Mandela viene rilasciato dopo 27 anni
Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!
Un terzo della propria vita passato in carcere, ma non perse mai la forza. Né quella di sopravvivere, né quella di incitare il proprio popolo a riscattarsi dalle terribili condizioni imposte. Le parole che aprono l’articolo di oggi, infatti, le scrisse nel 1980, quando era ancora nel carcere di Robben Island.
Madiba fu incarcerato il 12 giugno 1964, poiché ritenuto colpevole di sabotaggio e alto tradimento (cioè di aver cospirato per aver cercato di aiutare gli altri Paesi a invadere il Sudafrica), e, per questo, condannato all’ergastolo. L’isola di fronte a Città del Capo non fu certo accogliente: celle minuscole, visite rare e brevi (a Mandela ne veniva concessa una ogni sei mesi), cibo scarso, pessimo, sempre uguale; il lavoro forzato era tanto estenuante quanto degradante (spaccare pietre nel cortile, scavare in una cava di calce o raccogliere alghe fra gli scogli).
Nondimeno, il penitenziario era conosciuto fra i militanti antiapartheid come ‘L’università‘: lo stesso Mandela si laureò in giurisprudenza tramite un ateneo londinese. Non gli fu tuttavia concesso di recarsi al funerale della madre, morta nel 1968, né a quello del figlio Thembi, deceduto in un incidente stradale l’anno seguente.
Nel 1982 Madiba fu trasferito nel carcere di Pollsmoor, sulla terraferma, a sud-est della capitale. Qui le condizioni erano più umane, tanto che gli fu concesso di riabbracciare la moglie Winnie, cosa che non faceva da 21 anni. Il penitenziario fu anche teatro dell’inizio della negoziazione tra gli schieramenti politici: nel 1985, il presidente Botha offrì la libertà al detenuto, che non accettò il compresso propostogli. In quegli anni subì anche un’operazione alla prostata e un ricovero per tubercolosi.
L’ultimo periodo di carcerazione fu più agevole dei precedenti: lo stesso Mandela chiamava il cottage, dove era stato trasferito alla fine del 1988, “la gabbia dorata“, che rende bene la pesante contraddizione in cui era costretto. Il negoziato che portò alla pace ebbe luogo proprio in quella gabbia.
La liberazione definitiva avvenne, appunto, l’undici febbraio 1990, ventisei anni dopo la condanna. Ventisei anni dopo aver pronunciato queste parole:
Più potente della paura per l’inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni, in questo paese… non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa corte sono i membri del governo.
Alessio Gaggero
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