Morte di Lenin
Come potevamo credere che Lenin potesse ammalarsi e morire esattamente come un uomo normale?
(Lev Trockij)
Il capo, venerato quasi alla stregua di un dio, subì il primo duro colpo nel maggio del ’22, quando un ictus lo costrinse a letto, incapace di proferir parola. Più di due anni di sofferenze lo dividevano dal sollievo del trapasso. Per chi aveva così a lungo guidato milioni di uomini, dev’essere stato un vero inferno non riuscire a risolvere nemmeno un problema di terza elementare, come 12 x 7.
Durante l’estate seguente, il Politburo decise di tenere Lenin lontano dalla vita politica, anche su consiglio dei suoi medici curanti, e Stalin, puntando alla successione, se ne fece garante. Quando venne a conoscenza della trasgressione, il futuro capo supremo dell’URSS attaccò ferocemente Nadezhda Krupskaya, la moglie, al telefono: era lei a tenerlo informato sugli sviluppi e ad aiutarlo a scrivere lettere ai membri del partito.
Ciò avvenne il 23 dicembre, pochi giorni dopo il secondo ictus. Per questo, probabilmente, Krupskaya non rivelò al marito toni e contenuti della telefonata fino al marzo seguente. Il giorno in cui ne venne a conoscenza, i medici, ignari della situazione, registrarono un netto peggioramento delle sue condizioni.
In questo periodo prese forma il cosiddetto testamento di Lenin: lettere in cui esprimeva giudizi molto diretti sui vari membri del partito, Stalin e Trockij in primis. Sebbene molto critico nei confronti del primo, non risparmiò commenti al secondo, che, per questo, non si mosse per rendere pubblico lo scritto che, in fin dei conti, lo preferiva al rivale. Col senno di poi, probabilmente una scelta non azzeccata.
Il 9 marzo 1923 calò la scure del terzo ictus, che gli paralizzò la parte destra del corpo. Soprattutto, aprì una profonda frattura tra il leader e il suo seguito: anche i membri più importanti smisero di fargli visita, forse perché non potevano reggere la vista della propria guida in quelle condizioni:
[…] adagiato sulla poltrona, avvolto in una coperta e guardando verso di noi con il sorriso storto, impotente e infantile di un uomo nella sua seconda infanzia, Lenin poteva servire soltanto come illustrazione della sua malattia e non certo come modello per un ritratto.
Dunque, passò l’ultimo anno di vita in completo isolamento, eccezion fatta per una visita a Mosca, in un periodo in cui le condizioni lo permettevano. Morì il 21 gennaio del 1924, stupendo i medici per la resistenza dimostrata. Morì a 53 anni, quando ancora avrebbe potuto dare molto al suo paese, come ricorda, pur in modo ambivalente, Winston Churchill:
La più grande sfortuna della Russia è stata la nascita di Lenin. La seconda è stata la sua morte.
Alessio Gaggero
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