Ricordando Sal Mineo: lassù qualcuno lo ama

Avrebbe compiuto ottantun’anni oggi, 10 gennaio, Salvatore Mineo Jr., conosciuto dal pubblico cinematografico e teatrale come Sal Mineo. Fu un attore eccezionale, tanto al teatro che sugli schermi cinematografici e televisivi, ma una parte della sua notorietà è dovuta al fatto di essere stato uno dei primi attori di Hollywood a dichiarare pubblicamente la propria bisessualità.

Un angelo con la faccia sporca

Era nato il 10 gennaio del ’39, nel Bronx. Un borgo, in realtà, una città di un milione e mezzo di abitanti, dentro la città più popolosa degli Stati Uniti. Una “città”, che, non del tutto a torto, è soprattutto sinonimo di delinquenza, degrado, emarginazione, disagio sociale. E in condizioni decisamente non  agiate viveva la famiglia siciliana di Sal Mineo. La sua infanzia sembrava una di quelle raccontate nei gangster film della Warner Bros degli anni Trenta, interpretati dal gruppo dei giovanissimi teppisti Dead End Kids, come gli Angeli con la faccia sporca (1938, di Micheal Curtiz). Terzo di quattro figli, con un padre becchino e una madre casalinga, a soli 8 anni, nel ’47, era stato espulso  dalla scuola di gesuiti Christopher Columbus di New York. Due anni dopo, nel 1949, espulso da altre scuole del quartiere, ormai inserito nella gang minorile del Bronx, fu arrestato per rapina, insieme agli altri membri della banda. La madre, infatti, per tenerlo lontano dalla “cattive compagnie”, lo aveva iscritto ad una scuola di danza. Ma ciò gli aveva procurato un bel po’ di guai nel quartiere.

L’etichetta di sissy (“checca“)

Era stato marchiato, neanche decenne, come “sissy” (checca) dai bulli del quartiere. Sal per strapparsi il marchio da dosso si era impegnato nel football, diventando un piccole campione. Sfidava i bulli sui campi da gioco, ma ancora non bastava. Così, per ottenere il riconoscimento da parte del gruppo, come avrebbe fato uno dei Dead End Kidsderubò l’agenzia di pompe funebri dove lavorava il padre, e regalò i 5.000 dollari sottratti proprio a coloro che lo facevano sentire inferiore.

Un’infanzia come John Garfield

Non essendo perseguibile per via dell’età, il magistrato gli impose di scegliere tra due alternative: essere rinchiuso in un collegio o iscriversi ad una scuola per aspiranti attori. Scelse la seconda. E si innamorò della recitazione, rivelando un talento non comune, e scoprendo di avere avuto un’infanzia quasi sovrapponibile a quella di un divo che egli, come milioni di altri spettatori, amava moltissimo e con cui un po’ si identificava, John Garfield (ebreo di origini ucraine, di cui abbiamo ricordato la vita nel post John Garfield “eroe proletario” distrutto dalla paranoia dominante). Cresciuto anch’egli nelle bande giovanili del Bronx, Garfield fu la prima star fieramente proletaria e ribelle di Hollywood, ma per il suo impegno politico e sociale fu così distrutto dalla caccia alle streghe anticomunista da morirne a soli 39 anni nel 1952. Ma John Garfield, il precursore di Marlon Brando che lo ammirava immensamente, era anche tra gli attori preferiti di James Dean, di Paul Newman, di John Cassavetes e di Steve McQueen. Un altro, quest’ultimo, la cui infanzia non fu molto dissimile da quella di Sal Mineo e la cui adolescenza fu, per certo aspetti, anche più sofferta. Erano questi attori tutti un po’ più vecchi di lui, ma egli incrociò i loro percorsi, affiancandoli sul set e frequentandoli, in diversa misura, nella vita privata. Soprattutto, nei suoi primi passi cinematografici ebbe modo di entrare in contatto con James Dean, Paul Newman, Steve McQueen e John Cassavetes.

Sal Mineo e gli altri ragazzi inquieti

In comune con loro aveva moltissime cose, tra le quali, in primo luogo, un talento fuori dal comune, ma anche una sotterranea carica, per quegli anni sovversiva, di sensibilità estrema e di vulnerabilità palese. E di ambiguità sessuale. In quegli anni Cinquanta, con l’affermazione del consumismo e l’imporsi dell’american way of life, nel cinema il malcontento, il disagio sociale e l’insofferenza al conformismo, al bigottismo, agli stereotipi e ai pregiudizi di varia natura, si esprimevano in rivolte non politicamente motivate e consapevoli, come sarebbe stato dalla fine del decennio successivo, anche perché ciò avrebbe significato essere schedati come sovversivi e filocomunisti, ma su un piano più interiore, tormentato.

Tutti questi attori, a cominciare da Montgomery Clift, il più anziano del gruppo, e da Marlon Brando, portavano sullo schermo la ribellione sofferta alle figure genitoriali e ai diktat non scritti del pensiero e dei costumi dominanti. E, con tale, rivolta, un po’ introversa e un po’ sbandata, davano voce a milioni di teenager e giovani americani ed europei, che con essi si identificavano. E tutti, in un modo o nell’altro, con le loro diverse sensibilità e caratteri, incarnavano non soltanto l’insoddisfazione e la rabbia verso un mondo i cui valori dominanti parevano essere tutti centrati sulla ricerca del successo economico e del benessere materiale, ma anche la sommessa o esplicita denuncia della natura spersonalizzante e deumanizzante della società dei consumi e dell’arrivismo. I loro personaggi erano tutti, in qualche modo, “contro il mondo”, e tutti impegnati in una sorta di istintiva ricerca di qualcos’altro, qualcosa che valesse la pena.

Sal Mineo era una delle incarnazioni del teenager di quegli anni, di cui offriva una rappresentazione intrisa di una fragilità particolare. E ciò lo destinava ad essere la spalla o il supporto di  Dean, Newman e Cassavetes, che, invece, incarnavano il ribelle, tormentato, sì, ma un po’ più determinato, un po’ più consapevole e in qualche modo carismatico.

Un “angelo mediterraneo” che sapeva difendersi

A differenza dei suoi più anziani colleghi Mineo divenne una celebrità davvero giovanissimo, appena undicenne, e anche in seguito la sua età corrispondeva a quella degli adolescenti che interpretava a teatro o sullo schermo. A soli undici anni, in virtù delle sue capacità e della sua bellezza fuori dal comune che lo faceva sembrare una sorta di “angelo mediterraneo”, venne ingaggiato per il ruolo di un bambino italiano per la prima rappresentazione a Broadway de La rosa tatuata di Tennessesse Williams. Poi per due anni recitò nel musical Il re ed io a fianco di Yul Brynner. E con quel che guadagnava aiutava la famiglia a sbarcare il lunario. Tutte le sere, dopo lo spettacolo, tornava da Broadway a casa sua nel Bronx da solo, con la metropolitana, ma, confidò a Peter Bogdanovich, aveva visto abbastanza film con John Garfield da sentirsi sicuro. Inoltre portava con sé una pistola caricata a salve, della quale si servì una notte, quando rientrando dal teatro, sulla metropolitana s’imbattè in un trentenne che voleva rimorchiarlo. Poiché costui, nonostante i suoi rifiuti, non cessava di tentare di molestarlo, egli gli puntò l’arma contro, lo obbligò ad inginocchiarsi e quando il treno giunse in prossimità della sua fermata, fece fuoco.

«Gesù, ha fatto un tale rumore che quello se l’è fatta addosso. Pensava di essere morto. Non aveva un graffio, naturalmente, ma si è messo ad urlare. le porte si aprirono e io schizzai fuori come un fulmine. ho corso fino a casa».

Al fianco di James Dean e di Paul Newman

A quindici anni, giunse ad Hollywood, pur avendo lavorato sempre in ruoli di secondo piano in alcune serie televisive, si era fatto notare e apprezzare. Perciò, ottenne una parte di contorno, come giovane delinquente, accanto a Tony Curtis, in La rapina del secolo (1955, di Joseph Pevney), che rappresentò il suo esordio cinematografico. Ma quell’anno, il 1955, fu anche quello in cui fece l’incontro che gli cambiò la vita. Nicholas Ray lo fece entrare nel cast della sua nuova produzione di cui aveva scritto il soggetto: Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, 1955, di Nicholas Ray). Affiancato ad altri giovani attori emergenti, James Dean, Nathalie Wood e Dennis Hopper, per la sua toccante performance venne candidato all’Oscar come migliore attore non protagonista (che venne poi assegnato a Jack Lemmon per Mister Roberts, di Mervyn Le Roy e John Ford).

Gioventù bruciata sconvolse le platee di tutto il mondo. Per il suo successo mondiale un contributo fondamentale fu la straordinaria interpretazione fornita degli attori, diretti con una non comune sensibilità empatica da Nick Ray. Com’è noto, questo film, insieme alla Valle dell’Eden (1955, di Elia Kazan) e a Il gigante (1956, di George Stevens), fece di Dean una leggenda, ma la sua morte pressoché contestuale (morì durate le riprese del film di George Stevens), privò i suoi fans del loro beniamino, mentre, il suo amico Sal Mineo, che veniva ucciso dalla polizia nel finale di Gioventù bruciata, era vivo e con la sua performance, nel ruolo di un adolescente disperatamente bisognoso di amore e di figure adulte con cui identificarsi, suscitava una forte identificazione nei teenagers americani e europei. Mineo, in effetti, pur essendo un ragazzo spiritoso, autoironico e con un carattere solare, fu formidabile nei panni di John Crawford, detto Plato, l’adolescente intelligente ma disperato, cresciuto senza l’amore di una vera famiglia,che si lega a Jim Stark (interpretato da James Dean), trovandovi un surrogato di figura paterna.

Amico di James Dean

Mineo e il ventiquattrenne Dean, però non soltanto formarono un binomio idolatrato da un’intera generazione di giovani spettatori, ma svilupparono anche una forte e vera amicizia.  Sul sito www.culturagay.it si legge: «L’incontro con Dean restò fondamentale per tutta la sua vita. Entrambi erano bisessuali e riprodussero sullo schermo il rapporto che intrattenevano nella realtà. Gioventù bruciata era un film che richiese una ridefinizione del concetto di virilità: veniva riprodotto l’amore che i ragazzi della stessa “banda” nutrivano tra di loro nella ricerca di un affetto alternativo a quello delle famiglie. Vi veniva rispecchiato un rapporto omosessuale tipico dell’adolescente definibile come “fase del guerriero”, cioè d’un amore-ammirazione per un coetaneo in una situazione in cui i rapporti sessuali con donne sono ancora distanti a venire. Plato era il classico bersaglio s”issy” che non aveva ancora la barba e nascondeva nell’armadietto scolastico una foto dell’attore Alan Ladd, all’opposto c’era il personaggio interpretato da Dean ben disposto a rinunciare alla popolarità pur di proteggere l’amico più debole».

Anche nella realtà James Dean prese a cuore la situazione di Sal Mineo. Infatti, chiese e ottenne che Sal entrasse nel cast della mega-produzione di George Stevens, Il gigante, che lo portò a recitare accanto Rock Hudson e Elizabeth Taylor, e del successivo Lassù qualcuno mi ama (1957, di Robert Rossen).

Da Lassù qualcuno mi ama a Dino e Gene Krupa

James Dean avrebbe dovuto essere il protagonista di quest’ultimo, il pugile Rocky Graziano, ma, schiantatosi il 30 settembre 1955 sulla sua Porsche 550 Spyder, il ruolo venne assegnato a Paul Newman, che con questo film entrò nell’Olimpo. Lo sceneggiatore, produttore e regista Robert Rossen (un altro cineasta la cui vita professionale e la cui salute furono seriamente compromesse dalla sopra citata caccia alle streghe anticomunista), mantenne l’impegno preso con Dean e affidò a Mineo la parte di un adolescente, povero e delinquentello, compagno di scorribande di Graziano. Accanto a lui, in un ruolo ancora più ridotto, figurava Steve McQueen.

Nel 1956 uscì un altro film con Sal Mineo che fece scalpore e divenne un piccolo cult, Delitto nella strada (1956, di Don Siegel). Anche qui la sua interpretazione fu impeccabile e seppe tenere amichevolmente testa sia al veterano James Whitmore, sia al giovane protagonista John Cassavetes e al giovanissimo futuro regista Mark Rydell, entrambi come lui nei panni di teppisti violenti intenzionati a commettere un omicidio ai danni di un adulto reo di aver “offeso” uno di loro, il capo (Cassavetes). L’anno dopo tornò ad indossare i panni del delinquente dei bassifondi, ma questa volta era il protagonista della pellicola, Dino (1957, di Thomas Carr). Una produzione minore, certamente, in termini di budget, ma non certo in termini di prestazioni attoriali. Sal Mineo, in particolare, ancora una volta risultò di una credibilità rara, interpretando Dino, il giovanotto, appena uscito dal carcere minorile, che accetta per ribellione di compiere una rapina progettata dal fratello e che alla fine, innamoratosi,si redime, conducendo anche il fratello sulla buona strada. Anche qui Mineo non sfigurò affatto nei duetti con un attore esperto quale Brian Keith, nei panni dell’assistente sociale che non riesce a stabilire un rapporto positivo con l’inquieto Dino. Così seppe cavarsela alla grande anche nella sua successiva prova di principale interprete: Ritmo diabolico (1959, di Don Weiss). Se, infatti, Don Weiss, come già Thomas Carr, non era un regista di statura pari a quella degli altri con cui Mineo aveva lavorato interpretando ruoli di secondo piano (Ray, Rossen e Stevens), cionondimeno non si risparmiò impersonando il batterista americano Gene Krupa. Non soltanto si impegnò a perfezionare il suo stile alla batteria ma studiò anche il vero Krupa, dovendo impersonarlo dalla sua partenza, giovanissimo, dalla provincia per New York, alle prime esperienze in piccole band, fino all’arrivo del successo e ai problemi con la droga, alla detenzione e al ritorno alla ribalta nell’orchestra di Tommy Dorsey.

Sulle ali del sucesso con Exodus

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Come gli altri più celebri ribelli cinematografici dell’epoca, anch’egli si era misurato, sia pure come bambino, con i drammi scandalosi, le opere esplosive di Tennessee Williams, trasudanti il conflitto tra le pulsioni erotiche, le aspirazioni alla libertà e il perbenismo ipocrita, il bigottismo disumano. Erano opere che richiedevano agli attori di esprimere il ribollire di una sensualità contorta e repressa, di tensioni anarchiche implosive. Ed erano interpretati, soprattutto, anche se non esclusivamente, da attori cresciuti o affinatisi all’Actor’s Studio. Sal Mineo non aveva quella formazione alle spalle, ma la sua prestazione nella fluviale (oltre tre ore di durata) e colossale produzione di Otto Preminger sulla fondazione dello Stato di Israele, Exodus (1960, di Otto Preminger), fu di pari se non superiore livello rispetto a quelle del resto del magnifico cast, capeggiato da Paul Newman e composto da moltissimi attori forgiati all’Actor’s Studio (da Newman a alee J. Cobb, da Eva Marie Saint a David Opatoshu…). Mineo interpretava Dov Lendo, un uomo d’azione, ossessionato dal passato nei lager tedeschi, dove per sopravvivere si era prestato ad estrarre dalle camere a gas e a seppellire i cadaveri degli altri internati. Mineo seppe infondere in Dov un miscuglio di rabbia indomita, di energia fanatica e di angoscia repressa. Ma il suo personaggio non era più quello di un ribelle senza motivazione, di un disadattato, ma di un giovane traumatizzato, capace di passare dall’estremismo e dalla dedizione nevrotica alla causa alla maturazione di una nuova consapevolezza, da un rapporto più profondo con sé stesso, che include il perdono della sua passata collaborazione con gli aguzzini nazisti e il superamento della proiezione sugli altri dell’odio e della vergogna sviluppati nei propri confronti. La sequenza della sua confessione al leader dell’Irgun, Akiva Ben Canaan (magnificamente reso da David Opatoshu), è ancora oggi da brividi e contribuì molto a procurargli al seconda candidatura agli Oscar come migliore attore non protagonista.

La partecipazione ai kolossal e la parabola involutiva

Anche stavolta la statuetta andò a qualcun altro (Peter Ustinov per il suo ruolo in Spartacus, un altro kolossal, interpretato e prodotto da Kirk Douglas e diretto da Stanley Kubrick, come Exodus, sceneggiato da un’altra vittima della caccia alle streghe, Dalton Trumbo, che per la prima volta con quei due film, grazie al coraggio dei loro produttori, tornava a firmare pubblicamente una sceneggiatura). Nel corso delle riprese Sal conobbe la quindicenne Jill Haworth, che impersonava Karin, e come nel film, se ne innamorò. Finirono sulla copertina di Life. Ma da quel momento per Sal Mineo la carriera cinematografica inizio la sua parabola involutiva. Partecipò ancora a dei kolossal, di cui uno di grandissimo successo, cioè, Il giorno più lungo (1962, di Ken Annakin, Andrew Marton, Bernhard Wicki e Darryl F. Zanuck), in cui interpretava un paracadutista che fa una morte assurda. Inoltre apparve in un ruolo di maggior spessore accanto al primo divo con cui aveva lavorato ancora bambino, Yul Brynner, nell’avventuroso e un po’ impegnato Fuga da Zahrain (1962, di Ronald Neame). Poi, nel  laterale ruolo dell’indiano ribelle ucciso dalla sua stessa gente, fu nel ricco cast dell’ultimo film, Il grande sentiero (1964, di John Ford), interamente diretto dal maestro tra i maestri della Settima Arte, John Ford. Ma, questo spettacolare western, inteso come opera risarcitoria rispetto al genocidio dei nativi americani, nonostante la folta schiera di attori maiuscoli schierati (Carroll Baker, Richard Widmark, Ricardo Montalban, James Stewart, Arthur Kennedy, Edward G. Robinson, Karl Malden, ecc.), non ebbe un apprezzabile successo. Ancora più disastroso in termini commerciali fu il successivo kolossal cui Sal Mineo prese parte, La più grande storia mai raccontata (1965, di George Stevens). La sua era appena un’apparizione in quest’opera su Gesù Cristo, dall’andamento solenne e ieratico, ma inesorabilmente lento e faticoso, che neanche il formidabile cast riuscì a riscattare (tra le decine di divi coinvolti vi erano Max Von Sydow, Charlton Heston Sidney Poitier, John Wayne, Van Heflin e Carroll Baker). E non meno successo ebbe l’ultima grossa produzione cinematografica cui partecipò l’appena trent’enne Sal Mineo, alla fine del decennio, lo spettacolare avventuroso-catastrofico, Krakatoa, est di Giava (1969), diretto dal regista televisivo Bernard L. Kowalski e interpretata da Maximilian Schell e da Brian Keith.

Un declino vissuto senza rancore

Con la sola eccezione di del noir Il sadico (1965, di Joseph Cates), un’opera minore e dal successo molto relativo, di cui fu protagonista, fornendo un’intensa rappresentazione di un ragazzo squilibrato e pericolosamente lucido, dopo Exodus, la sua carriera cinematografica aveva iniziato a segnare il passo. Calcava ancora la scene teatrali, ma i produttori cinematografici non lo ritenevano più un valido richiamo. Ai loro occhi, quel giovane attore dal talento indiscutibile era divenuto un anacronismo vivente, essendo la sua immagine irrimediabilmente superata, associata com’era all’inquietudine degli adolescenti del decennio precedente. Così, anche la sua situazione finanziaria cominciò a farsi difficile, nonostante negli anni precedenti avesse anche inciso dei dischi di buon successo. Aveva comprato per i genitori una casa a Mamaroneck, spendendo 350.000 dollari, ma si trovò a dover vendere i mobili di casa sua a Santa Monica, che non aveva ancora finito di pagare. Poi vendette anche la casa. E imparò senza traumi a vivere con un reddito modesto, spesso incerto, inconfrontabile con quello delle star cinematografiche o televisive.

Anche le voci sulla sua omosessualità non lo aiutavano a trovare delle parti sostanziose al cinema, ma egli non nutriva alcun risentimento verso il sistema. Sapeva che funzionava così e, insofferente verso chiunque si prendesse troppo sul serio, evitava di cadere nello stesso errore. Preferiva reagire con l’autoironia e, con un minimo di mestizia, scherzarci su. La sua, tuttavia, non era indolenza o rassegnazione. Lavorava in televisione, prendendo parte a prodotti di successo come i telefilm Il dottor Kildare, Missione Impossibile e negli anni Settanta Colombo e Sulle strade di San Francisco.

Una piéce scandalosa

Il teatro continuava ad appassionarlo, tanto che nel ’69, riuscì ad assicurarsi e la possibilità (l’unica) d’essere attore e regista teatrale con la pièce In disgrazia alla fortuna e agli occhi degli uomini. Era un’opera tesissima e coraggiosa sulla violenza omosessuale all’interno di un carcere. Ed ebbe un notevole successo, dovuto anche al fatto che Mineo appariva nudo in scena. Mineo sul programma di sala aveva fatto stampare la seguente dedica:

Jimmy: in memoria della tua amicizia e ispirazione, io dedico a te questo spettacolo“.

Tra i 257 ragazzi che esaminò per la distribuzione delle parti, scelse Don Johnson (all’epoca diciannovenne anch’egli con trascorsi da teppista) per il ruolo del bellissimo detenuto che egli, nella parte del carcerato più anziano, tentava di sottomettere.

Non era più una star, Sal Mineo, però, scrisse Bogdanovich:

«Il pubblico, che veniva a vederlo recitare nei piccoli teatri di tutta la nazione, lo amava ancora, applaudiva ancora la sua figura minuta, energica, perfettamente eretta, i suoi grandi occhi castani, così pieni di anima».

In un’intervista del 1972 Mineo esplicitò le proprie inclinazioni sessuali, dichiarando pubblicamente di essere bisessuale. Fu uno tra i primi e non lo fece “contro” qualcuno. Ma per se stesso.

L’assassinio

Nel 1976 stava provando un nuovo lavoro teatrale P.S. Your Cat Is Dead! di James Kirkwood, una commedia che stava per debuttare a Los Angeles, in cui  aveva il ruolo di ladro omosessuale. L’aveva già portata in scena a San Francisco riscuotendo successo di pubblico, recensioni lusinghiere e una notevole visibilità pubblicitaria, ma la sera del 12 febbraio 1976, al ritorno da una prova generale, nel vicolo dietro la sua abitazione, venne aggredito da un delinquente, assai simile a quelli che egli, ispirandosi alla sua infanzia, aveva così efficacemente interpretato al cinema e a teatro. L’attore trentasettenne venne colpito da una sola coltellata, che gli ferì il cuore, provocandogli una fatale emorragia interna. Il suo pierre e amico Pierre Mintz tentò di fare una colletta per raccogliere 10.000 dollari da offrire a chi avesse dato informazioni utili alla cattura dell’omicida. Ma non raggiunse quell’importo. L’assassino fu catturato nel ’78. Non sapeva chi fosse l’uomo che aveva accoltellato per derubarlo.

Alberto Quattrocolo 

Fonti

AA.VV, Il cinema. Grande storia illustrata, De Agostini, Novara, 1982, Voll. IV e V

Peter Bogdanovich, Chi c’è in quel film?, Fandango Libri, Roma, 2008

www.culturagay.it

www.it.wikipedia.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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