25 aprile 1945
Il 25 aprile è in Italia la festa della Liberazione dal nazifascismo e della fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 25 aprile del 1945, in realtà, per quanto fortemente logorate le truppe tedesche, che occupavano ancora il Nord Italia, con l’appoggio di quelle fasciste, non terminò tutto in un solo giorno. Il 25 aprile del 1945, tuttavia, divenne “festa della Liberazione”, cioè “l’anniversario della Liberazione d’Italia”, in virtù di una decisione presa circa un anno dopo, il 22 aprile del 1946, dal governo italiano dell’epoca. Infatti, su proposta del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il re Umberto II, allora principe e luogotenente del Regno d’Italia (abbiamo ricordato in questo post la transizione dal Regno d’Italia alla Repubblica Italiana), il 22 aprile ’46 emanò un decreto legislativo luogotenenziale (“Disposizioni in materia di ricorrenze festive“) in cui si stabiliva che:
«A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale.»
La data del 25 aprile come festa della Liberazione fu fissata in modo definitivo con la legge n. 269 del maggio 1949, presentata da De Gasperi in Senato nel settembre 1948.
25 aprile del 1945: «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista»
«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire».
Con queste parole, trasmesse dalla radio “Milano Libera”, alle 8 del mattino del 25 aprile del 1945, il futuro presidente della Repubblica, allora partigiano e membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), Sandro Pertini, comunicava la proclamazione dello sciopero generale e l’insurrezione contro tedeschi e repubblichini. Lo faceva a nome del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), che aveva sede a Milano ed era composto da Alfredo Pizzoni, Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani. Il CLNAI, infatti, nel proclamare l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, cioè nel Nord Italia, ordinava a tutte le forze partigiane attive, facenti parte del Corpo Volontari della Libertà, di attaccare i presidi fascisti e tedeschi e di imporre loro la resa.
19 aprile 1945: il Proclama «Arrendersi o perire»
Lo sciopero generale proclamato il 25 aprile faceva seguito, riprendendolo, al proclama diramato dal CLNAI e dal CVL il 19 aprile 1945 e diffuso tramite quotidiani e manifesti nel Nord Italia. Nel proclama si leggeva:
«Arrendersi o perire! La battaglia finale contro la Germania hitleriana volge a passi rapidi e sicuri verso il trionfo definitivo delle potenze alleate dei popoli democratici. La cricca hitleriana e fascista sente venire la propria fine e vuol trascinare nella rovina estrema le ultime forze che le restano e, con esse, il popolo e la nazione. È una lotta inutile ormai per i nazifascisti, è un suicidio collettivo. Una sola via di scampo e di salvezza resta ancora a quanti hanno tradito la patria, servito i tedeschi, sostenuto il fascismo: abbassare le armi, consegnarle alle formazioni patriottiche, arrendersi al Comitato di liberazione nazionale. Arrendersi o perire! È l’intimazione che deve essere fatta a tutte le forze nazifasciste, a quelle tedesche come a quelle italiane, a quelle volontarie fasciste come a quelle coscritte del cosiddetto esercito repubblicano. Sia ben chiaro per tutti che chi non si arrende sarà sterminato. Sia ben chiaro per i componenti delle forze armate del cosiddetto governo fascista repubblicano che chi sarà colto con le armi in mano sarà fucilato. Solo chi abbandona oggi, subito, prima che sia troppo tardi, volontariamente, le file del tradimento, solo chi si arrende al Comitato di Liberazione Nazionale, consegna le armi – quante armi può – ai patrioti avrà salva la vita,se non si sarà macchiato personalmente di più gravi delitti. Il Comitato di Liberazione Nazionale e le formazioni armate del Corpo dei Volontari della Libertà non accettano e non accetteranno mai – in armonia con le decisioni dei capi responsabili delle Nazioni Unite – altra forma di resa dei nazifascisti che non sia la resa incondizionata. Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba, non è stato avvertito e non gli è stata offerta un’estrema ed ultima via di salvezza».
La sconfitta nazifascista
Il 24 aprile 1945 le forze anglo-americane avevano superato il Po e il giorno dopo, il 25 aprile i soldati tedeschi e quelli della Repubblica di Salò (in questo post abbiamo ricordato l’annuncio di Mussolini, il 18 settembre del ’43, su Radio Monaco della sua formazione) cominciarono a ritirarsi da Milano e da Torino. Le truppe tedesche avevano, infatti, iniziato a ritirarsi ovunque, tentando di sfuggire verso la Svizzera e l’Austria attraverso il Lago di Garda ed il Passo del Brennero. Bologna e Genova erano già state liberate rispettivamente il 21 e il 23 aprile. La sera del 25 aprile, mentre le forze partigiane liberavano altre città, inclusi alcuni dei principali capoluoghi settentrionali, Benito Mussolini, travestito da soldato tedesco, abbandonava Milano per dirigersi verso Como. Sarebbe stato poi catturato dai partigiani due giorni dopo e ucciso il 28 aprile. Il termine effettivo della guerra sul territorio italiano, con la resa definitiva delle forze nazifasciste all’esercito alleato, si ebbe, però, solo il 3 maggio, come stabilito nella resa di Caserta firmata il 29 aprile 1945. Il 30 aprile, mentre l’Armata Rossa combatteva con quel che restava dell’esercito tedesco per le strade di una Berlino ridotta in macerie, Adolf Hitler, si suicidava nel Führerbunker a Berlino. Il fascismo e il nazismo erano stati sconfitti, ma lasciavano dietro di sé fiumi di sangue, miseria, rovine e orrori inimmaginabili.
«È vero, abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere».
In un dialogo con Pietrangelo Buttafuoco riportato su Il foglio del 12 novembre 1999, Norberto Bobbio spiegò come meglio non si sarebbe potuto il significato intramontabile del 25 aprile del 1945.
«Un giorno Giorgio Pisanò [ex repubblichino, senatore del Movimento Sociale Italiano poi fondatore nel ’91 del Movimento Fascismo e Libertà], incontrando Vittorio Foa [condannato nel 1936 a 15 anni di carcere per il suo antifascismo dal Tribunale Speciale Fascista, poi rappresentante del partito d’Azione presso il CLN], gli disse: “Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano”. Foa gli rispose: “È vero, abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere”. Ecco, ci rifletta. Ci rifletta un istante».
Il 25 aprile, quindi, è la celebrazione della libertà e non solo della liberazione. La libertà di cui tutti possiamo godere, finché viviamo in uno Stato democratico di diritto: uno Stato, cioè, all’interno del quale sono affermati e tutelati quei diritti che, per oltre vent’anni, il fascismo aveva soppresso. E lo aveva fatto, picchiando, terrorizzando, assassinando, imprigionando e inviando al confino coloro che quei diritti intendevano esercitare. Lo aveva fatto sopprimendo tutti i giornali anti-fascisti e non fascisti, dichiarando illegali tutti gli altri partiti e tutti gli altri sindacati, perseguitando e uccidendone i rappresentanti e i militanti. Su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, abbiamo pubblicato numerosi post sulla nascita e sull’affermazione della dittatura fascista, così come sulle stragi nazifasciste commesse a danno di italiani. Ma andrebbero anche ricordati i crimini contro l’umanità commessi dal fascismo italiano in altri Paesi, sia prima che durante la Seconda Guerra Mondiale, dalla Libia all’Etiopia, dall’Albania alla Slovenia (e numerosi sono i post che abbiamo dedicato agli orrori commessi dagli italiani in Libia, Etiopia, Albania e Slovenia). Infatti, se è vero che anche altri paesi europei festeggiano in date diverse la fine dell’occupazione nazista, in Etiopia il 5 maggio è la festa della Liberazione, avvenuta nel 1941, dalla crudelissima e sanguinaria occupazione italiana iniziata nell’ottobre del ‘1935.
Alberto Quattrocolo
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