Il 6.12.2002 muore a Firenze Antonino Caponnetto

È finito tutto.

Una delle frasi più celebri del magistrato siciliano è forse quella che meno lo rappresenta. La pronunciò, come noto, poco dopo aver baciato la fronte di Paolo Borsellino, fredda di morte: uscito dall’obitorio, distrutto dalla perdita del secondo “figlio adottivo”, fu lo sconforto a prendere il sopravvento. Lo sguardo quasi assente, la voce rotta dalla tristezza, che più di quelle tre parole non riesce a dire. Il dolore di un collega, di un fratello, di un amico, di un padre che seppellisce un figlio. Per Caponnetto, Falcone e Borsellino erano tutto questo, e forse più.

Dopo cinque anni di lavoro insieme, erano riusciti a costruire una bella realtà personale, oltre che professionale. Il successo del maxi processo a Cosa Nostra ebbe eco internazionale, e fu raggiunto anche grazie all’idea del già defunto Rocco Chinnici, come abbiamo ricordato in questo articolo. L’invenzione del pool risale infatti all’83, quando Caponnetto non era ancora tornato in terra natia: l’omicidio del capo dell’Ufficio istruzione di Palermo consentì al nostro di trasferirsi in Sicilia, dove avrebbe raccolto l’eredità del collega in modo egregio, con centinaia di mafiosi messi alla sbarra.

Dopo la morte dei due amici, fratelli, figli, ebbe solo quel momento di debolezza. Da lì in poi, nonostante fosse in pensione, intensificò il proprio impegno nella lotta alla mafia, con lo strumento che essa teme di più: l’istruzione. Innumerevoli scuole e piazze prestarono orecchio alla voce del vecchio magistrato, che voleva raccontare chi fossero stati Falcone e Borsellino e per quali grandi valori avessero perso la vita.

Ci piace ricordarlo, dunque, non con le tre parole dell’inizio, ma attraverso quelle di un altro siciliano famoso:

Il suo volto, le sue parole, in quel momento mi fecero molta paura. Una paura quasi fisica che mi spinse immediatamente a spegnere il televisore. Se uno come Caponnetto arrivava a toccare quel fondo di scoramento assoluto, pensai, allora tutto era veramente perduto. Ma già dalla celebrazione del funerale di Borsellino capii che quella sua forza interiore si era non solo ricompattata, ma aveva preso un nuovo slancio. E infatti continuò a combattere sino alla fine, non più nelle aule giudiziarie, ma nelle aule scolastiche, o dovunque fosse possibile, per spiegare cosa era la mafia, quale tremendo danno arrecava al tessuto vitale non solo della Sicilia, ma dell’intero nostro Paese.
(Andrea Camilleri)

 

Alessio Gaggero

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