Malcom X assassinato a New York
Nessuno può darti la libertà. Nessuno può darti l’uguaglianza o la giustizia o qualsiasi altra cosa. Se sei un uomo, te le prendi.
La X che campeggia in fondo al suo nome (così come la frase in alto) ben rappresenta l’obiettivo che si diede nella vita: liberarsi dal giogo impostogli dalla nascita. Malcom nacque infatti all’interno di una famiglia di cui lui stesso riconosceva le origini in una realtà di schiavitù:
Mio padre non conosceva il suo vero cognome. Lo ricevette da suo nonno che a sua volta lo ricevette da suo nonno che era uno schiavo e che ricevette il cognome dal suo padrone.
L’ascendenza priva di libertà, forse unita a una storia famigliare molto difficile (il padre mancò quando lui aveva sei anni, probabilmente assassinato da un gruppo di suprematisti bianchi; la madre fu ricoverata in un ospedale psichiatrico; i figli vennero divisi tra famiglie affidatarie e orfanotrofi), gli fornirono dei buoni motivi per volersi riscattare. Scelse, perciò, di sostituire il proprio cognome con la sola lettera X, per segnare un netto stacco da ciò che era successo prima.
Questo passaggio arrivò dopo una gioventù piuttosto burrascosa, che gli costò anche una condanna a otto anni di reclusione per dei furti in appartamento. Seppe però fare tesoro dell’esperienza nel penitenziario, poiché qui si avvicinò alla Nazione Islamica, un gruppo di suprematisti neri che ne predicava l’emancipazione, attraverso un’interpretazione originale della religione islamica.
Scontata la pena, iniziò il periodo di militanza nel movimento, che, anche grazie al carisma di Malcom, vide il numero dei propri seguaci salire vertiginosamente. In questo periodo espresse posizioni particolarmente radicali, che lo spinsero a dire che i neri degli Stati Uniti dovevano lottare per i loro diritti “con tutti i mezzi necessari”.
Proprio per quanto riguarda le modalità dell’attivismo si pose in netto contrasto con un altro grande leader dei diritti civili: Martin Luther King. La non-violenza fu oggetto di dure critiche, al pari della Marcia su Washington, l’evento durante il quale King pronunciò il celeberrimo discorso I have a dream:
Fatta da bianchi davanti alla statua di un presidente morto da cento anni e al quale, quando era vivo, noi non piacevamo.
Se il pastore protestante di Atlanta tentò addirittura di instaurare un dialogo con il Presidente Kennedy, l’attivista islamico di Omaha riteneva che tutti i bianchi fossero intrinsecamente malvagi, o comunque colpevoli dell’oppressione dei neri.
Paradossalmente, o forse no, fu proprio dopo aver abbandonato la Nazione Islamica che avvenne un cambiamento di prospettiva. Il successivo pellegrinaggio alla Mecca costituì un passaggio significativo:
In passato, è vero, ho condannato in modo generale tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore; perché adesso so che alcuni bianchi sono davvero sinceri, che alcuni sono davvero capaci di essere fraterni con un nero.
Una rinnovata fiducia nei propri principi religiosi gli permise di ricominciare con nuova motivazione l’attività di difesa dei diritti umani. Sfortunatamente, questo periodo ebbe vita breve. Il 21 febbraio 1965, venne assassinato in circostanze mai chiarite durante un suo comizio ad Harlem, New York. Nel medesimo quartiere ebbe luogo il funerale, a cui parteciparono 1.500.000 persone.
Alessio Gaggero
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