380 secondi e 17 vite in meno a Parkland
380 secondi corrispondono a sei minuti e venti secondi. Si tratta del tempo intercorso tra il primo e l’ultimo sparo di quella che per numero di vittime è diventata la (nuova) Strage di San Valentino. Quell’altra, la prima, quella del 1929 a Chicago, commissionata da Al Capone e realizzata da Sam Giancana e altri 4 sicari ai danni di sette uomini della banda irlandese di George Bugs Moran, è stata “la strage di San Valentino” per ottantanove anni. Poi, due anni fa, 17 persone sono state cancellate in 380 secondi. Sempre negli USA, ma in Florida, questa volta. Le vittime di questa seconda mattanza non erano dei criminali, e non era un gangster l’ideatore e l’autore del massacro.
Marjory Stoneman Douglas High School, Parkland, 14 febbraio 2018
L’enorme campus della Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in Florida, conta fino a 3.000 studenti. Per quattordici di questi il giorno di San Valentino dello scorso anno, il 14 febbraio del 2018, fu l’ultimo della loro vita. E lo fu anche per tre adulti. Altre 17 persone non persero la vita, ma furono ferite dai colpi sparati da Nikolas Cruz con il suo fucile semi-automatico. Centinaia di altri esseri umani ebbero l’esistenza stravolta, per lo shock, per i lutti.
Un anno prima, nel febbraio del 2017, Donald Trump aveva firmato un decreto per cancellare i controlli sui precedenti al momento dell’acquisto di armi per le persone con disturbi mentali. Solo due giorni prima dei 380 secondi di strage compiuta a Parkland, l’amministrazione Trump aveva presentato una proposta per il budget del 2019 in cui, tra le altre cose, venivano tagliati milioni di dollari ai fondi federali per i programmi volti a prevenire i crimini nelle scuole e ad assistere le vittime.
Le diciassette persone ammazzate
I quattordici ragazzi uccisi sono: Alyssa Alhadeff, Martin Duque, Jaime Guttenbergan, Cara Loughran, Gina Montalto, Alaina Petty, Alex Schachter, tutti e sette quattordicenni; Luke Hoyer e Peter Wang, entrambi di 15 anni; Carmen Schentrup, sedicenne; i tre diciassettenni, Nicholas Dworet, Joaquin Oliver, Helena Ramsay; la diciottenne Meadow Pollack.
Gli operatori della scuola uccisi nell’arco di quei 380 secondi sono: Scott Beigel, di 35 anni; Aaron Feis, di 37; Chris Hixon, 49enne. Il primo era un insegnante di geografia. Aaron Feis era un assistente coach della squadra di football e l’addetto alla sicurezza. Chris Hixon era il direttore atletico della scuola.
Diciassette vite portate via. Diciassette mondi finiti. I 14 ragazzi svanirono in sei minuti e venti secondi. Si fermarono i loro sogni, desideri, ambizioni, paure. Si troncarono i loro legami. Erano figli, sorelle o fratelli, nipoti, amici. Amavano qualcuno ed erano amati da qualcuno. Come i tre adulti ammazzati insieme a loro. Aaron Feis, che si era diplomato in quella stessa scuola e viveva lì vicino, a Coral Springs, aveva una moglie e una figlia. Chris Hixon era anch’egli sposato e aveva due figli. Scott Biegel aveva una fidanzata.
380 secondi di spari, di morte, di terrore e di… altruismo
Alle 14.21 del 14 febbraio 2018, nel giorno di San Valentino, il diciannovenne Nikolas Cruz, ex studente della scuola, quasi interamente vestito di nero, entrò nell’edificio della Marjory Stoneman Douglas High School. Verso le 14:40 gli studenti e gli insegnanti sentirono l’esplosione di colpi di arma da fuoco.
“No, non sono petardi…“, disse Aaron Feis.
Venne attivato il “codice rosso”. Cruz, però, azionò l’allarme antincendio e indossò una maschera antigas. Nello zaino aveva portato delle granate fumogene. Quelle esplosioni erano i colpi sparati dal suo fucile d’assalto AR-15 calibro .223. Non aveva problemi di munizioni Nikolas Cruz, poiché aveva con sé diversi caricatori. Gli servivano per sparare sia agli studenti che al personale scolastico, premurandosi, però, sembra, di selezionare le sue vittime, le quali erano tutte persone che egli conosceva bene. Aaron Feis fu centrato mentre faceva da scudo a due studenti. Il quindicenne sino-americano Peter Wang tenne aperta una porta per consentire ai suoi amici di scappare più velocemente. Fu l’ultima volta che lo videro vivo. Un’analoga condotta la ebbero due dei quattordicenni trucidati, Alaina Petty e Martin Duque. Anche Scott Beigel, l’insegnante di geografia, aprì un’aula chiusa a chiave per permettere a degli studenti di nascondervisi. Beigel li spinse e li chiuse dentro per metterli a riparo dagli spari. Riuscì a salvarli, ma Cruz lo centrò.
“Se non fosse per lui non starei parlando con voi adesso” disse a Good Morning America una delle sopravvissute, Kelsey Friend.
Subito dopo quei 380 secondi…
Subito dopo quei 380 secondi d’inferno, Cruz, abbandonata l’arma e cambiatosi i vestiti con quelli che aveva nello zaino, uscì dall’edificio, mescolandosi tra la folla in fuga disperata. Entrò in un magazzino della Walmart e dopo aver comprato in un fast food una bibita, andò da McDonald’s. Identificato grazie alle riprese delle telecamere di sicurezza della scuola, fu arrestato alle 15:40, a Coral Springs. Portato nell’ufficio dello sceriffo, ammise di essere l’autore del massacro. Nel frattempo il liceo brulicava ancora di giovani con le mani alzate che lasciavano gli edifici, scortati dalle forze dell’ordine. Queste erano intervenute in maniera massiccia, ma, tardiva. Intanto i genitori accorsi erano alla disperata ricerca di informazioni. Tenevano gli occhi incollati sugli schermi dei telefonini in attesa di un sms dai loro figli. Un video girato da uno studente con uno smartphone venne messo in onda dalla Cbs: si sentivano le urla di terrore di ragazzi e ragazze e dell’insegnante, tutti a terra, intenti a cercare riparo tra i banchi. Tra di essi si vide uno studente che giaceva immobile. Un altro ragazzo, appena scampato al fucile di Cruz, venne raggiunto telefonicamente dalla Cnn: disse che il suo professore di geografia era stato colpito, ma non sapeva se fosse morto. Lo era. Da Washington, il presidente Donald Trump, appena informato, twittava:
“Nessun bambino, nessun insegnante o qualunque altra persona dovrebbe mai sentirsi insicuro in una scuola americana”.
Nikolas Cruz
Adottato all’età di due anni, Nikolas Jacob Cruz perse il padre adottivo quando era bambino (la madre adottiva è scomparsa, 68enne, tre mesi prima della strage). Alla Stoneman Douglas High School era stato un membro dei Junior Reserve Officers’ Training Corps e della squadra di tiro a segno con fucili ad aria compressa. A causa del suo comportamento violento i compagni provavano una certa inquietudine nei suoi riguardi. Poi, un giorno si era recato a scuola con uno zaino pieno di munizioni. Le aveva mostrate ad altri studenti terrorizzandoli. Quelli che non avevano paura di lui, lo prendevano in giro per i suoi modi goffi di rapportarsi agli altri e per la corporatura minuta. Per il preside, però, quelle munizioni nello zaino furono troppo. E lo fece inserire alla Cross Creek, una scuola per ragazzi con difficoltà emotive e di apprendimento. Qui le cose andarono un po’ meglio. I suoi comportamenti violenti si ridussero quasi a zero. Tuttavia, iniziò a parlare sempre di più di una passione per le armi, per i combattimenti…
“Odio i negri“
Nel 2016 Cruz, insistendo, riuscì a tornare alla Stoneman Douglas High School. Però, andava in giro con la scritta “odio i negri” con e delle svastiche stampate sullo zaino. Teneva sempre il cappuccio calato sul viso e sembrava parlare da solo. Il Florida Department of Children and Families iniziò a investigare su di lui nel settembre 2016, in seguito ad alcuni post su Snapchat in cui Cruz si faceva tagli sulle braccia e diceva di voler comprare un’arma. Emerse che Cruz soffriva di depressione, autismo, disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ma che “era a basso rischio di fare del male a se stesso o agli altri“. Un’email dell’amministrazione scolastica, inviata agli insegnanti, comunque, ricordava che Cruz aveva minacciato degli altri studenti. La scuola proibì a Cruz di indossare uno zaino all’interno del campus. Alla fine fu nuovamente espulso.
“Ciao. Mi chiamo Nick e sarò il prossimo school shooter“
Sui suoi profili online c’erano foto in cui posava con lunghi coltelli, con un fucile a canna liscia, con una pistola e con una BB gun. La polizia affermò che Cruz condivideva posizioni “estremiste“. Sui suoi profili social si trovavano ingiurie razziste e islamofobe. Ferocemente antisemita, odiava gli immigrati e, secondo la CNN, pianificava di uccidere messicani, gay, neri e donne bianche che avevano una relazione con uomini neri. In ogni caso, la sintesi di ciò che si agitava nella sua mente fu Cruz stesso a proporla, riprendendosi con il proprio smartphone mentre diceva:
“Ciao. Mi chiamo Nick e sarò il prossimo school shooter.
Oggi è il giorno. Il giorno in cui tutto ha inizio. Il giorno del mio massacro. Sarà un grande evento.
E quando mi vedrete al telegiornale, saprete chi sono. Tutti i bambini a scuola correranno, avranno paura e si nasconderanno dal potere della mia collera. Sapranno chi sono.
Non sono niente. Io non sono nessuno. La mia vita è nulla e senza senso. Tutto ciò a cui tengo, lo lascio andare.
Ogni giorno vedo il mondo finire in un altro giorno. Vivo nell’isolamento e nella solitudine. Odio tutti e tutto. Il potere del mio AR vi farà sapere chi sono.
Ne ho abbastanza di sentirmi dire cosa fare e quando farlo.
Ne ho abbastanza di sentirmi dire che sono un idiota, quando nella vita vera siete tutti degli idioti.
Tutti saprete il mio nome”
In altri video pubblicati su YouTube diceva che voleva “morire combattendo e uccidendo un casino di persone“, che aveva intenzione di imitare il massacro, compiuto nel ’66 dalla torre dell’Università del Texas , dall’ex marine Charles Whitman.
“Never again”: mai più 380 secondi
Un mese e 10 giorni dopo quei sanguinosi 380 secondi, il 24 marzo, alla stessa ora, Emma Gonzales, una superstite della strage, prese la parola da un palco di Washington DC. Dopo avere elencato le vittime di Parkland, Emma restò in silenzio esattamente per 380 secondi. E la folla rispettò quel silenzio. Aveva davanti a sé una massa oceanica di persone. La March for Our Lives è stata, infatti, la più grande protesta guidata dai giovani dopo la guerra del Vietnam. La partecipazione stimata a Washington va dalle 200.000 alle 850.000 persone.
#neveragain
Emma Gonzales, Jaclyn Corin, Alex Wind, Cameron Kasky, David Hogg, tutti studenti della Stoneman Douglas High School, dopo la strage, in poco tempo avevano generato un fortissimo movimento di pressione, che si sviluppò nel movimento #neveragain (mai più). #neveragain richiedeva l’immediata introduzione di regole più stringenti per la vendita delle armi da fuoco. Per sostenere tale richiesta in pochi giorni si svolsero varie manifestazione, inclusa quella oceanica del 24 marzo a Washington.
Le denunce di Emma Gonzales sui legami tra la NRA e Donald Trump
L’iniziativa di Emma Gonzales, infatti, aveva acquisito immediatamente una notevole risonanza negli USA. Soprattutto grazie al fatto che già nei giorni di poco seguenti la strage di Parkland, la Gonzales non usò mezzi termini nel denunciare apertamente quel che era ed è ancora noto a tutti: i legami di numerosi politici statunitensi, e dello stesso Trump, con la National Rifle Association (NRA). Cioè, con la potentissima lobby delle armi degli Stati Uniti. A Trump, Emma Gonzales “ricordò” che la NRA gli aveva finanziato la campagna elettorale con donazioni di ben 30 milioni di dollari. Anche i media, quindi, diedero spazio alle iniziative di questi ragazzi, al punto che il Time dedicò loro una copertina. Nello stesso periodo, il Gun violence archive, un sito dove quasi in tempo reale vengono aggiornati i morti per colpa delle armi da fuoco negli USA, informava che dal 1° gennaio al 25 marzo 2018 vi erano state: 12.688 sparatorie; 3.257 morti; 5.689 feriti; 145 bambini uccisi o feriti (tra i 0 e gli 11 anni); 611 ragazzi uccisi o feriti (tra i 12 e i 17 anni); 50 stragi (con almeno 4 vittime tra feriti e morti). Del resto, gli Stati Uniti sono il Paese con la maggiore diffusione di armi tra i civili del Pianeta. In media, infatti, ci sono 88 armi ogni cento persone. Il secondo della lista è lo Yemen, dove, però, è in corso da anni una guerra civile e dove la diffusione delle armi è 54,8 ogni cento persone. Negli USA, tuttavia, non è la maggioranza degli abitanti ad avere armi. Il 78% della popolazione non ne possiede. Soltanto il 22 per cento degli adulti, in realtà, possiede ben trecento milioni di armi. In particolare, il 19 per cento ne ha il 50 per cento, mentre l’altro 50% è posseduto da appena il 3% per cento della popolazione. Come sappiamo, si tratta di una minoranza potentissima, in grado di condizionare (anche, e in primo luogo, economicamente) il mondo della politica.
Le reazioni alla March for Our Lives
Il Presidente Trump il giorno dopo la strage di Parkland aveva dichiarato che per prevenire questi massacri si devono armare gli insegnanti. L’ex senatore repubblicano e candidato alla presidenza Rick Santorum, attaccò senza riguardi gli attivisti di Parkland e in un’intervista alla CNN affermò:
“gli studenti dovrebbero imparare modi per rispondere a qualcuno che gli spara piuttosto che chiedere ai legislatori di risolvere il loro problema“. Inoltre, Santorum suggerì agli studenti di prendere lezioni di primo soccorso o BLS anziché perdere tempo a marciare a Washington.
Il Washington Post si prese la briga di rispondere ad una così macabra, grottesca e disumana assurdità, consultando diversi medici che, in risposta a Santorum, spiegarono l’inefficacia del primo soccorso o BLS sulle vittime di armi da fuoco, poiché tali pratiche non offrono rimedi utili per le perdite di sangue. Come facilmente prevedibile, il 21 marzo 2018, Grant Stinchfield, il presentatore della NRA TV, il canale televisivo della National Rifle Association, dichiarò:
“March for Our Lives è sostenuta da radicali con una storia di minacce, linguaggio e azioni violenti“.
Altri attacchi tesi alla delegittimazione, attraverso insinuazioni e diffamazioni esplicite, alcuni la NRA li sferrò proprio mentre si stava svolgendo la marcia.
Un anno dopo si può osservare che ancora (per ora) ha “vinto”, anzi ha “stravinto”, la NRA. Non soltanto negli USA. E viene da chiedersi se i 17 morti della rapida strage (380 secondi appena!) di Parkland, i 59 morti del massacro compiuto a Las Vegas il 1°ottobre del 2017 (l’abbiamo ricordato qui), quelli della Columbine e tanti, troppi altri, riposino davvero in pace.
Alberto Quattrocolo
Fonti
Alfio Maggiolini, Mauro Di Lorenzo (a cura di), Scelte estreme in adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2018
www.it.wikipedia.org
www.ildolomiti.it/blog/massimiliano-pilati
www.rainews.it
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