscanini era un patriota di idee socialiste e, quando era già famoso su entrambe le sponde dell’Atlantico, si era schierato per l’intervento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, quindi aveva inizialmente aderito al programma fascista (il programma di San Sepolcro). Sicché nel novembre 1919 si era candidato alle elezioni politiche, nel collegio di Milano, nella lista dei fasci di combattimento, non venendo eletto. Realizzando, poi, che il fascismo era in realtà una forza reazionaria di estrema destra, ne aveva preso le distanze. Ciononostante, nel 1920, aveva appoggiato l’impresa dannunziana di Fiume. Poi, però, si era andato dissociando anche dal nazionalismo, divenendo un forte oppositore di Mussolini ben prima della marcia su Roma.
L’antifascismo di Toscanini e la reazione del regime
Grazie all’enorme prestigio internazionale di cui Arturo Toscanini godeva, la sua aperta critica al regime non gli impedì di mantenere l’Orchestra del Teatro alla Scala sostanzialmente autonoma fino al 1929. Ma ciò non significava che egli fosse sceso a compromessi con i fascisti. Ad esempio si era rifiutato di dirigere la prima di “Turandot” del suo amico Giacomo Puccini, se Mussolini fosse stato presente in sala. Naturalmente gli sgherri del duce non erano rimasti inattivi di fronte a questi atteggiamenti di aperta ostilità. In primo luogo, tentarono di ridurre il suo prestigio, imbastendo una campagna di stampa intesa a delegittimarlo. Subì, così, attacchi sia sul piano artistico che su quello personale. Inoltre le autorità si misero a spiarlo e ad intercettargli a tutto spiano le telefonate e la corrispondenza, premurandosi anche di ritirare a lui e ai suoi famigliari, sia pure temporaneamente, il passaporto.
L’aggressione del 14 maggio 1931
Il 14 maggio 1931, Toscanini doveva dirigere al Teatro Comunale di Bologna un concerto in commemorazione di Giuseppe Martucci. Ma, come abbiamo anticipato, si era rifiutato da subito di eseguire come introduzione “Giovinezza” e “Marcia Reale”, in presenza di figure di spicco del regime come Leandro Arpinati e Costanzo Ciano, nonché di vari gerarchi. Vista la sua irremovibilità, era stata tolta ogni ufficialità al concerto, facendo venire meno la necessità di esecuzione di quegli inni. Ma quando Toscanini, giunse in macchina davanti al teatro con la figlia Wally, fu circondato e aggredito da un gruppo di fascisti. Violentemente schiaffeggiato sulla guancia sinistra e tempestato di pugni sul viso e sul collo dalle camicie nere, venne difeso dal suo autista. Costui riuscì a spingerlo in auto e ad all0ntanarsi. Ma le camicie nere si presentarono al suo hotel, urlandogli di andarsene.
Verso le 2 di notte, dopo aver inviato un telegramma di protesta a Mussolini, senza neppure farsi vistare da un medico, se ne andò a Milano. E da qui, Toscanini si recò a New York.
«Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità» (Albert Einstein).
Mentre il duce aggiungeva tasselli alla fascistizzazione dell’Italia a tutti i livelli, introducendo anche quell’obbligo del giuramento dei professori universitari, cui soltanto 12 opposero un rifiuto su 1.200 (lo abbiamo ricordato qui), Toscanini, continuava a dirigere dei concerti in Europa (ma non più in Italia, dove tornerà soltanto alla fine della Seconda guerra mondiale). Nel 1933, però, quando il nazismo salì al potere, si rifiutò di avere rapporti anche con la Germania e respinse energicamente un invito personale di Adolf Hitler a quello che sarebbe stato il suo terzo Festival di Bayreuth. Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania, abbandonò anche il Festival di Salisburgo. E, quando il governo italiano avviò una politica antisemita, con le leggi razziali del 1938, Toscanini fece infuriare Mussolini, avendole definite, in una conversazione telefonica intercettata, «roba da Medioevo». Nel ’39, anche a causa della crescente e dilagante persecuzione razziale, si stabilì negli Stati Uniti d’America. Qui continuò a usare la musica per sensibilizzare alla lotta contro il fascismo e il nazismo, offrendo sostegno economico e morale a coloro che cercavano rifugio in America, fossero ebrei o oppositori politici.
Quando, dopo l’attacco giapponese, del 7 dicembre 1941, a Pearl Harbour, gli USA entrarono in guerra, Toscanini decise che avrebbe diretto esclusivamente concerti di beneficenza, di raccolta fondi per lo sforzo bellico e la Croce Rossa e a favore delle forze armate statunitensi.
Il 13 settembre 1943, su Life fu pubblicato un suo lungo articolo, intitolato “Appello al Popolo d’America”. L’articolo prendeva spunto da una precedente lettera inviata al presidente Franklin Delano Roosevelt,
in cui dopo aver scritto «Le assicuro, caro presidente, che persevero nella causa della libertà, la cosa più bella cui aspira l’umanità», proseguiva chiedendo che gli Alleati permettessero «ai nostri volontari di combattere contro gli odiati nazisti sotto la bandiera italiana e in condizioni sostanzialmente simili a quelle dei combattenti della Francia Libera . Solo in questo modo noi italiani possiamo concepire la resa incondizionata delle nostre forze armate senza ledere il nostro senso dell’onore».
Albert Einstein gli scrisse:
«Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità. Sento pure la più profonda gratitudine per quanto avete fatto sperare con la vostra opera di promozione di valori, inestimabile, per la nuova Orchestra di Palestina di prossima costituzione. Il fatto che esista un simile uomo nel mio tempo compensa molte delle delusioni che si è continuamente costretti a subire».
Alberto Quattrocolo
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